BUENOS AIRES - La violenza di Mitch non era imprevedibile. Di anno in anno gli uragani si fanno più frequenti e più devastanti: la forza del vento cresce, i danni aumentano, il numero delle vittime sale. Le cifre che danno la misura della progressione del disastro sono contenute in un rapporto della Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) degli Stati Uniti distribuito alla Conferenza sul riscaldamento globale che si svolge a Buenos Aires. L'istituto americano ha censito 37 catastrofi climatiche da almeno un miliardo di dollari di danni avvenute a partire dal 1980. Ebbene, 31 di questi 37 flagelli si sono concentrati nel decennio '88- '98, il decennio più caldo dal 1880.
E' possibile considerare semplicemente casuale una simile serie di dissesti climatici? "Questa concentrazione di eventi è in linea con le previsioni dell'Intergovernamental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite: nel processo di mutamento climatico ci si aspetta di trovarsi di fronte a fatti del genere", risponde Alex Alusa, responsabile del settore atmosfera dell'Unep, il programma ambiente dell'Onu. "Tuttavia il periodo preso in considerazione è troppo breve. Non possiamo affermare con certezza scientifica che Mitch sia una conseguenza dei processi fisici causati dall'uomo bruciando combustibili fossili e deforestando il pianeta. Anche se i sospetti continuano a crescere".
Nella lista di questi sospetti figurano indiziati di primo piano. Ad esempio Andrew, l'uragano che nel 1992 ha devastato la Florida e la Louisiana provocando danni per 27 miliardi di dollari. O la siccità della scorsa estate che negli States ha prodotto 6 miliardi di danni e almeno 200 morti. O gli effetti devastanti causati dal Niño del '97-'98.
Secondo l'Unep il livello del rischio è così alto da rendere urgente una contromossa: bisogna smettere di consumare petrolio e alberi alla velocità attuale, cioè investire in tecnologie per migliorare l'efficienza energetica e in fonti alternative come il solare, l'eolico, le biomasse. Ma non tutti sono disposti a pagare il pedaggio per la transizione energetica: alla conferenza di Buenos Aires il fronte del rinvio ha acquistato forza e si sta saldando un cartello di Paesi che, per evitare contrasti tra il Nord e il Sud del mondo, vogliono guadagnare tempo. Per altri però questo guadagno si trasforma in una perdita secca. E' il caso del settore assicurazioni che ormai dichiara ufficialmente di non essere più in grado di fronteggiare il livello di esposizione causato dall'aumento degli "eventi estremi", cioè siccità, alluvioni, uragani.
Già tra il 1990 e il 1991, a causa di una delle prime ondate di disastri climatici i Lloyd's di Londra hanno perso 4,4 miliardi di dollari spingendo 8 mila soci del cartello a cambiare genere di affari. E da quel momento il mondo assicurativo vive nel terrore che un uragano della potenza di Andrew colpisca una grande città. Per ora il settore si è limitato ad evitare di stipulare polizze nelle zone a maggior rischio, ma si tratta di un palliativo. Nel 1997 il dissesto climatico è costato alle assicurazioni altri quattro miliardi e mezzo di dollari rischiando di mettere in ginocchio un'industria con un budget annuale che supera i 2.300 miliardi di lire.
E il '98 ha ripetuto il canovaccio dell'anno precedente rincarando la dose. E' stato un succedersi ininterrotto di alluvioni (50 mila senzatetto in Russia, 80 mila in Corea, 2 mila morti in Cina), siccità (180 milioni di dollari di danni a Cuba, il 90 per cento delle riserve di riso distrutto nelle Filippine), incendi (centinaia di migliaia di ettari di foresta bruciati in Borneo, 10 mila focolai in Messico), uragani (oltre un miliardo i dollari di danni in Perù).
Una situazione che, secondo gli ambientalisti, non consente ulteriori rinvii del piano di riconversione energetica. Ieri un gruppo di attivisti di Greenpeace ha scalato l'obelisco davanti al teatro Colon chiedendo di non bruciare più di un quarto delle riserve di combustibili fossili. E il Wwf ha rinnovato la richiesta di misure immediate: "Ogni anno la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera aumenta dell'1 per cento", afferma Aldo Jacomelli. "Se non passiamo a una forma di energia meno inquinante dovremo fronteggiare ogni anno fenomeni come Mitch. E visto che per pulire il cielo ci vuole tempo bisogna cominciare subito: solo intervenendo con grande determinazione riusciremo ad evitare che l'aria si trasformi in un nemico".
(3 novembre 1998)