MANIFESTIAMO A ROMA l'8/11/2003
STOP
THE WALL, STOP THE WAR Il 9 novembre del 1989 cadeva il muro di Berlino. Nel novembre del 2003 un altro muro sta sorgendo in Palestina, nei territori occupati nel 1967, ad opera del governo israeliano di Ariel Sharon. Il muro dell'apartheid si prospetta come il più grande furto di terre dal 1967 in poi tanto che, una volta completato, avrà una lunghezza di 650 chilometri e permetterà ad Israele di controllare defintivamente più della metà della Cisgiordania rendendo così impossibile qualsiasi soluzione negoziata del conflitto israelo-palestinese. Questa costruzione - chiamata con eufemismo «barriera di sicurezza»- non segue infatti il confine tra Israele e la Cisgiordania occupata ma penetra all?interno della West Bank per oltre 20 chilometri connettendo tra di loro e con Israele la stragrande maggioranza delle colonie ebraiche (illegali per la Convenzione di Ginevra e la comunità internazionale) che sarebbero così annesse definitivamente allo stato ebraico con una buona metà delle terre palestinesi della Cisgiordania, e con la gran parte delle fonti idriche della regione. Un altro muro è previsto nella valle del Giordano, scorrendo a 20- 30 chilometri all'interno della Cisgiordania occupata, con lobiettivo di tagliare fuori i palestinesi da terre fertili, risorse idriche e da ogni sbocco verso la Giordania. In tal modo, con questo secondo muro, verranno defintivamente annesse ad Israele sia la valle del giordano che il «deserto della giudea». La vita dentro il muro, in particolare nel nord-ovest della Cisgiordania sarà impossibile: il popolo palestinese, imprigionato dentro vere e proprie «riserve circondati da muri e con una sola porta di entrata e di uscita per ogni città e villaggio perderà la possibilità di coltivare le sue terre rimaste al di fuori del muro, le risorse d'acqua e quindi i suoi mezzi di sostentamento oltre alla possibilità di recarsi a scuola o negli ospedali del centri maggiori. I primi 150 chilometri del muro sono già completi oltre il 10% dei palestinesi della Cisgiordania, in particolare quelli delle comunità più vicine al confine con Israele, Qalqiliya, Tulkarem etc, sono già imprigionati dentro il muro come avveniva nei ghetti ebraici delle nostre città nei tempi più bui della storia europea. Secondo l'organismo israeliano per i diritti umani Betzelem circa 80.000 palestinesi perderanno ogni forma di sostentamento dal momento che le loro terre sono rimaste al di là del muro. Questi terreni nella parte nord-occidentale della West Bank (Jenin, Tulkarem, Khaliliya) costituiscono il 40% delle terre coltivabili della Cisgiordania e sono tra le più produttive con una resa doppia rispetto a quelle delle altre regioni. In questa zona, già investitata dal muro, ci sono inoltre i 2/3 delle sorgenti della West Bank e ben 28 pozzi si trovano ormai al di là della muraglia, verso Israele. Ancora più tragica la sorte di quei palestinesi, circa 30.000, che abitano 13 villaggi che si sono trovati ad ovest del muro tra il confine con Israele e la grande muraglia, impossibilitati ad andare nello stato ebraico, impossibilitati a recarsi nel resto della Cisgiordania e persino nelle città più vicine alle quali facevano riferimento per gran parte delle loro esigenze lavorative, di studio, familiari e per accedere ad ogni servizio di base. Impossibilitati a raggiungere i campi da cui traggono il loro sostentamento. La costruzione di alcune «porte» di passaggio, dal momento che la loro apertura è decisa dallumore dei soldati israeliani, si è rivelata una tragica beffa. In tal modo non solo verrà annesso ad Israele circa il 60% della Cisgiordania ma, rendendo loro la vita impossibile, privandoli dei loro mezzi di sussistenza e di ogni prospettiva di studio, di lavoro e di movimento verrà realizzata una vera e propria pulizia etnica ai danni di un numero di palestinesi compreso tra i 90.000 e i 200.000. Una volta che il muro sarà stato costruito i palestinesi saranno rinchiusi in tre grandi «riserve» (una sorta di salsiccia da Jenin a Ramallah, un altra da Betlemme a Hebron e una terza attorno a Gerico) separate le une dalle altre, e da ogni sbocco esterno, su una superficie pari allincirca al 40% della Cisgiordania (il 9% della Palestina mandataria). In tal modo emerge chiaramente come l?obiettivo del muro sia non certo la «sicurezza» di Israele, raggiungibile solamente con una giusta pace tra i due popoli, ma l?annessione allo stato ebraico della "maggior parte delle terre con il minimo di arabi" che invece verranno concentrati allinterno delle città e dei villaggi privi ormai di ogni retroterra. Uno stato palestinese libero e indipendente diventerà quindi impossibile dal momento che le condizioni minime perché possa costituirsi sono: il ritiro di Israele, colonie, coloni e soldati, alle frontiere del 1967, una continuità territoriale allinterno dellentità palestinese e un suo sbocco verso lesterno, la Giordania e l?Egitto, oltre naturalmente al riconoscimento del diritto al ritorno dei profughi - la cui attuazione andà poi negoziata. Eppure di fronte a questo vero e proprio tentativo di distruzione dellesistenza del popolo palestinese come una legittima entità sociale, politica ed economica attraverso la distruzione della sfera pubblica e privata degli abitanti della West bank e di Gaza, le reazioni internazionali e nazionali sono praticamente inesistenti. Per questa ragione un vasto arco di forze politiche e sociali del nostro paese, raccogliendo l?invito proveniente dalla Palestina per una mobilitazione internazionale, ha proposto una manifestazione nazionale a Roma il prossimo otto novembre contro il muro dellapartheid, contro loccupazione israeliana della West Bank e di Gaza e a sostegno del diritto inalienabile del popolo palestinese alla vita, alla terra, alla libertà. Una manifestazione dall?alto profilo che chieda al governo, allopposizione, allopinione pubblica, alle forze politiche e sindacali, alle singole persone impegnate per il raggiungimento di una pace giusta in Medioriente di pronunciarsi chiaramente contro il muro della vergogna e loccupazione israeliana e di adottare concrete misure di pressione su Israele come il congelamento, sulla base della clausola sui diritti umani, del trattato di associazione di Tel Aviv allUnione Europea. Una mobilitazione, il più vasta possibile, punto di arrivo ma anche punto di partenza perché lItalia dica No al muro della vergogna, No alloccupazione, No alla prigionia del legittimo presidente palestinese Yasser Arafat, di Marwan Barghouti e di tutti i prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane e in quella di Gerico. Un No che, nel solco delle grandi mobilitazioni per la pace dello scorso anno, rifiuti la teoria e la pratica della «guerra preventiva» e la follia della «guerra permanente» di Bush e Sharon contro gli stati e i popoli del Medioriente dallIraq, alla Siria, al Libano, allIran- e la partecipazione italiana a tali avventure coloniali tese a disgregare, «balcanizzare» e dominare la regione mediorientale. Una manifestazione che invece chieda una soluzione negoziata del conflitto israelo-palestinese, che riaffermi la necessità del rispetto della Convenzione di Ginevra sulla protezione delle popolazioni dei territori occupati (in Palestina come in Iraq), del rispetto e dell?attuazione delle risoluzioni dell?Onu sulla questione palestinese -181 (divisione della Palestina in due stati), 242 (ritiro da tutti i territori occupati), 194 (diritto al ritorno dei profughi palestinesi) - e dei diritti umani e nazionali del popolo palestinese e di tutti i popoli del Medioriente. No
al muro dellapartheid in Palestina Si
al ritiro israeliano alle frontiere del 1967 e alla nascita dello stato
palestinese Il
Comitato promotore della manifestazione dell'8 novembre a Roma: |