Al-Aqsa Intifada
di Noam Chomsky
Dopo tre settimane di guerra virtuale nei territori occupati da Israele,
il primo ministro Ehud Barak ha annunciato un nuovo piano per
determinare lo status finale della regione. Durante queste settimane,
oltre 100 Palestinesi sono stati uccisi, compresi 30 bambini, spesso dovuto "all'uso eccessivo di armi letali nelle circostanze in cui nè la
vita delle forze di sicurezza nè altri erano in pericolo imminente, con un esito di uccisioni illegali", ha cosi' concluso un rapporto dettagliato Amnesty International, che a malapena è stato accennato negli Stati Uniti.
Il rapporto tra Palestinesi e israeliani uccisi era allora di circa 15 a 1, e
riflette i mezzi di forza disponibili. Il piano di Barak non è
stato dato nel dettaglio, ma i contenuti sono conosciuti: sono conformi
"alla carta dello status finale" presentato da USA-Israele come base
per le trattative di Camp David fallite a
luglio.
Questo programma, estendeva la proposta respinta da
USA-Israele degli anni precedenti, chiamata la cantonizzazione dei territori che
Israele aveva conquistato nel 1967, con i meccanismi per accertarsi che la
terra e le risorse utilizzabili (soprattutto l'acqua) rimanessero in gran
parte nelle mani israeliane mentre la popolazione sarebbe stata amministrata da
una corrotta e brutale autorità palestinese (PNA), che svolgesse il ruolo tradizionalmente
assegnato alle colonie indigeni sotto le
varie regole imperiali: la direzione nera di Bantustans in Sud Africa, per
accennare soltanto l'analogia più evidente.
Nella West Bank, uno dei
cantoni al nord e' inclusa Nablus ed altre città palestinesi, un
cantone centrale è basato a Ramallah e un cantone del sud a
Bethlehem; Jericho deve rimanere isolato. I Palestinesi sarebbero cosi' esclusi
effettivamente da Gerusalemme, il centro della vita sociale palestinese.
Simile disposizione e' per Gaza, con Israele che mantiene la
regione litoranea del sud e il piccolo insediamento di Netzarim (il luogo delle recenti atrocita') e che con questa scusa mantiene
una grande presenza militare chiudendo le strade che separano la striscia sotto la
città di Gaza.
Queste proposte formalizzano il vasto insediamento ed i
programmi di costruzione che Israele sta conducendo, grazie alle entrate degli Stati Uniti, arrivati con maggiore energia, visto che gli
Stati Uniti hanno attuato la loro versione "del processo di pace"
dopo la guerra del golfo.
L'obiettivo delle trattative era di assicurare l'adesione ufficiale dell'ANP a
questo progetto. Due mesi dopo falliscono, e inizia l'attuale fase di violenza. La tensione, sempre piu' alta, e' stata raggiunta
quando il governo di Barak ha autorizzato la visita di Ariel Sharon con
1000 poliziotti nei luoghi religiosi musulmani (Al-Aqsa) giovedì 28
settembre.
Sharon è il simbolo stesso del terrore e dell'aggressione
israeliana, con un record ricco di atrocita' che iniziano al 1953. Lo scopo annunciato da Sharon era dimostrare "la
sovranità ebraica" sopra i resti di al-Aqsa ma, come il
corrispondente Graham Usher evidenzia, "l'intifada di al-Aqsa," come la chiamano i palestinesi, non è iniziata per la venuta
di Sharon; piuttosto, dalla massiccia presenza e intimidazione della polizia e dell' esercito che Barak ha introdotto il giorno successivo, al
giorno della preghiera.
Era prevedibile che ciò avrebbe portato agli scontri
mentre migliaia di persone affluivano dalla moschea, lasciando 7
Palestinesi morti e 200 feriti.
Qualsiasi altra cosa avessse potuto fare Barak, difficilmente sarebbe potuto essere più efficiente per scatenere le scioccanti atrocità scoppiate nei giorni successivi.
Lo stesso può essere detto sul fallimento dei negoziati, che si sono accentrati su Gerusalemme, una condizione osservata rigorosamente dai commentatori statunitensi.
Può darsi che il sociologo israeliano Baruch
Kimmerling stava esagerando quando ha scritto che una soluzione a questo
problema "potrebbe essere raggiunta in cinque minuti", ma ha ragione a
dire che "in ogni logica diplomatica questa sarebbe potuta essere
la questione più facile da risolvere (Ha'aretz, 4 ott.).
Chiaramente Clinton e Barak avrebbero dovuto sopprimere ciò che
stavano facendo nei territori occupati, che è molto più importante.
Perchè
Arafat era d'accordo? Forse perché riconosce che la leadership
degli stati arabi considerano i Palestinesi come un fastidio e non hanno grossi problemi a realizzare insediamenti stile Bantustan, ma non poteva chiudere gli occhi sulla
gestione dei luoghi religiosi, temendo la reazione del suo stesso popolo. Niente potrebbe essere stato calcolato meglio per scatenare
un conflitto con significati religiosi, il modo più ignobile, come i
secoli di esperienza rivelano.
La prima innovazione del nuovo piano di Barak è che le richieste di
USA-Israele devono essere imposte da una forza diretta anziché la diplomazia coercitiva
ed in forma brutale per punire le vittime che non si trovano d'accordo.
I profili sono nell'accordo di base delle politiche
stabilite informalmente nel 1968 (piano Allon) e nelle varianti
che sono state proposte da entrambi i raggruppamenti politici (il
piano Sharon, i piani del governo laburista ed altri).
È importante
ricordare che le politiche non sono state soltanto proposte, ma anche attuate,
con il sostegno degli Stati Uniti. Quel supporto è stato decisivo dal 1971,
quando Washington abbandonato il piano diplomatico di base che aveva
iniziato (la risoluzione 242 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite), perseguì di conseguenza il rifiuto unilateralmente di riconoscimento dei diritti palestinesi durante
gli anni seguenti, culminati "negli accordi di Oslo".
Poiché tutto
questo ha avuto effettivamente il veto degli Stati Uniti, ci vuole un po di tempo
per scoprire i fatti essenziali. Non sono
contrari, solo esclusi, evitati.
Come è stato notato, il piano di Barak è una versione particolarmente crudele di USA-Israele di riconoscere i diritti del popolo palestinese. Richiede la sospensione della fornitura
dell'elettricità, dell'acqua, delle telecomunicazioni e degli altri servizi che sono
distribuiti in misere razioni alla popolazione palestinese, che
ora è sotto l'assedio virtuale. Dovrebbe essere ricordato che lo sviluppo
indipendente è stato spietatamente ostacolato dal regime militare fin dal 1967,
lasciando la gente nella miseria e nella dipendenza, un processo che è
peggiorato considerevolmente durante gli "accordi di Oslo" tenuti sotto l'egida degli degli USA.
Uno dei motivi è
"la chiusura" (dei confini interni verso Israele ndr), istituita regolarmente e brutalmente più dai
governi laburisti.
Come fa notare un altra giornalista, Amira Hass, questa politica è iniziata con il governo di Rabin "anni prima che Hamas progettasse gli attacchi suicidi, ed è stata perfezionata nel corso degli anni, specialmente da quando si è creata l'Autorità Nazionale Palestinese".
Un efficiente meccanismo
di strangolamento e di controllo, "la chiusura" è stata
accompagnata dall'importazione di beni primari per sostituire il
lavoro poco costoso e sfruttato dei palestinesi su cui poggia gran parte
dell'economia: centinaia di migliaia di immigranti illegali provenienti da tutto il mondo, molti di loro vittime "delle riforme neoliberaliste" degli
anni recenti "della globalizzazione".
Sopravvivendo nella miseria e senza
diritti, sono descritti regolarmente come forze lavoro di schiavi
virtuali nella pressa israeliana. L'attuale proposta di Barak è di estendere questo programma, riducendo ancora più le prospettive anche per la sola
sopravvivenza dei Palestinesi.
Una barriera importante al programma è l'opposizione della Comunità commerciale
israeliana, che conta su un mercato palestinese prigioniero per
circa $2,5 miliardi di dollari nelle esportazioni annuali ed ha "collegamenti molto forti
con i funzionari dell'autorità palestinese" ed il consigliere
economico di Arafat, permettendo loro di detenere
monopolii con il consenso ufficiale del PNA" (Financial Time 22
ottobre; e anche il New York Times, dello stesso giorno).
Allo stesso modo hanno sperato di
installare zone industriali nei territori, trasferendo l'inquinamento e sfruttando la manodopera a basso costo nelle installazioni di "maquiladora-stile" possedute dalle imprese Israeliane e dall'elite palestinese, che stanno arricchendosi in modo spropositato.
Le nuove proposte di Barak sembrano essere più
un avvertimento che un programma, benchè siano un'estensione naturale di
ciò che è venuto prima.
Nella misura in cui sono effettuate,
estenderebbero il progetto "del trasferimento invisibile" che ha avuto
luogo nel corso di molti anni e che ha molto più senso della completa "pulizia etnica" (come noi chiamiamo il processo una volta tolti i
nemici ufficiali). Persone costrette ad abbandonare la speranza e a non avere opportunità per un'esistenza significativa andrà alla deriva altrove,
se avranno qualche probabilità di farlo.
I progetti, che hanno radici
negli obiettivi della tradizione del movimento sionista dalle sue origini
(attraverso lo spettro ideologico), sono stati articolati nella discussione
interna dal governo Arabista-Israeliano nel 1948 mentre la vera pulizia etnica era in corso: la loro aspettativa era che i rifugiati "sarebbero stati schiacciati" e "ammazzati" mentre "la maggior parte di loro si sarebbero trasformati
in polvere umana e sparpagliati nella società e unita alla classe più povera dei paesi arabi vicini".
I programmi attuali,
imposti dalla diplomazia coerciva o dall'uso della forza, hanno obiettivi
simili. Non sono irrealistici se possono contare sulla potenza mondiale
dominante e sui suoi intellettuali.
La situazione attuale è descritta esattamente da Amira Hass, nel quotidiano
più importante di Israele (Ha'aretz, del 18 ottobre).
Sette anni dopo
la dichiarazione dei principi del 13 settembre 1993 - che presagiva
questo risultato per chiunque avesse scelto di aprire gli occhi - "Israele
ha la sicurezza e il controllo amministrativo" della maggior parte della West
Bank e del 20% della striscia di Gaza. Ha potuto "raddoppiare
il numero degli insediamenti in 10 anni, ingrandire gli insediamenti,
continuare la sua politica discriminatoria di riduzione delle quote dell'acqua per tre milioni di Palestinesi, per impedire lo sviluppo
palestinese nella maggior parte della regione della West Bank, e
sigillare un'intera nazione in zone limitate, imprigionati in una rete
di strade ad uso esclusivo per gli ebrei.
Durante
questi giorni di rigorosa limitazione interna di movimento nella West Bank, si può vedere quanto ogni strada è stata accuratamente progettata:
cosicchè 200.000 ebrei hanno libertà di movimento, e circa tre milioni di
Palestinesi sono chiusi nei loro Bantustans finchè non si sottomettono alle
richieste israeliane. Il massacro che sta avvenendo da tre settimane è
il risultato naturale di sette anni di menzogne e di inganno, così come la
prima Intifada era il risultato naturale dell'occupazione israeliana".
I programmi di costruzione degli insediamenti continuano, con
il supporto degli Stati Uniti, o di chiunque sia in carica. Il 18
agosto, Ha'aretz notò che i due governi - Rabin e Barak - avevano
dichiarato che gli insediamenti "erano stati congelati", come d'accordo con gli
Stati Uniti e della maggiornaza della sinistra israeliana. Fecero uso del "congelamento" per
intensificare gli insediamenti, compresi gli incentivi economici per la
popolazione religiosa, le concessioni automatiche per i coloni
ortodossi ed altri dispositivi, che possono essere instaurati con
poche proteste mentre "il minore dei due mali" sembra prendere le
decisioni, un modello quasi sconosciuto altrove.
"C'è il congelamento e c'è
la realtà", osserva cautamente il rapporto.
La realtà è che gli insediamenti nei territori occupati si sono sviluppati oltre quattro volte più veloci che gli agglomerati urbani nel
territorio israeliano, continuando - forse accelerando -
sotto Barak.
Gli insediamenti portano con se grandi progetti di
infrastrutture destinati ad integrare gran parte della regione all'interno di Israele,
mentre lascia i Palestinesi isolati, pezzi di "strade palestinesi" che
sono percorse a proprio rischio e pericolo.
Un altro giornalista, Danny Rubinstein, precisa
che "i lettori dei giornali palestinesi hanno l'impressione (giustamente) che l'attività negli insediamenti non si arresti mai.
Israele sta costantemente sviluppando, espandendo e rinforzando gli
insediamenti ebraici nella West Bank e nella striscia di Gaza.
Israele sta inoltre prendendo case e terre nelle zone oltre la linea del 1967 - e
naturalmente, questo è tutto a scapito dei Palestinesi, per limitarli,
spingendoli in un angolo e poi fuori. In altre parole l'obiettivo è finalmente espropriarli della loro terra e della loro capitale, Gerusalemme"
(Ha'aretz, 23 ottobre).
I lettori della stampa israeliana, continua Rubinstein, sono in gran parte all'oscuro dai fatti sgradevoli, benchè non sia interamente così.
Negli Stati
Uniti, è molto più importante tenere la popolazione nell'ignoranza,
per ovvi motivi: i programmi economici e militari contano
fondamentalmente sul supporto degli Stati Uniti, che è sul piano nazionale
impopolare e sarebbe molto più difficile se i reali scopi fossero conosciuti.
Per illustrare, il 3 ottobre, dopo una settimana di amara lotta e di
uccisioni, il corrispondente della difesa di Ha'aretz ha segnalato "il più grande acquisto di elicotteri militari da parte dell'aeronautica israeliana in
un decennio, "un accordo con gli Stati Uniti per fornire a Israele 35
elicotteri militari Blackhawk ed i pezzi di ricambio ad un costo di $525
milioni di dollari, con il carburante per reattori, che è seguito poco prima dell'acquisto di
elicotteri di attacco Apache e aerei di perlustrazione.
Questi
sono gli elicotteri di attacco e multi-missione "più nuovi e più avanzati nell'inventario degli Stati Uniti, "aggiunge il Jerusalem Post".
Sarebbe falso dire che quelli che forniscono il regalo non possono non conoscere
i fatti.
In una ricerca nel database, David Peterson ha
trovato che questi fatti sono stati segnalati da Raleigh press (North Carolina).
La vendita degli elicotteri militari è stata condannata da Amnesty International (19 ottobre), perché questi "elicotteri forniti dagli USA sono
stati utilizzati per violare i diritti umani dei Palestinesi e degli arabi
israeliani durante il recente conflitto nella regione. "Sicuramente ciò è stato anticipato, eccetto il cretinismo avanzato.
Israele è stato condannato internazionalmente (solo gli Stati Uniti si sono astenuti) (e anche l'Italia ndr) per "uso eccessivo della forza", in una "reazione sproporzionata"
alla violenza palestinese. Ciò include persino la rara condanna della
ICRC, specificamente, per gli attacchi ad almeno 18 ambulanze della Croce
Rossa (NYT, 4 ott.) La reazione di Israele è che si sta facendo una critica ingiusta e sleale. La reazione è completamente esatta. Israele sta
impiegando la dottrina ufficiale degli Stati Uniti, conosciuta qui come
"la dottrina di Powell", vecchia di secoli: uso sproporzionato della forza in risposta ad ogni piccola minaccia.
La dottrina israeliana ufficiale permette "l'uso completo delle
armi contro chiunque mette in pericolo vite e particolarmente a chiunque spari
contro le nostre forze o israeliani" (consigliere legale militare
israeliano Daniel Reisner, FT, 6 ottobre). L'uso totale della forza da parte di un
esercito moderno include carriarmati, elicotteri, navi da guerra, tiratori scelti che puntano sui civili (spesso bambini), ecc. ..
La vendita
delle armi americane "non hanno una clausola che dice che le armi
non possono essere utilizzate contro i civili", ha sostenuto un funzionario del
pentagono"; ha "ammesso tuttavia che i missili anti-tank e gli elicotteri di attacco
non sono considerati tradizionalmente mezzi per il
controllo della massa" - tranne quelli abbastanza potenti per tenerli, sotto l'ala protettiva dei governi delle superpotenze.
"Non
possiamo non utilizzarle quando le nostre truppe sono sotto atttacco", dichiara un altro ufficiale degli Stati Uniti (Deutsche Presse-Agentur, 3 ottobre). Di conseguenza, tali mezzi letali devono essere forniti a flusso continuo.
Non è sorprendente che uno Stato, cliente degli Stati Uniti
adotti gli standard della dottrina militare americana, che ha
lasciato un pedaggio da pagare, soprattutto negli ultimi anni.
Gli Stati Uniti e Israele non sono i soli, naturalmente,
ad adottare questa dottrina, essa è stata a volte persino condannata: messa all'indice quando adottata da nemici che devono essere eliminati.
Un esempio
recente è la reazione della Serbia quando il suo territorio (come
gli Stati Uniti insistono che sia) è stato attaccato dai guerriglieri
albanesi, uccidendo la polizia Serba e rapinando i civili (albanesi compresi) con l'intenzione apertamente-annunciata di provocare "una risposta sproporzionata" che suscitasse l'indignazione
occidentale, e l'attacco militare della NATO.
Una documentazione molto ricca
dagli Stati Uniti, NATO ed altre fonti occidentali è ora disponibile; la
maggior parte è prodotta nello sforzo di giustificare i bombardamenti.
Ammettendo la credibilità di queste fonti, troviamo che la risposta
dei Serbi - è senza dubbio "sproporzionata" e criminale,ma non è paragonabile al ricorso degli standard della dottrina militare degli
Stati Uniti e dei suoi clienti, inclusa Israele.
Nei principali organi di stampa Inglese, possiamo continuare a leggere che "se i Palestinesi fossero neri, Israele ora sarebbe uno Stato Paria soggetto alle sanzioni economiche imposte dagli
Stati Uniti (che purtroppo non sono esatte).
Il suo sviluppo degli insedaimenti nella West Bank sarebbero visti come un sistema di
hapartheid, nel quale alla popolazione indigena è stato permesso di vivere in
una frazione molto piccola del proprio paese, nei "bantustans
auto-amministrati, con i 'bianchi che monopolizzavano il rifornimento di acqua
e di elettricità".
E come la popolazione nera veniva segregata nelle township sotto il Sud Africa bianco, così il trattamento degli arabi israeliani - discriminando nei loro confronti, negli alloggi e nelle spese di eucazione - potrebbe essere riconosciuto ugualmente scandaloso" (Observer, The Guardian, 15 ottobre).
Tali conclusioni non saranno una sorpresa a chi la visione non è
stata costretta dai paraocchi dottrinali imposti per molti anni.
La cosa più importante è rimuoverle nel paese più importante. Ciò è un
prerequisito per ogni reazione costruttiva al caos
e alla distruzione, abbastanza terribile per i nostri occhi e con
implicazioni crescenti che non sono piacevoli da immaginare.
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