Intervista sul G8 a Noam Chomsky

"Io, professore di ribellione contro i nuovi tiranni del pianeta"

Il semiologo americano Noam Chomsky, teorico del movimento antiglobalizzazione: "Peccato non essere a Genova"

ANAIS GINORI

«Peccato non esserci», dice con sincera tristezza. Ha ancora la passione di un ragazzino Noam Chomsky, nato a Filadelfia 73 anni fa. Dal suo studio nel Massachusetts, segue la preparazione della contestazione al G8 di Genova: legge aggiornamenti su Internet, risponde ad alcuni gruppi antagonisti che lo cercano. «Ho troppi impegni accademici. Peccato, davvero: a Genova si prepara una battaglia epocale». Non ci sarà, ma le sue idee sì. Uno dei suoi ultimi libri, La società globale, è la bibbia del popolo di Seattle. Ha tracciato un'equazione che i ragazzi adesso citano a memoria: «Aumenta la circolazione dei capitali, diminuisce quella dei diritti umani».

E' sempre stato un contestatore radicale, Chomsky. Da trent'anni insegna semiologia al Massachusetts Institute of Technology. Ma è più famoso per il suo impegno politico, un militante anarchicosocialista che ha teorizzato la «grammatica della rivoluzione». Ha iniziato ai tempi del Vietnam, quando fu arrestato durante una marcia pacifista e veniva censurato perché alla parola «guerra» sostituiva «invasione». Oggi resta un clandestino in patria, disserta contro l'industria della pena di morte, l'ipocrisia della guerra umanitaria e la favola della new economy.

Professor Chomsky, chi sono i nuovi ribelli che assedieranno Genova?

«Non sono nuovi, sono vecchi, nel senso che sono quelli di sempre. Rappresentano la maggioranza della popolazione e sono una componente storica di qualsiasi società. La protesta popolare torna a farsi sentire ogni volta che si attraversa un pesante periodo di oppressione sociale, com'è accaduto dagli anni Settanta in poi. Li considero ribelli nell'accezione scritta da Tom Paine, duecento anni fa: persone che recuperano diritti naturali nell'interesse dell'umanità».

Contro il G8 sfileranno preti, anarchici, sindacalisti. Ci sono davvero interessi comuni?

«Fermare il modello dominante, che è quello del neoliberismo. La liberalizzazione della finanza sta creando un modello da Terzo Mondo, con una politica stabilita dallo Stato e dalla multinazionali, con settori ricchissimi, una gran massa di miseria e una popolazione superflua, priva di ogni diritto perché non contribuisce alla produzione di profitto, l'unico valore umano attualmente riconosciuto».

Da Seattle in poi, sta nascendo un nuovo pensiero non allineato?

«Durante la guerra fredda la contestazione era più facile. Quando il mondo è governato da due gangster, uno più potente e uno meno, esiste un certo spazio per il non allineamento. Quando ne resta uno solo, quello più potente questo margine scompare. Ecco perché anche i più ferventi anticomunisti del Terzo Mondo descrivono la fine dell'Urss come una specie di flagello per il Sud».

Nell'agenda del G8 sono previste molte azioni per aiutare i paesi poveri.

«Invece del G8 bisognerebbe riunire il G77, il summit dei paesi poveri che adesso raggruppa 133 nazioni e rappresenta circa l'80% della popolazione mondiale. Il G77 si è riunito nell'aprile 2000, è stata una grande occasione totalmente ignorata».

Chi manifesterà a Genova dice di non riconoscere la legittimità di Bush, Putin, Berlusconi e degli altri leader. Eppure sono capi di stato eletti democraticamente.

«I governanti devono rendere conto a due tipi di elettori: ai cittadini che votano e al "senato virtuale" composto dalle multinazionali. Il senato virtuale è un gruppo ristretto di investitori capaci di governare nazioni tramite i flussi di capitale, le oscillazioni di borsa e la regolazione dei tassi di interesse. Appena uno stato ipotizza scelte nell'interesse collettivo come il welfare o l'autodeterminazione, loro minacciano di portare all'estero i capitali. Gli Usa e tutti i governi più potenti sono fantocci manipolati da questi senatori mascherati. Un tempo c'erano i dittatori, adesso ci sono i tiranni privati. Fanno gli stessi danni ma non hanno responsabilità pubbliche».

La nascita di Internet è una speranza per la democrazia?

«Purtroppo ci sono parassiti privati tipo Bill Gates che stanno avendo il sopravvento su un sistema di informazione come Internet, creato pubblicamente. Il loro scopo è di trasformarlo in qualcosa come la tv: servizi commerciali a domicilio, propaganda, indottrinamento. Naturalmente, le tirannie private cercheranno di eliminare o ridurre la libertà che ha prevalso finora in Internet».

Lei è l'ideologo di questo movimento ma appare pessimista: i ragazzi di Seattle sono solo dei sognatori?

«Ribellarsi ai padroni dell'universo, come li ha chiamati il Financial Times con involontaria ironia, è naturale. Il movimento è nato già da qualche anno ma le proteste sono difficili da ignorare quando arrivano in una grande città americana come Seattle o nel cuore dell'Europa, a Genova, quando i giovani ricchi predicano una nuova e inattesa solidarietà con i paesi poveri e quando questa protesta riunisce categorie sociali un tempo contrapposte, come gli ambientalisti e i sindacati. Ma finché la gente preferirà parlare di una partita di calcio invece che degli orfani dell'Aids continuerò ad avere i miei dubbi».

Anche lei, professore, scenderà in piazza prima o poi?

«Cerco di conciliare i miei studi con l'impegno sociale. Ma non chiamatemi intellettuale impegnato: il vero impegno è partecipare a proprio rischio ai fenomeni sociali e criticare veramente il potere. Nel Novecento è accaduto solo a gente come Sartre e Russell. Il resto è inazione e vanità».

 

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