Le mutilazioni genitali femminili

- seconda parte -

Continuiamo a parlare delle mutilazioni genitali femminili ripartendo dall'Africa descrivendo, seppur sommariamente, il rapporto tra le MGF e la cultura islamica, cercando di cogliere le differenti posizioni al suo interno. Si evidenzierà anche il percorso di opposizione e prevenzione, ove viene attuato, sia dal punto di vista istituzionale che dalle iniziative intraprese autonomamente da singole o gruppi di donne. La battaglia contro le mutilazioni genitali femminili è condotta in prima persona anche dalle donne e dalle loro organizzazioni e queste voci appartengono a donne che vivono nel Nord d'Arabia e nel Corno d'Africa e che con le loro proteste ed iniziative sono pronte a sfidare i loro governi e le consuetudini dei rispettivi paesi, pur di eliminare definitivamente queste pratiche. Sappiamo che più di 110 milioni di donne soffrono per le gravi ferite e per le malattie derivate dalle mutilazioni subite e che molto spesso portano alla loro morte. Proprio per questi motivi le donne africane sono state (e sono) in prima fila contro le mutilazioni genitali, tanto che molte di esse parteciparono a Dakar nel 1984 ad un seminario sulle "Pratiche Tradizionali che attentano alla salute di donne e bambine" e che nel 1994 in Tanzania ed in Egitto furono indette campagne popolari di informazione. Tuttavia molto spesso queste azioni spontanee di donne che si organizzano contro le MGF vengono riassorbite dagli Stati africani.
Sono proprio questi paesi che presentano, quasi tutti, un alta percentuale di donne e bambine mutilate. Tra questi c'è la Somalia, dove il 90% della popolazione femminile è sottoposta alle mutilazioni genitali, ma queste alte percentuali sono presenti anche a Djibuti, Sudan ed Egitto, paese dove le mutilazioni genitali hanno dato vita ad una polemica parlamentare e legislativa che dev'essere inserita nello scontro tra settori modernisti e tradizionalisti dell'islamismo; aspetti con il quale si confrontano anche altri paesi mediorientali come Iran, Algeria, Afghanistan Turchia, India, Bangladesh e Pakistan. Nonostante questa alta percentuale di donne mutilate, e sempre in questi stessi paesi africani sono stati compiuti i maggiori sforzi per eliminare o ridurre questa pratica consuetudinaria. In questa direzione sono andati il Burkina Faso, il Kenya e l'Egitto, che hanno vietato per legge le mutilazioni genitali femminili, ed in altri casi, hanno emesso delle sentenze di condanna nei confronti dei genitori che hanno imposto tali pratiche alle figlie. Anche il Sudan si è mobilitato per l'eliminazione delle MGF ed il suo percorso è il più secolare rispetto a quello degli altri perché inizia più di cinquanta anni fa, anche se a tutt'oggi, l'80% della popolazione femminile è ancora sottoposta all'infibulazione. Il Sudan è un paese con una cultura africana ed araba insieme, e la sue azioni contro le MGF, possono influenzare sia il Medio Oriente arabo sia il Corno d'Africa che i paesi situati a sud del Sahara.
Posto sotto il dominio inglese, vide sorgere, nel 1921, per opera delle sorelle Wolff la creazione di una scuola per levatrici nella quale si diplomarono fino al 1948 più di cinquecento levatrici provenienti da tutte le zone del paese. Nel 1943 fu istituito dal Governatorato generale inglese un Comitato medico per studiare il problema della circoncisione femminile, approfondimento che si concretizzò in un opuscolo pubblicato in lingua araba ed in inglese, nel quale si affermava che la circoncisione "faraonica" era molto dannosa e che doveva essere abolita. A questo primo tentativo non seguirono risultati concreti, tanto che nel 1946 il Governo cercò di iniziare un iter legislativo che portasse alla definitiva eliminazione dell'infibulazione. L'entrata in vigore di questa legge ebbe come drammatica conseguenza quella di aumentare in modo esponenziale sia il numero delle bambine circoncise che quello dei decessi per le complicazioni post operatorie. Anche le levatrici che operavano le infibulazioni erano sottoposte ad una multa e all'arresto fino ad un periodo di sette anni, ma il primo arresto fu accompagnato da violenti tumulti che fecero emendare la legge ed affermare contemporaneamente nel 1930 ad un giudice che "..l'unico modo per estirpare questa barbara e crudele usanza è quello di educare il maschio e la femmina sudanese".
Ma dopo l'emendamento di questa legge tutto tornò come prima e solo nel 1980 venne costituito il Comitato sudanese per l'educazione delle pratiche tradizionali della mutilazione genitale femminile che tenta, da più di vent'anni, di portare avanti una campagna di informazione ed iniziative contro le MGF. Anche il Kenya, situato in Africa Orientale, ha intrapreso una lunga e dura battaglia per eliminare la pratica delle mutilazioni e contro queste ultime si batte la Signora Eddah Gachukia, uno dei membri del parlamento e portavoce del Consiglio Nazionale delle Donne Keniote che descrisse, nel 1979, la situazione del paese dove erano state portate avanti alcune ricerche inadeguate a superare questa pratica. Il Consiglio delle donne keniote si è appellato all'UNICEF e all'Organizzazione Mondiale della Sanità per favorire ricerche sulle MGF, al fine di ottenere un valido sostegno che vietasse o almeno scoraggiasse queste pratiche. A questa richiesta si unì anche la Direzione del Consiglio Cristiano nazionale del Kenya che chiese l'avvio di ricerche sul territorio keniota. A livello consuetudinario l'infibulazione viene accettata volontariamente dalle donne, ma questo aspetto è più condizionato dall'educazione rispetto alla quale si cerca di ottenere con il suo miglioramento la conoscenza che prevenga il diffondersi delle MGF e l'emanazione di leggi abrogative di queste pratiche. E proprio a Nairobi, nel 1985, si è svolta la Conferenza mondiale delle donne ed il relativo Forum delle ONG, alla quale parteciparono anche alcuni gruppi di donne keniote che analizzarono i temi legati alla salute e alle MGF con una loro piattaforma che comprendeva tra gli altri, anche la sterilizzazione forzata e la pianificazione familiare.
Emblematico rimane il caso della Somalia, il paese che, insieme alla parte islamica del Sudan, è l'unico al mondo in cui tale pratica è tutt'oggi estesa nella sua forma più mutilante, l'infibulazione. Questo paese è per l'80% nomade e con una radicata tradizione orale (infatti il somalo è divenuta una lingua scritta solo nel 1974. La sua cultura è profondamente radicata nella realtà dell'Africa, ma nello stesso tempo ha subito profondi influssi provenienti dalla cultura musulmana e dalla religione islamica. Quindi uno stato a cavallo tra due mondi che intende conservare le due tradizioni. L'apprendimento del Corano costituisce una tappa obbligata per la totalità del popolo somalo in età prescolare.
L'avvento del post colonialismo ed in particolare la rivoluzione del 1969 che ha apportato profondi mutamenti nella struttura sociale ed ha emanato alcune leggi che, pur mantenendo l'Islam religione di Stato, apportavano tuttavia delle modifiche ed entravano in conflitto nell'attuazione pratica con alcune norme in esso contenute. Queste leggi ed in particolare quelle riguardanti i diritti della donna nella società, suscitarono forme di aperta e violenta ribellione da parte di alcuni capi religiosi e della parte più conservatrice della popolazione. Tra le altre riforme ci furono quelle sul diritto di famiglia esulla regolamentazione del ripudio della moglie; ma il governo prese posizione anche contro l'infibulazione, vietando che questa pratica venisse effettuata negli ospedali da personale sanitario, invitando i somali a praticare sulle figlie solo la sunna (la forma più lieve di mutilazione).
Nel 1977 venne costituita l'Organizzazione Democratica delle Donne (SWDO), Edna Adan Ismail parlò per prima dell'infibulazione, rompendo in questo modo un tabù : infatti la questione dell'infibulazione nella cultura somala è un argomento molto delicato. Essa confessò che "le donne della sala (nella quale si svolgeva il dibattito), potessero togliersi le scarpe e tirarmele dietro". Invece, esse si alzarono in piedi ed applaudirono, e questo diede loro la forza di iniziare a parlare di quanto avevano dovuto subire. In seguito lo SWDO divenne l'agente esecutivo della Commissione per l'abolizione dell'operazione, nominata dal governo somalo.
Nel paese attualmente vengono praticate quattro tipi di mutilazioni :
1) la sunna,
2) l'escissione o la clitoridectomia; e
3) l'infibulazione o circoncisione faraonica;
4) non classificato : punture, perforazioni, incisione della clitoride e delle grandi labbra.
Nelle zone rurali, generalmente le ragazze, a gruppi, vengono infibulate durante un'unica cerimonia ed in giorno prefissato, cosicché, questa pratica assume anche una connotazione religiosa e di iniziazione collettiva a cui le bambine vengono preparate in precedenza. La cerimonia di iniziazione prevede la rasatura dei capelli, viene fatto indossare un vestito nuovo e nei giorni che precedono l'infibulazione esse vengono nutrite con una dieta povera di liquidi, per impedire o ridurre la necessità di urinare immediatamente dopo l'operazione. Le bambine che sono accudite e nutrite dalla famiglia, ricevono anche molti regali. Nei centri urbani questo rituale è comunque scomparso del tutto.
Raquia Hagi Dhuale, descrive dettagliatamente come avviene l'intera operazione ed anche le conseguenze fisiche e psicologiche a cui ogni bambina è sottoposta. Per brevità ne trascrivo qualche brano: "..La bambina viene fatta sedere su uno sgabello molto basso..viene tenuta ferma saldamente per le spalle e le braccia...durante l'operazione le donne continuano ad urlare forte e a dare consigli...Tutto ciò viene fatto senza usare anestetici...Alla fine dell'operazione la bambina, con le gambe fasciate, viene portata in un luogo isolato e fatta distendere supina per tre o quattro giorni, seguendo una dieta di soli liquidi". (R.H. Dhuale "Circumcision and infibulation in Somalia", pp. 24 - 26).
Tradizionalmente a compiere queste operazioni sono le donne e forti condizionamenti culturali continuano a fare si che l'operazione di mutilazione si perpetui nel tempo. Infatti, le ragazze in età pre puberale, se non ancora sottoposte al rito della circoncisione, sono sottoposte ad un continuo obnulamento della loro coscienza con affermazioni del tipo "...quando sarai circoncisa sarai più bella, più donna e cosi via..", mentre tutto l'intero sistema sociale esercita sulle bambine una forte pressione facendo nascere in loro il desiderio di sottomettersi all'operazione.
Abbiamo già accennato al fatto che le MGF erroneamente sono attribuite al solo contesto islamico, tuttavia esse sono effettivamente praticate anche in alcuni Stati che seguono i precedetti del Corano. Ad esse corrisponde un acceso dibattito che in ambito islamico non prescinde mai dall'analisi degli Hadith (Detti del Profeta) o dalle Sure (o capitoli del Corano) che si riferiscono in particolare alle donne. Tuttavia è bene tenere presente che in alcune aree le Mutilazioni genitali sono il risultato di un processo particolare : mentre nelle aree non musulmane la giustificazione risiede nelle tradizioni e nelle consuetudini locali (per esempio in Somalia alcune tradizioni affermano che le donne infibulate, che normalmente si occupano delle greggi, possono evitare gli attacchi delle fiere perché queste mutilazioni eliminerebbero le salienze olfattive sessuali femminili- P. Grassivaro Gallo-); in altri paesi musulmani la pratica è invece molto diffusa come Egitto, Sudan, Niger, Mali, Arabia Saudita, Yemen, Senegal, Bangladesh, Indonesia e Malaysia.
L'Islam sunnita (che raccoglie il 90% dei musulmani) non possiede un autorità giuridico - religiosa suprema al di fuori dei precetti contenuti nelle fonti della Sharia - Corano, Sunnah ed Igma -. Essendo la Sharia la Legge di origine divina adeguata alla regolamentazione di una serie di argomenti anche riguardanti la sfera privata degli individui, donne e uomini. Nel caso in cui la Legge non stabilisce delle norme certe ed esaustive, i fedeli possono interpellare i dottori della Legge, i quali possono dare, su uno stesso argomento, opinioni giuridiche differenti, dette Fatwa, che non sono giuridicamente vincolanti e possono essere contestate da altri Muftì. Questi Dottori della Legge decidono su molti argomenti riguardanti la salute e la sessualità della donna, fra cui anche l'aborto e la circoncisione. E' tuttavia da tenere presente come il Corano non parla direttamente delle mutilazioni genitali femminili; ne troviamo tracce invece in alcuni Detti del Profeta, come quello che Maometto ha rivolto alla "tagliatrice di clitoridi". La circoncisione e la mutilazione genitale erano quindi una pratica corrente nell'Arabia pre islamica, usanza ereditata dall'Islam e dai popoli musulmani. In ambito sanitario si riscontrano almeno tre tipi di mutilazione
1) ablazione del prepuzio clitorideo; questa operazione è detta "sunna" per indicare una modalità conforme alla tradizione del Profeta;
2) ablazione del clitoride (escissione) e delle piccole labbra;
3) ablazione della clitoride, piccole e grandi labbra e successiva ricucitura dei due bordi della vulva mantenendo un passaggio per il deflusso dell'urina e del mestruo.
Nella religione islamica sunnita in riferimento alle mutilazioni femminili troviamo quattro scuole giuridiche di pensiero che hanno espresso su di esse pareri molto vicini fra loro. Infatti per Abu Hanifa e Malik ibn Anas iniziatori della scuola hanaita e malikita, la pratica delle mutilazioni è lodevole, ma non obbligatoria; mentre per Ibn Hambal, iniziatore della scuola hambalita la circoncisione è solo raccomandabile per le donne; mentre per Shafii, iniziatore della scuola shafiita, essa è obbligatoria. Da queste quattro Fatwa emerge un particolare importante : nessuna di esse ha vietato le mutilazioni genitali femminili. Partendo da queste premesse all'interno del mondo arabo - musulmano troviamo presenti nel dibattito opinioni contrarie, favorevoli e tolleranti tale pratica. Tutti i pareri per suffragare le loro motivazioni mettono in evidenza alcuni "valori" legati alla circoncisione : pulizia ed igiene della donna, mantenimento della verginità, limitazione dell'istinto sessuale femminile ed altre motivazioni consimili.
Ora, rispetto a questi punti di vista, alcuni giusperiti egiziani tra i quali Sheikh Youssef Al Qarawi preferiscono, in sede pubblica, lasciare la scelta della mutilazione ai genitori, pur ritenendo che in sostanza essa debba essere obbligatoria. Ciò che colpisce ed in partesconcerta, è la posizione delle donne che "sembrano" essere convinte della "validità" delle giustificazioni tradizionali ed anzi esse stesse si pongono come attive propugnatrici degli ideali tradizionali e delle pratiche che si ritengono veicolarli. In Egitto, infatti, questo dibattito è diventato un inarrestabile scontro tra fautori e contrari alle MGF, nel quale si intrecciano motivi politici religiosi insieme, perché mai dobbiamo dimenticare che l'Islam è congiuntamente Religione e Stato. Questo assioma spiega l'indecisione dichiarata dagli organismi statali sulla mutilazione genitale, anche spinta dall'azione favorevole dell'opinione pubblica fomentata dagli Ulema. In Egitto tuttavia, con il Decreto n.74 emanato dal Ministero della Sanità nel 1959 si vietava ai medici la circoncisione totale nelle cliniche statali, mentre si mostrava più tollerante verso quelle parziali. Proibiva anche alle levatrici autorizzate di praticare l'intervento, lasciando così tutto in mano ad inesperti e "praticoni".
Nel 1994 prima della Conferenza del Cairo su "Demografia e sviluppo" il Ministero della Sanità egiziano si era fatto portatore di una proposta di legge per vietare le MGF. Dopo questa conferenza una Fatwa venne emessa da Jad al-Haq, il quale riaffermava il carattere benevolo delle mutilazioni praticate sul corpo della donna. Questa Fatwa ebbe l'effetto di far ritirare il progetto di legge governativo di divieto di far circoncidere le donne sostituito da un Decreto legge che autorizzavano tale pratica solo all'interno delle cliniche. Alla luce del Decreto del 1994 il dilemma fondamentale a cui si trovarono di fronte i medici egiziani era quello di dover circoncidere, qualora venisse loro richiesto, in ossequio al decreto, ma violando la loro etica professionale che impone di non ledere il paziente, ma nello stesso tempo sanno che se non lo fanno loro, questi stessi genitori si rivolgeranno a degli operatori clandestini senza scrupoli. Per questo motivo molte associazioni di medici si stanno battendo per una esclusione dei medici dall'operazione, condannando in blocco tutte le mutilazioni dalla sunna all'infibulazione. In altri termini ci si è resi conto che l'inalienabile diritto all'integrità psicofisica della bambina e della giovane risulta comunque violata, indipendentemente dall'invasività dell'operazione mutilatoria.
Sempre nel 1994, l'Egitto ha sottoscritto una serie di trattati internazionali che impegnavano il governo ad intraprendere una decisa campagna contro le MGF. Per questo l'8 luglio 1996 l'allora Ministro della Sanità ha emesso il Decreto n.261 con il quale proibiva ogni tipo di mutilazioni in tutti gli ospedali ed ambulatori pubblici e privati in quanto pratica rientrante nelle tradizioni islamiche; la violazione di questo Decreto è perseguibile penalmente : quest'ultimo è il primo provvedimento ufficiale contro l'escissione dopo l'Ordinanza ministeriale del 1959. Il provvedimento del Dr. Ismail Sallam, è stato anche appoggiato dall'Ordine dei Medici egiziani.
Tuttavia, una Legge dello Stato è ancora lontana dall'essere varata. Il 24 giugno 1997 il Tribunale Amministrativo del Cairo, in applicazione delle direttive del Consiglio di Stato, ha riammesso le pratiche mutilatorie all'interno degli ospedali, rovesciando il provvedimento Sallam. La motivazione riferita afferma che non può essere vietata una pratica religiosamente lecita, ma non obbligatoria. Questa sentenza si può considerare la temporanea vittoria di una componente radicale islamica eterogenea. Le reazioni a questa sentenza si sono limitate ad un azione di appello alla Corte Amministrativa. Nonostante le scarse speranze, di eliminare questa pratica, il 28 dicembre 1997 la Suprema Corte Amministrativa (i cui verdetti sono inappellabili) ha approvato il Decreto del Ministro della Sanità del 1996 rivietando ogni tipo di mutilazione : si tratta della sentenza più importante emessa finora in Egitto in materia di mutilazioni.
A questo paese si sono via via aggiunti il Burkina Faso,la Repubblica centroafricana, Gibbuti, il Ghana, la Guinea e Togo. A questi si è aggiunto ancora un ultimo Stato a maggioranza islamica, il Senegal che ha approvato una normativa vietante le MGF, la quale prevede anche forti multe e il carcere in caso di una sua violazione. Questa Legge fa seguito alla Dichiarazione di Dakar del novembre 1997, in cui si riaffermava che la pratica delle MGF non possiede fondamenti religiosi e rappresenta una violenza a vari livelli sulla persona della donna ed è una discriminazione nei suoi confronti. Nel terminare questo articolo vogliamo dare, per chi volesse approfondire l'argomento, una breve bibliografia in lingua italiana, aggiungendo che esiste molto materiale in francese ed inglese sull'argomento. - Pia Grassivaro Gallo "Figlie mutilate d'Africa", 1997; Sirad Salad Hassad "Sette gocce di sangue" e "La donna mutilata"; Marco Mazzetti "Senza le ali", Fondazione Cariplo.
Come per il primo articolo sulle MGF (vedi numero precedente del Junius Brutus), l'intento è quello di creare dei contatti più stretti con le donne immigrate qui in Italia e cercare di avviare una proficua discussione sui loro percorsi politici e di presa di coscienza della loro realtà.