Elezioni
palestinesi ora
di
Edward Said
Sei distinti appelli
per elezioni e riforme in Palestina sono stati lanciati: cinque di questi,
sono completamente inutili e irrilevanti ai fini della risoluzione della questione
palestinese. Sharon vuole la riforma per rendere ancora piu' impossibile la
vita nazionale palestinese, cioè una estensione della sua fallimentare politica
di costante intervento e distruzione. Egli vuole defenestrare Arafat, dividere
la West Bank in cantoni circondati da filo spinato, reinstallare un'autorità
occupante -preferibilmente con l'ausilio di qualche palestinese- continuare
l'attività di colonizzazione, e mantenere la "sicurezza" israeliana
continuando ad agire come ora. E' troppo accecato dalle sue allucinazioni
e ossessioni
per vedere che non porterà mai pace o sicurezza, e non porterà certo la calma
che continua ad invocare. Le elezioni palestinesi, nello schema di Sharon,
sono abbastanza ininfluenti.
Secondo fattore:
gli Stati Uniti vogliono le riforme principalmente come una forma per combattere
il cosiddetto terrorismo, una panacea
contenuta in una parola che non tiene conto della storia, del contesto, della
società o quant'altro. George W. Bush ha una viscerale antipatia per Arafat
e una incomprensione totale per la situazione palestinese. Dire che lui e
la sua trasandata amministrazione “vogliono” qualcosa significa dare dignità
a crisi, eccessi, partenze, ritrattazioni, denunce, dichiarazioni completamente
contraddittorie, missioni sterili da parte di vari ufficiali della sua amministrazioni
, e voltafaccia, con lo status di una volontà sovrastante, che ovviamente
non esiste.
Fondamentalmente incoerente, tranne quando deve soddisfare le pressioni e le scadenze della lobby israeliana e della destra cristiana della quale ora è il leader spirituale, la politica di Bush consiste fondamentalmente in richiami ad Arafat a farla finita con il terrorismo, e (quando vuole placare gli Arabi) richiami per qualcuno in qualche posto qualche volta a produrre uno stato palestinese e una grande conferenza, e alla fine per Israele, ad andare avanti avendo il pieno ed incondizionato supporto degli inclusa probabilmente la fine della carriera di Arafat. Oltre a questo, la politica americana attende di essere formulata da qualcuno, in qualche posto, qualche volta. Bisognerebbe ricordarsi che il Medio Oriente è una questione di politica interna, non estera in America e dipende da dinamiche interne alla società che sono difficili da predire.
Tutto ciò si adatta
perfettamente alle pretese di Israele, che non vuole niente di piu’ che rendere
la vita collettiva palestinese piu’ miserabile
e piu’ invivibile, sia attraverso incursioni militari che condizioni politiche
impossibili, in modo da soddisfare la delirante ossessione di Sharon di cancellare
per sempre i Palestinesi. Ovviamente ci sono israeliani che vogliono la coesistenza
con uno Stato palestinese, così come Ebrei americani che vogliono cose simili,
ma nessuno di questi gruppi ha un potere determinante ora. Sharon e Bush conducono
la partita.
Come terzo fattore,
ci sono le varie richieste del leader Arabi per quanto posso dire sono una
combinazione di diversi elementi, nessuno di questi direttamente utile ai
Palestinesi stessi. Prima di tutto è la paura dei loro stessi popoli che sono
stati testimoni della massiccia e sostanzialmente impunita distruzione dei
territori palestinesi da parte di Israele, senza nessuna seria interferenza
o tentativo di deterrenza da parte dei governi arabi. Il piano di pace venuto
fuori dal summit di pace di Beirut ha offerto a Sharon precisamente quello
che Sharon
ha rifiutato, cioè terra in cambio di pace ed è una proposta senza denti,
ancor meno una con una scadenza. Mentre potrebbe essere una buona cosa averla
fatta come contrappeso alla nuda politica di belligeranza di Israele, non
dobbiamo avere illusioni sui suoi reali scopi, che come il
richiamo alle riforme per il governo palestinese sono dei “gettoni” concreti
per aizzare le popolazioni arabe che sono assolutamente
stanche della mediocre inattività dei loro governanti. In seconda istanza,
ovviamente, c’è la pura esasperazione della maggior parte dei regimi arabi
con l’intera problematica palestinese. Costoro non sembrano avere nessun problema
ideologico con Israele come stato ebraico senza nessuna frontiera dichiarata,
, che permane nell’occupazione illegale di Gerusalemme, della striscia di
Gaza e della West Banda 35 anni, o con l’espropriazione delle terre palestinesi:
sono preparati ad adattarsi tranquillamente a queste terribili ingiustizie
se solo Arafat e il suo popolo volessero o
adattarsi o andare via tranquillamente. Terzo punto, ovviamente, è il desiderio
di lunghissima data dei leader arabi di ingraziarsi gli Stati Uniti e gareggiare
tra di loro per il titolo di piu’ importante alleato degli Stati Uniti. Probabilmente
sono semplicemente inconsapevoli di quanto siano sprezzanti la maggior parte
degli americani e quanto sia poco capito o quanta poca attenzione sia prestata
al loro status politico e culturale negli Stati Uniti. Il quarto fattore nelle
elezioni palestinesi è che nel coro delle riforme ci sono gli Stati europei.
Ma sono solo preoccupati di mandare emissari per vedere Sharon e Arafat, fanno
squillanti dichiarazioni a Bruxelles, finanziano pochi progetti e piu’ o meno
lasciano la situazione così com’è, tanto grande è l’ombra degli Stati Uniti.
Quinto fattore, è Yasser Arafat e il suo circolo di amici che hanno improvvisamente scoperto le virtu’ (almeno teoricamente) della democrazia e della riforma. So che parlo da una grande distanza dal campo di battaglia , e conosco anche tutte le argomentazioni su Arafat assediato come potente simbolo della resistenza palestinese contro l’aggressore israeliano, ma sono giunto ad un punto in cui niente di tutto ciò ha qualche significato ora. Arafat è semplicemente interessato a salvare se stesso.
Ha avuto anche dieci
anni di libertà per governare su un angusto regno, ed è riuscito essenzialmente
a portare obbrobrio e disprezzo su se stesso e sulla maggior parte del suo
team; l’autorità è diventata sinonimo di brutalità, autocrazia e corruzione
inimmaginabile. Perché qualcuno possa pensare che a questo punto egli sia
capace di qualcosa di differente, o questo suo nuovo governo “semplificato”
(dominato dalle stesse vecchie facce di sconfitti e incompetenti) produrrà
riforme, bisogna che abbia perso la ragione. Egli è un leader di un popolo
che sta soffrendo
da lungo tempo, che l’anno scorso ha sottoposto ad inaccettabili sofferenze
e privazioni, il tutto basato su una combinazione di una sua assenza di in
piano strategico e la sua imperdonabile abbandono alle tenere grazie di Israele
e degli Stati Uniti via Oslo. I leader dell’indipendenza e dei movimenti di
liberazione non hanno interesse ad esporre i loro popoli inermi alla brutalità
di un criminale di guerra come Sharon, contro il quale non c’è stata reale
difesa o preparazione avanzata. Perché allora provocare una guerra le cui
vittime sarebbero prevalentemente persone innocenti quando non si ha né la
capacità militare per portarla avanti né la levatura diplomatica per porvi
fine? Avendolo fatto tre volte
(Giordania, Libano, West Bank), Arafat non dovrebbe avere una possibilità
per portare avanti un quarto disastro.
Ha annunciato che
le elezioni prenderanno luogo all’inizio del 2003, ma la sua reale concertazione
è riorganizzare il servizio di sicurezza. Ho spesso fatto notare da queste
colonne che l’apparato di sicurezza di Arafat fu designato principalmente
per servire lui ed Israele, dal momento che gli accordi erano basati sul suo
aver stretto un accordo con l’occupazione militare israeliana. Israele si
interessa solo della sua sicurezza,
per la quale ritiene Arafat responsabile. (una posizione, comunque, che egli
ha volontariamente accettato fin dal 1992).
Nello stesso tempo
Arafat ha usato i 15 o 19 o chissà qual è il numero giusto dei gruppi che
giocavano gli uni contro gli altri, una tattica che ha perfezionato con Fakahani,
è che è evidentemente stupida, tanto poco concerne il bene pubblico. Non ha
mai seriamente leso gli interessi di Hamas e Jihad islamica, il che si adattava
perfettamente agli interessi di Israele: sarebbe stata una scusa pronta per
usare gli attacchi
suicidi dei cosiddetti (sconsiderati) martiri per debilitare e punire l’intero
popolo.
Se c’è qualcosa nel
rovinoso regime di Arafat che ci ha procurato piu’ danno come causa è la calamitosa
politica di uccidere i civili palestinesi, che fornisce una ulteriore prova
al mondo che noi siamo indubbiamente terroristi e un movimento immorale. A
che pro nessuno è in grado
di dirlo.
Avendo perciò stretto
un patto con l’occupazione attraverso Oslo, Arafat non è mai stato in una
posizione tale per guidare un movimento
per porre fine a tutto ciò. E ironicamente, sta provando a fare un altro patto
ora, sia per salvare se stesso che per provare agli Stati Uniti,
Israele e agli altri regimi arabi che egli si riserva un’altra chance. Personalmente
non ho alcun interesse per ciò che Bush, o i leader arabi, o Sharon dicono:
sono interessato in ciò che noi come popolo pensiamo del nostro leader, e
quindi penso che dobbiamo essere assolutamente chiari nel rigettare il suo
intero programma di riforme, elezioni, riorganizzazione del governo e servizi
segreti. La sua lista di fallimenti è troppo noiosa e la sua capacità di leader
troppo indebolita per provare di nuovo a salvarsi per un altro tentativo.
Sesto fattore, finalmente,
è il popolo palestinese che sta giustamente chiedendo a gran voce riforme
ed elezioni. Per quanto mi riguarda,
questa richiesta a gran voce è l’unica legittima tra i sei fattori che ho
sottolineato finora. E’ importante sottolineare che la presente amministrazione
di Arafat così come il Legislative Council hanno sorpassato i termini originali,
che avrebbero dovuto avere fine con un nuovo round di elezioni nel 1999. Comunque,
l’intera base delle elezioni furono gli accordi di Oslo, che in effetti semplicemente
dava la possibilità ad Arafat e al suo popolo di regnare su pezzettini della
West Bank e di Gaza per gli Israeliani, senza vera sovranità o sicurezza,
dal momento che Israele detiene il
controllo delle frontiere, della sicurezza, della terra (sulla quale ha duplicato,
se non triplicato, gli insediamenti), acqua e aria. In altre parole, la vecchia
base per le elezioni e le riforme, che sono stati gli accordi di Oslo, è ora
completamente inutile. Qualsiasi tentativo di andare avanti in questo tipo
di piattaforma è un inutile stratagemma e non produrrà né riforme né reali
elezioni. Perciò l’attuale confusione che provoca in ogni palestinese ovunque
il sentire delusione e amara frustrazione.
Cosa si può fare se la vecchia base della legittimazione palestinese non esiste piu’? Certamente non ci può essere nessun ritorno ad Oslo, non piu’ di quanto ci possa essere una legge giordana o israeliana.
Come studente di
periodi di importanti cambiamenti storici, dovrei mettere in luce che quando
una maggiore rottura con il passato è successa, (come durante il periodo seguente
la caduta della monarchia per la rivoluzione francese, o con la sconfitta
dell’apartheid in Sud Africa prima che le elezioni del 1994 prendessero piede),
una nuova base di legittimazione è stata creata è stata creata dall’unica
e sola fonte di autorità,
il popolo stesso.
I rilevanti interessi
nella società palestinese, quelli che hanno fatto andare avanti la vita, dai
sindacati, ai lavoratori della salute, insegnanti, contadini, avvocati, dottori,
oltre a tutte le ONG devono ora diventare le basi sulle quali la riforma palestinese-
nonostante le incursioni di
Israele e l’occupazione- deve essere costruita. Mi sembra inutile aspettare
che Arafat, o l’Europa, o gli Stati Uniti, o gli Stati arabi facciano ciò:
deve essere assolutamente fatto dai palestinesi stessi attraverso una assemblea
costituente che contenga i maggiori elementi della società palestinese. Solo
questo tipo di gruppo, costruito dal popolo stesso e non dalle rimanenze di
Oslo, certamente non dai consunti frammenti dell’ autorità priva di credito
di Arafat, può sperare di avere successo nel riorganizzare la società dalla
rovinosa, senza dubbio catastrofica e incoerente condizione nella quale si
trova. Il lavoro base per questo tipo di assemblea è costruire un sistema
di ordine emergenziale che ha due scopi: uno, fare in modo che la vita palestinese
continui in modo normale con piena partecipazione di tutti coloro che ne sono
coinvolti; due, scegliere un comitato esecutivo d’emergenza il cui mandato
sia porre fine all’occupazione, non negoziare con essa. E’ abbastanza ovvio
che non c’è partita per Israele. I kalashikoff non sono armi efficaci quando
il rapporto di forza è così sbilanciato. Ciò di cui si ha bisogno è un metodo
di lotta creativo che mobilizzi tutte le risorse umane a nostra disposizione
per illuminare, isolare, e gradualmente rendere insostenibili i principali
aspetti dell’occupazione israeliana per esempio, insediamenti, bypassroad,
blocchi in mezzo alla strada, e demolizione delle case.
L’ attuale gruppo intorno ad Arafat è indubbiamente incapace di pensare a
tale strategia e ancor meno eseguirla: è in evidente stato
fallimentare, troppo immerso in corrotte pratiche egoiste, troppo bruciato
dagli errori del passato.
Per lavorare in questa prospettiva palestinese bisogna che ci sia una componente israeliana fatta da individui e gruppi con i quali si possa stabilire senza dubbio una comune base contro l’occupazione.
Questa è la grande lezione della battaglia sudafricana: essa propose una visione di una società multirazziale dalla quale nessun individuo né i gruppi e i leader possano essere distolti.
L’unica visione che
viene fuori da Israele è la violenza, la separazione forzata, e la continua
subordinazione dei palestinesi all’idea della supremazia ebrea. Non tutti
gli israeliani credono in queste cose, ovviamente, ma deve prendere piede
in noi l’idea della coesistenza in
due Stati che hanno naturali relazioni gli uni con gli altri sulla base della
sovranità ed uguaglianza. La corrente principale del sionismo non è stata
capace di produrre una tale visioni, così deve venire fuori dal popolo palestinese
e dai nuovi leader la cui nuova legittimità deve essere costruita ora, nel
momento in cui tutto va giu’ e tutti sono ansiosi di rifondare la Palestina
a propria immagine e somiglianza.
Non abbiamo mai affrontato
un momento peggiore e allo stesso tempo così cruciale. L’ordine arabo è diventato
confusione, l’amministrazione degli Stati Uniti è effettivamente controllata
dalla destra cristiana e dalla lobby israeliana (in 24 ore tutto ciò in cui
Bush sembrava d’accordo con Mubarak è stato rovesciato dalla visita di Sharon)
e la nostra società è stata completamente devastata da una leadership debole
e
dall’insanità di mente di pensare che gli attacchi suicidi porteranno direttamente
ad uno Stato palestinese islamico.
C’è sempre speranza per il futuro, ma bisogna sapere guardare e trovare il
posto giusto. E’ abbastanza chiaro che in assenza di
qualsiasi politica seria palestinese o araba negli Stati Uniti (specialmente
nel congresso) non possiamo per il momento illuderci che Powell e Bush sono
pronti a stabilire una discussione sul riassestamento della Palestina. Ecco
perché dico che gli sforzi devono essere da parte nostra, per noi. Sto perlomeno
suggerendo un altro tipo di approccio. Chi altro se non il popolo palestinese
può costruire la legittimità di cui hanno bisogno e combattere l’occupazione
con armi che non uccidano gli innocenti e perdere meno consenso? Una giusta
causa puo’ facilmente essere sovvertita da mezzi cattivi o inadeguati o corrotti.
Prima si procede, migliori chance abbiamo di tirarci fuori da questa impasse
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