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SIONISMO, EBREI 
 Distinguere tra il movimento sionista e lo stato di israele, da esso creato, da un lato, e la maggiornaza degli ebrei che hanno scelto, anche dopo la nascita di quello stato di restare in altri paesi dei cinque continenti dove hanno sempre vissuto, dall’altro,
è divenuto tanto più importante nel momento in cui la politica di aperta e brutale sopraffazione condotta da israele contro i palestinesi, in nome di una visione distorta dell’ebraismo, rischia di alimentare nel resto del mondo, insieme con una legittima condanna, fenomeni di antisemitismo.
 Sul concetto di ebraismo e sull'interrogativo «chi è ebreo» vi 
è ampio dibattito, sia in Israele che tra gli ebrei della diaspora.
 Il termine «ebreo» non implica, secondo una visione probabilmente maggioritaria, una connotazione nazionale, o etnica, ma piuttosto l'appartenenza a una comunità di cultura, o di 
religione.
 Sul piano storico, la stessa discendenza degli ebrei 
della diaspora da una nazione-Stato esistita dopo l'anno 1000 
a.C. in terra di Palestina e dispersa dopo la conquista romana 
è ampiamente contestata. Criteri razziali o linguistici sono 
privi di fondamento.
 Una coesione reale, invece, e un legame 
spesso profondamente sentito con lo Stato ebraico derivano 
dalla tradizione e soprattutto dall'idea, tramandata e consolidata dalle persecuzioni subite nei secoli e dallo sterminio nazista negli anni della seconda guerra mondiale, di una sopravvivenza continuamente esposta a minacce dal di fuori.
 A questa situazione, il movimento sionista (dal nome del colle Sion, a Gerusalemme, simbolo della Terra promessa, nella quale è forse sepolto re Davide, e dove ogni fedele si augura di tornare:" Leshanà  abà br-Yerushalaim"), fondato dall'avvocato e giornalista austriaco Theodor Herzl nel 
1886, ha dato una risposta di tipo ideologico, che può essere 
accolta o respinta, ma che ha una propria attrattiva, col 
sostenere che il destino degli ebrei e la soluzione del problema 
ebraico consistano nel «ritorno» in Palestina e nella fondazione 
di un loro proprio Stato.
 In linea di fatto, la tesi di Herzl fu 
accolta all'inizio con una certa freddezza, anche tra gli ebrei 
d'Europa.
 Ma il suo promotore continuò a sostenerla, creando un'organizzazione sionista mondiale con il programma di creare in 
Palestina un «focolare ebraico». L'immigrazione segnò il passo negli ultimi anni del secolo, durante la dominazione ottomana, e assunse una certa consistenza soltanto negli anni successivi all'assunzione del mandato da parte della Gran Bretagna. Ma, come risulta con evidenza dalle tabelle riportate di seguito, senza l'avvento di Hitler al potere e senza le 
vicende della seconda guerra mondiale, il sionismo 
sarebbe difficilmente riuscito a portare la presenza ebraica in 
Palestina oltre la soglia necessaria per accampare diritti sostanziali.
 
 Tabella A.
 Immigrazione ebraica in Palestina tra il 1881 e il 1948
 
 
1881-1917 - 60.000  
1919-1925 - 35.000  
1924-1931 - 82.000  
1932-1938 - 217.000 
1939-1945 - 92.000
1946-1948 - 61.000
 
 Tabella B.
 Popolazione della Palestina tra il 1918 e il 1948
 
 
| Anno | 1918 | 1922 | 1931 | 1944 | 1948 |  
| Abitanti | 700.000 | 757.182 | 1.035.000 | 1.764.000 | 2.065.000 |  
| Arabi | 644.000 | 663.014 | 851.100 | 1.179.000 | 1.415.000 |  
| Ebrei | 56.000 | 83.794 | 174610 | 544.000 | 650.000 |  
| % | 8 | 11 | 16,8 | 31,4 | 31,4 |  
 Pure, il susseguirsi delle ondate di immigrazione, l’aggressività con cui il gruppo dirigente sionista perseguiva i suoi obiettivi (Haganà e Irgun Zvai Leumì, organizzazioni armate della destra sionista, che compiono attentati e massacri sia contro gli inglesi che contro gli arabi)
e, d'altra parte, la reazione del movimento nazionale palestinese, avevano creato, già alla vigilia della seconda 
guerra mondiale, una conflittualità talmente aspra da compromettere ogni prospettiva di convivenza.
 La proposta britannica, avanzata nel 1937, per una spartizione del territorio in due 
Stati fu respinta da entrambe le parti contendenti.
 
 Nel maggio del '42, la conferenza sionista di New York approvava il «programma del Biltmore», con la richiesta di uno Stato ebraico sull’ intero territorio palestinese.
 All’ interno del sionismo si erano delineate, in realtà, due 
«anime» e due correnti: una, maggioritaria, con David Ben 
Gurion come suo massimo esponente, socialisteggiante, consapevole dell'importanza decisiva che l'esistenza di un vasto 
consenso internazionale ai suoi obiettivi assumeva per la loro 
realizzazione, e quindi pragmatica nel definirli e gradualista; 
un'altra, minoritaria, politicamente a destra o all'estrema destra, intransigente nella rivendicazione dell’intera Palestina di 
prima del mandato britannico, compresa la parte a Est del 
Giordano, e legata al mito della «conquista» e alla pratica del
terrorismo, nonché a una visione antagonistica del rapporto 
con la comunità mondiale; i maggiori esponenti di questa tendenza erano Menachem Begin e Itzhak Shamir.
 La maggioranza avrebbe scelto, cinque anni dopo il Biltmore, il compromesso territoriale, come prezzo per la realizzazione dello Stato, e avrebbe governato quest'ultimo nel suo primo ventennio 
e oltre. L’opposizione avrebbe avuto la sua rivincita negli anni Settanta.
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