Surriscaldati
di Gennaro Corcella
su Guerre&Pace n. 44 novembre 1997 |
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Il continuo aumento della temperatura della terra potrà avere in futuro devastanti conseguenze sociali, economiche e ambientali. Interessi di parte hanno finora impedito la riduzione dell'effetto serra, tra le principali cause del surriscaldamento. Le prospettive dell'imminente summit di Kyoto.
Le stime effettuate dagli studiosi dell'atmosfera sull'evoluzione climatica della terra sono decisamente allarmanti. Si sta andando verso un progressivo surriscaldamento del pianeta, che causa un graduale innalzamento del livello dei mari a un ritmo di mezzo metro per secolo e la temperatura della terra aumenterà mediamente
di 4°C entro il 2100. Negli ultimi 10.000 anni non si era mai registrato un incremento termico così rapido come nella nostra epoca.
Per il futuro, tutti i modelli climatici esistenti predicono che la temperatura aumenterà 10-100 volte più velocemente che nel passato.
Si può già dire che gli anni Novanta
sono sicuramente il decennio che ha fatto
registrare la massima escursione termica:
il dato e particolarmente rilevante soprattutto se si considera che si sono verificati
eventi naturali tendenti invece a provocare un raffreddamento, come l'eruzione del
vulcano di Monte Pinatubo nel 1991 o il
minimo raggiunto nell'evoluzione ciclica
della potenza della radiazione solare.
COSA POTRÀ SUCCEDERE
Non è possibile fare previsioni del tutto attendibili su quelle che potranno essere le conseguenze reali di questo surriscaldamento. Si e tuttavia pressoché certi che
potrà avere un impatto disastroso dal punto di vista sociale, economico e ambientale: problemi per l'agricoltura e l'industria,
rottura delle catene alimentari tra le diverse specie viventi, aumento delle siccità e
delle inondazioni, che colpiranno soprattutto le isole, le zone in prossimità dei
delta dei fiumi e tutte le terre al di sotto di
una certa altitudine rispetto al livello del
mare.
Per avere un'idea dell'entità di questi
disagi si pensi che i circa 100 milioni di abitanti del Sudafrica rischiano di diventare una sorta di "rifugiati ambientali" a
causa delle carestie che minacciano l'agricoltura di questo paese. I danni economici
dovuti a catastrofi atmosferiche, pari a 2
miliardi per anno nello scorso decennio,
dal 1990 ad oggi hanno già raggiunto i 12
miliardi di dollari e le predizioni per il futuro non sono certo positive.
L'EFFETTO SERRA
Le ricerche sin qui condotte e in particolare il rapporto dell'Intergovernmental
Panel on Climate Change, un organismo
dell'ONU che riunisce 2500 scienziati di
diversi paesi, sembrano confermare che il
surriscaldamento della terra non è un processo esclusivamente naturale, ma indotto
in modo significativo dall'azione umana.
Una delle cause principali è l'effetto
serra. I gas dell'effetto serra, anidride carbonica (CO2) in primo luogo, quindi metano (CH4), ossido di azoto (N2O) e fluorocarburi (CFC, HCFC, HFC, ecc.), si formano in seguito a processi di combustione
in cui vengono utilizzati combustibili fossili quali carbone o petrolio, si accumulano nell'atmosfera e costituiscono così una
"trappola" per la radiazione solare, facendo salire la temperatura terrestre. Attualmente la loro concentrazione nell'atmosfera è di 90 parti su un milione e, anche
se si dovessero ridurre le emissioni del
50%, le proiezioni stimano comunque una
densità di almeno 140 parti entro il 2050.
Il riscaldamento della terra, come ogni fenomeno fisico, avviene infatti con un certo ritardo rispetto alla produzione delle
cause che lo determinano: le attuali condizioni climatiche, per esempio, sono gli effetti dei gas prodotti negli anni Sessanta,
quando cioè lo sviluppo industriale era
molto inferiore a oggi.
Studi realizzati da geologi e simulazioni al computer hanno inoltre rivelato
che l'aumento della temperatura atmosferica interagisce in modo dinamico con i
processi che hanno luogo negli oceani. In
particolare, il surriscaldamento rallenta la
crescita del fitoplancton presente nelle acque oceaniche e capace di assorbire carbonio: ciò fa aumentare l'anidride carbonica nell'atmosfera dando un ulteriore
contributo all'effetto serra. Anche gli alberi assorbono anidride carbonica, ma il
crescente sviluppo industriale, assieme alle sempre più frequenti operazioni di disboscamento specie nei paesi del Sud del
mondo, fanno si che le foreste non siano
più capaci di assimilare tutta la quantità di
gas prodotta.
LA SITUAZIONE AI POLI
Un incremento della temperatura tre
volte più rapido della media si registra ai
poli. Nel decennio 1983-1993 la velocità
di formazione dei ghiacciai artici è stata
inferiore di un decimo rispetto alla loro
fusione.
Al Polo Nord la zona di Tuktoyakut,
sulla costa artica, è stata intrappolata tra la
tundra e le acque del mare il cui livello si è
innalzato. La primavera che giunge una
settimana prima, le temperature in costante aumento e la liquefazione dei ghiacci
hanno inoltre causato frane e colate di
fango nella regione di Mac Kenzie.
Il surriscaldamento ha ridotto l'estensione di ghiaccio nel mar di Groenlandia e
in particolare la Ogden Feature, una striscia di ghiaccio che fino a qualche anno fa
costituiva una pompa naturale per le correnti d'acqua dell'Atlantico settentrionale.
Poiché ora essa non e più in grado di svolgere questo compito come in passato, si
teme che in futuro si possa indebolire la
Corrente del Golfo, che rende l'Europa
settentrionale più calda delle altre regioni
a pari latitudine. Il Nord Europa, in controtendenza rispetto al resto del pianeta,
potrebbe dunque andare incontro a un
progressivo raffreddamento.
Anche nella Siberia settentrionale si
sono registrate le più alte temperature estive del millennio, e ciò sta gradatamente
spostando verso nord la foresta boreale.
Lo smembramento della foresta boreale e
l'alta temperatura della tundra causano inoltre emissioni in eccesso di anidride
carbonica e metano.
Dalla parte opposta del globo, all'Antartide, l'aumento del 50% della durata
della stagione estiva e un incremento medio di 2,5°C hanno avuto conseguenze
dannose sull'ecosistema: tra queste, l'estinzione di alcune specie di pinguini dovuta alla minore quantità di ghiacciai e alla mancanza delle alghe, parte essenziale della loro dieta. In prospettiva si teme un collasso del blocco di ghiaccio dell'Antartide occidentale, che poggia direttamente
sul fondo dell'oceano: ciò provocherebbe
una gigantesca inondazione che investirebbe in pochi giorni parte delle terre emerse e centinaia di città a bassa quota, come Londra e Giakarta.
LE COLPE DELLA BANCA MONDIALE
Al surriscaldamento concorre anche la
Banca Mondiale, che continua a finanziare progetti in cui sono utilizzati proprio i
combustibili responsabili dell'effetto serra. Sono già stati spesi 9,4 miliardi di dollari e altri 4,1 saranno investiti nell'immediato futuro.
Si tratta, al solito, di iniziative che in
teoria dovrebbero aiutare i paesi del Terzo
Mondo e in particolare le aree più depresse, prive di elettricità e di fonti energetiche, ma che in realtà raggiungono spesso
effetti opposti. Studi del WWF dimostrano che solo 2 dei 56 progetti finora finanziati dalla BM hanno raggiunto lo scopo prefissato. Secondo uno studio dell'Institute for Policy Studies e dell'International
Trade Information Service la maggior
parte dei finanziamenti si traduce in profitti per le industrie e solo il 10% viene
speso per dotare le popolazioni di elettricità o di fonti energetiche alternative.
Si valuta che i progetti già approvati
aggiungeranno circa 36 miliardi di tonnellate di anidride carbonica per anno alle
27,6 che già sono prodotte. Oltre che nelle
aree in via di sviluppo, la BM finanzia anche altrove imprese che poi si rivelano
dannose per l'atmosfera terrestre. In Russia, per esempio, sta cooperando con alcune miniere private di carbone che nel loro
complesso emetteranno una quantità di
gas di effetto serra pari a 10 volte quella
correntemente emessa in un anno.
Al tempo stesso, paradossalmente, la
BM finanzia il Global Environmental Facility, un'istituzione che si occupa proprio
di individuare strategie per combattere il
surriscaldamento atmosferico...
I CONTRASTI TRA I PAESI ASIATICI
Nel continente asiatico gli interessi
contrapposti e il tentativo da parte di alcuni stati di entrare al più presto nell'élite
del mondo industrializzato impediscono
serie politiche ecologiche. Questi contrasti sono emersi nel corso di un meeting tenutosi la scorsa estate a Manila per analizzare le conseguenze per l'Asia ed il mondo intero delle mutazioni climatiche.
Se Malaysia, Filippine e Thailandia si
dicono disponibili a cercare di diminuire
la produzione di anidride carbonica e altri
gas dannosi, la situazione dell'Indonesia e
più complessa. Trattandosi di un arcipelago, si temono i futuri innalzamenti dei livelli marini, ma c'è chi ha paura di una
forte crisi economica qualora venisse meno la richiesta di petrolio che l'Indonesia
produce.
L'India e la Cina, quest'ultima al secondo posto nel mondo per la produzione di CO2, non intendono assolutamente arrestare il loro sviluppo industriale e indicano i paesi occidentali come i principali colpevoli dei problemi climatici. E’ vero che la maggior parte dei gas è attualmente di provenienza occidentale, tuttavia, se non si attuano politiche adeguate, tra circa 30 anni si prevede il "sorpasso" da parte del Terzo Mondo in questa corsa verso il surriscaldamento globale. E’ già adesso gli stati asiatici del Pacifico, proprio quelli maggiormente esposti ai rischi futuri, sono responsabili del 25% dell'anidride carbonica atmosferica.
LE PROPOSTE DEL SUMMIT DI RIO
La comunità internazionale, ormai
consapevole dei rischi, sta cercando di elaborare strategie che riducano l'emissione dei gas. In occasione della Conferenza
dell'ONU per l'Ambiente e lo Sviluppo
tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, i rappresentanti di 160 governi hanno sottoscritto un trattato per combattere l'aumento di temperatura, con l'impegno dei paesi
industrializzati di diminuire l'emissione
dei gas di effetto serra entro il 2000. A distanza di tempo, però, la maggioranza dei
paesi industrializzati non ha rispettato gli
accordi. L'emissione di anidride carbonica da parte degli USA, al primo posto in
questa classifica, aumenterà addirittura
del 13% entro il 2000, quella dell'Unione
Europea e del Giappone del 6%. Un'indagine dell'International Energy Agency stima che, se non si interverrà adeguatamente, la concentrazione di effetto serra sarà pari al 17% nel 2000 e al 49% nel 2010 rispetto al 1990. I soli paesi occidentali
hanno già prodotto un aumento del 4%
nel quinquennio 1990-1995. La Gran Bretagna e la Germania sono tra i pochi paesi
in regola rispetto al patto di Rio: è stato
pero il realismo politico ed economico,
non il desiderio di proteggere l'ambiente,
a far chiudere l'industria del carbone britannica e le fabbriche della Germania Orientale ritenute inefficienti.
Al summit Rio Plus Five dello scorso
marzo si è discusso anche delle condizioni
climatiche presenti e future, prendendo atto che gli accordi del 1992 si sono rivelati
inadeguati e ampiamente disattesi. L'Unione Europea ha proposto che gli stati
più industrializzati programmino una riduzione del 15% dell'emissione di CO2
N20 e CH4 da oggi fino al 2010, con un
valore intermedio del 7,5% entro il 2005;
dopo il 2010 verrebbero invece presi in
considerazione gli altri gas. Pur trattandosi di una proposta avanzata rispetto al passato, essa e tuttavia ritenuta insufficiente
dall'AOSIS, l'organismo che riunisce le isole dei paesi in via di sviluppo, secondo
cui occorrerebbe almeno una riduzione
del 20% entro il 2005 e altrettanto tra il
2005 e il 2010. Gli USA, il Giappone ed il
Canada si sono invece rifiutati di intraprendere iniziative esplicite per la prevenzione dell'effetto serra e di fissare qualsiasi riduzione delle emissioni per il prossimo futuro.
Più in generale, si riscontra una forte
opposizione degli stati la cui economia dipende in modo decisivo dalle esportazioni
verso i paesi produttori di petrolio. Gli USA e la Nuova Zelanda, inoltre, si dicono
disponibili a considerare le esigenze ambientali solo se lo faranno anche i paesi in
via di sviluppo.
L'APPUNTAMENTO DI KYOTO
A dicembre si terra a Kyoto, in Giappone, un nuovo incontro tra i diversi governi per discutere di clima ed elaborare
un programma comune. La speranza, non
solo degli ecologisti, è che per una volta
si mettano da parte gli interessi particolari
e si trovi un accordo per il bene del pianeta.
Ci si interroga soprattutto sulla posizione degli USA, in quanto Clinton non si
è ancora pronunciato a riguardo. I più potenti industriali statunitensi hanno però
già avviato una campagna pubblicitaria
avvertendo che un'eventuale diminuzione
dell'emissione dei gas sotto accusa danneggerebbe in modo grave l'economia nazionale e farebbe fallire alcune piccole imprese. Lo scorso luglio il Senato ha votato all'unanimità una risoluzione secondo
cui gli USA non firmeranno mai alcun accordo che preveda diversi obblighi tra
Nord e Sud del mondo o possa danneggiare la loro economia.
Un'altra potenza capitalista che ben
poco ha fatto finora per diminuire l'effetto
serra è il Giappone. E’ recentissimo l'annuncio che i governanti nipponici proporranno a Kyoto un "taglio" del 5% entro il
2010 rispetto al 1990. WWF e Greenpeace giudicano assolutamente insufficiente
questa dichiarazione d'intenti e sostengono che tale decisione e stata fortemente
influenzata dagli USA e dalle lobby industriali locali. In un comunicato ufficiale,
Greenpeace parla di una "disgrazia internazionale" che potrebbe aver luogo se a
Kyoto passasse la linea giapponese, che
ritarderebbe di almeno dieci anni la messa
in atto di interventi efficaci per prevenire i
cambiamenti climatici. Le autorità del
Giappone non hanno inoltre detto nulla,
finora, su come intendono porre il pur esiguo limite all'effetto serra; il primo Ministro Hashimoto ha semplicemente affermato che una riduzione del solo 5% metterebbe già a rischio quasi due milioni di
posti di lavoro e diminuirebbe notevolmente la produzione industriale, mentre
secondo il WWF anche misure più consistenti (14-15%) potrebbero essere adottate
senza danni rilevanti all'economia nazionale, Si potrebbe cominciare a ridurre l'uso eccessivo di automobili diesel e a benzina o la potenza spesa per illuminare i
supermercati e i centri commerciali giapponesi.
UN POSSIBILE RIMEDIO: LA "RIVOLUZIONE SOLARE"
Se da una parte è indispensabile ridurre in modo drastico le emissioni dei gas
che concorrono all'effetto serra, dall'altra
è urgente sostituire i combustibili fossili
con fonti di energia ecocompatibili. Si è
soliti parlare al riguardo di "rivoluzione
solare", cioè della possibilità di utilizzare
come sorgente alternativa l'energia trasportata dalla radiazione elettromagnetica
proveniente dal sole. Ciò è possibile sfruttando l'effetto fotovoltaico, cioè la proprietà di particolari diodi a semiconduttore ("celle fotovoltaiche") di convertire la
potenza della radiazione solare in potenza
elettrica utilizzabile. Questa applicazione
consente inoltre un risparmio energetico
che compensa ampiamente le spese necessarie per la ricerca e per la produzione di
questa fonte alternativa.
Qualcosa in questa direzione si sta
muovendo: il ministero giapponese del
Commercio con l'Estero ha stanziato 130
milioni di dollari per porre su 70.000 case
dei tetti a celle fotovoltaiche; le maggiori
industrie giapponesi dell'elettronica hanno inoltre annunciato che nei loro programmi futuri rientra l'impiego sempre
più frequente dell'energia solare. Il governo britannico si è rivolto ai responsabili di
Greenpeace perché venga convocata una
Solar Task Force che supporti adeguatamente l'industria solare. Nel Sud del
mondo l'impiego dell'effetto fotovoltaico è avvenuto con notevole ritardo a causa delle difficoltà di accedere ai produttori delle celle a semiconduttore e di ottenere i
prestiti bancari necessari per acquistarle.
Ora questi ostacoli sono stati parzialmente
superati e anche paesi come il Bangladesh, la Cina e l'India cominciano a usare energia solare.
In conclusione la "rivoluzione solare"
e la ricerca di nuovi fonti energetiche potrebbero essere una soluzione ai problemi
esistenti e una valida strategia per coniugare efficienza e tutela dell'ambiente.
FONTI: "Vital Signs" 1997; D. Edwards, Hot air; IPS-Inter Press Service; G. Dauncey,
Stand for the solar revolution and the collapse of the Antartic.
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