Leila Khaled, la prima donna nella
storia della lotta di liberazione nazionale palestinese ad aver partecipato
ad azioni in prima linea (negli anni rivoluzionari fu l'autrice di un dirottamento
aereo "pacifico", fatto per attirare l'attenzione del mondo sulla causa palestinese),
nacque ad Haifa, nel 1944, da una grande famiglia di sette sorelle e cinque
fratelli.
Aveva
solo quattro anni quando, insieme alla sua famiglia, fu costretta a lasciare
la Palestina, occupata dai coloni sionisti. Il loro rifugio, come quello di
tante altre famiglie della Palestina del nord, fu il Libano.
Alla famiglia Khaled fu risparmiata l'umiliazione della tenda per profughi assegnata
alle famiglie palestinesi in Libano, poiche' trovo' rifugio a Tiro, presso parenti.
Il papa' di Leila, che si era intanto unito alle forze rivoluzionarie restate
in Palestina a difendere la propria patria, raggiunse la famiglia dopo circa
un anno.
La madre di Leila rifiuto' ostinatamente ogni sistemazione definitiva in Libano
: "La nostra casa e' ad Haifa", ripeteva. Leila ricorda che, un giorno, era
bambina, cerco' di arrampicarsi su un albero di arance a casa di suo zio, a
Tiro, per prenderne una, ma fu aspramente sgridata da sua madre, che le disse:
"Mangerai le arance del nostro giardino, quando torneremo in Palestina".
Da allora, Leila non ha mai piu' mangiato un'arancia. "Mia madre", ha raccontato
recentemente Leila, "non cessava mai di ricordarci che il Libano era un rifugio
temporaneo.
Ricordo che tutti gli anni, il 15 maggio, vestiva di nero e non cucinava per
esprimere il suo lutto per la perdita della patria, della casa, di tutto".
La vita dei profughi palestinesi in Libano era estremamente difficile. L'unica
forza che dava a quella massa umana la spinta per sopravvivere era il pensiero
della terra brutalmente strappata: Leila aveva solo otto anni, quando partecipo'
alla prima manifestazione di protesta. "Gli insegnanti, che erano palestinesi,
non smettevano mai di ricordarci chi eravamo e perche' eravamo li'".
Dopo la licenza liceale, Leila frequento' per due anni l'Universita' americana
di Beirut, che fu costretta a lasciare per problemi finanziari.
Si era intanto unita al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina,
del dottor George Habbash, che si proponeva il ritorno dei profughi alle loro
case, nella patria liberata.
Erano quelli anni in cui non si parlava affatto del problema palestinese.
"Il mondo non sapeva, ne' si interessava di chi noi fossimo e per quale genere
di ingiustizia storica ci trovassimo in quelle condizioni miserabili. I
palestinesi non erano un popolo, con aspirazioni, ragioni e motivazioni, ma
una sorta di alieni relegati in campi di accoglienza.
I media erano tutti nelle mani dei nostri oppressori. I palestinesi non avevano
i media che li sostenessero ed erano completamente dimenticati dalla comunita'
internazionale".
Cosi, quando George Habbash le prospetto' la possibilita' di partecipare ad
un dirottamento aereo per risvegliare l'attenzione del mondo sulla tragedia
palestinese, Leila accetto' con entusiasmo. "Ci fu detto che l'operazione avrebbe
dovuto essere totalmente pacifica e dimostrativa. Avrebbe dovuto solo costringere
il mondo ad interrogarsi su chi fossero i palestinesi e per quale motivo erano
finiti, derelitti e dimenticati, nei campi profughi del Medioriente.
Ci fu detto che per nessun motivo avremmo dovuto mettere a rischio la vita e
l'incolumita' di un solo passeggero o di un solo membro dell'equipaggio, e che
avremmo dovuto solo, in ogni caso, difenderci".
Del suo primo dirottamento, Leila ricorda una bambina che indossava una maglietta
con su scritto: " Let's Be friends". "Avrei voluto dirle di non salire su quell'aereo.
Avrei voluto dirle che noi palestinesi volevamo essere amici con tutto il mondo,
ma che il mondo non voleva la nostra amicizia", ricordo' Leila in seguito.
Il primo dirottamento eseguito da Leila Khaled avvenne su di un aereo della
TWA, il 29 agosto 1969, sulla rotta da Roma ad Atene.
A 33.000 piedi di altezza, Leila ed un suo compagno, intimarono al pilota dell'areo
di deviare rotta e di atterrare a Tel Aviv. Intercettato e seguito da due aerei
da guerra israeliani, l'aereo non pote' atterrare a Tel Aviv, ma fece rotta
su Damasco.
Il pilota dell'aereo, in seguito, dichiaro' che Leila, a quel punto, gli chiese
di sorvolare Haifa, per guardare dall'alto la sua terra natale prima che l'aereo
si allontanasse dallo spazio aereo israeliano. "La giovane donna a quel punto
pianse", racconto' ai giornalisti il pilota dell'aereo, ad avventura conclusa.
Leila rifiuto' sempre di essere intervistata dai media, affermando con
candore: "Politicamente, io non sapevo nulla.
Sapevo solo che la Palestina e' la nostra terra, che e' occupata e che dobbiamo
lottare per liberarla". George Habbash, il leader del Fronte Popolare per la
Liberazione della Palestina, la convinse ad affrontare i media, dicendole che
c'e' un momento per lottare ed uno per riflettere, spiegare.
"I dirottamenti sono stati un mezzo per far conoscere al mondo la nostra causa,
e per far liberare i nostri compagni detenuti nelle carceri israeliane, specie
le donne.
Questo era un obiettivo politico ed all'epoca era accettabile, purche' nessuno
fosse sacrificato", dice Leila. Leila partecipo' alla lotta palestinese per
la liberazione fino al 1982, anno in cui l'OLP fu espulsa dal Libano. In quello
stesso anno, Leila sposo' un medico palestinese e si trasferi' ad Amman, in
Giordania, dove vive tuttora, occupandosi di volontariato, e dove sono nati
i suoi due figli.
Oggi e' una signora di 56 anni, che, con calma e malinconia, dice: "Vorrei essere
ricordata come una combattente per la liberta'.
A quelli che si riferiscono alla lotta di liberazione palestinese chiamandola
terrorismo, vorrei ricordare: chi e' che ha portato il terrorismo nelle
nostre vite?
Noi non abbiamo piantato il terrore nella nostra patria, e' il nemico che l'ha
fatto. Dunque i termini dovrebbero essere ristabiliti, sforzandoci, per una
volta, di vedere da dove e perche' il terrore e' venuto fuori." A proposito
dei dirottamenti, Leila dice: "Quel tempo e' finito. In un modo o in un altro,
oggi si parla dei palestinesi. Non e' piu' come prima. Questo processo di pace
e' un processo politico, ma non di pace.
Il bilancio delle forze pende tutto dalla parte di Israele.
La fine della resistenza palestinese avverra' solo quando una pace giusta
e dignitosa sara' raggiunta per tutti, non per pochi.
Ai miei figli dico sempre che devono ricordare di essere palestinesi. Devono
ricordare che i loro genitori sono coinvolti.
Essi vivono in una situazione completamente differente da quella del Libano
degli anni '70, ma sanno che hanno qualcosa da fare, nel futuro. Prima di tutto,
devono studiare e conoscere, perche' la conoscenza fa l'uomo ed il popolo. A
volte essi mi chiedono: Se volessimo combattere per la Palestina? Io rispondo:
Un giorno, se ne avrete l'opportunita', se ne sarete convinti, non esitate a
farlo.
Il piu' piccolo mi ha detto: E se dovessi morire? Gli ho risposto: Sarei fiera
di te, perche' hai lottato per il tuo popolo e per la tua terra".
Le parole di Leila Khaled sono tratte dall'intervista di Philip Baum, editore
della rivista "Aviation Security", che l'intervisto' il 5 settembre del 2000.
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