Pasquale Abatangelo, Renato Arreni, Paolo Cassetta, Geraldina Colotti,
Prospero Gallinari, Maurizio Locusta, Remo Pancelli, Teresa Scinica, Bruno
Seghetti.
Ancora una volta la possibilità di far approvare una legge di indulto è
fallita. Ormai sono otto anni che vanno avanti questi tentativi senza che
si riesca a giungere ad un provvedimento. In questa occasione la necessità
di una soluzione politica che chiudesse un periodo storico è stato posta
dalle alte cariche istituzionale: il Presidente della repubblica e della
camera Violante.
Ed anche se Scalfaro ha parlato di una soluzione " non
generalizzata ", il suo intervento è stata interpretato dal mondo politico
come un’apertura ad una legge d'indulto. Le alte cariche dello Stato hanno
usato il problema della soluzione per i prigionieri politici del conflitto
armato degli anni 70, in occasione dei 50 anni della Repubblica, per porre
la necessità di una pacificazione dei conflitti seguiti alla lotta di
liberazione nazionale. Quindi si riconosce che un conflitto c'è stato. Ed è
stato un conflitto cruento che ha lasciato lutti da tutte e due le parti.
Se ai "ragazzi di Salò" si riconosce che avevano le loro ragioni, anche le
generazioni della lotta armata ( 5.000 arrestati ) furono spinte da ragioni
ideali, in un contesto storico nazionale e internazionale fortemente
segnato da uno scontro sociale e politico violento. Il fatto che le alte
cariche istituzionali sentano la necessità di porre il problema di una
soluzione politica è la dimostrazione di quanto i detenuti politici
facciano ormai parte del vissuto storico del paese. Questo
indipendentemente dalla volontà e dai giudizi dei singoli e dalla
incapacità del ceto politico, nel suo insieme, a dare soluzione al problema
per interessate ricostruzioni politiche e miserabili calcoli elettorali.
Questo è l'unico aspetto concreto, da cui occorre partire per investire in
ogni modo la società reale. Le prese di posizione ai livelli alti delle
istituzioni ha fatto credere, agli addetti ai lavori, che questa volta ci
fosse qualche possibilità di giungere ad un provvedimento.
Tant'è che la
lobby dei tangentisti, Casini, segretario del Ccd in testa, ha subito
alzato il prezzo, per legare la soluzione politica per i prigionieri
politici a quella per tangentopoli. In una lettera al Corriere della sera
Casini affermava che non si poteva avere "una doppia morale": tenendo in
carcere chi ha usato il voto di scambio e del finanziamento illegale dei
partiti, con cui la classe politica della prima repubblica ha governato; e
scarcerando chi ha usato la violenza politica per sovvertire quella
dirigenza politica. Occorre avere, a questo punto, la determinazione e la
forza di dire che le responsabilità maggiori dell'esplosione del conflitto
armato sono dello Stato e della classe dirigente al potere allora, (servizi
segreti e interessi internazionali compresi) con le bombe del 69 e la
strage di Piazza Fontana.
Un atto di vero e proprio terrorismo, che
impediva a tutti di dirsi innocenti da quel momento in poi, e che metteva
fine all'alibi di una democrazia pacifica. 10 anni di stragi impunite lo
stanno a dimostrare, cosi come le decine di militanti di sinistra uccisi
dalle forze di polizia durante le manifestazioni di massa. Non era un
democrazia pacifica, se neanche con il 51% si potevano vincere le elezioni
e fare i cambiamenti richiesti dalle lotte sociali. E questa non era una
convinzione solo della sinistra rivoluzionaria di quegli anni, ma la
constatazione del segretario del più grande partito comunista dell'Europa
occidentale all’opposizione, con il 36% di voti. Il PCI cercava un
compromesso "storico" con la DC: - il partito di mafiosi, stragisti e
corrotti, dove chi non era colpevole era comunque complice, sapeva e taceva
-, per evitare che anche in Italia si ripetesse l'esperienza Cilena, dove
un governo di sinistra democraticamente eletto, fu rovesciato dai militari
con la complicità della DC cilena, e l'appoggio Americano. Ora che anche
questa tornata di chiacchiere e proposte sull'indulto si è chiusa, ancora
una volta senza concludere nulla, come negli ultimi 8 anni, dobbiamo
decidere cosa fare.
Con raffinati ragionamenti politici, che farebbero
quadrare il cerchio, potremmo arrivare a concludere che ci sarà
l'occasione, tra qualche anno, magari con la Bicamerale e le riforme
istituzionali conseguenti. Ovviamente sappiamo che tutto questo non è vero,
perché ragionamenti raffinati non si addicono in una situazione di scontro
per bande di potere, armate o meno, che si sta svolgendo all'interno dello
Stato tra parlamento e Magistrati; partiti politici, forze economiche e
boiardi di Stato. Uno scontro diverso da quello degli anni 70 certo. In
quel decennio, infatti erano gli operai e le classi subalterne, a
contendere alla borghesia, a una classe politica corrotta e mafiosa il
potere politico, per difendere il quale questi ultimi non esitarono a
scatenare una reazione terroristica fatta di stragi. Questo è stato lo
snodo politico che ha caratterizzato il conflitto degli anni 70 e che ha
animato le passioni di migliaia di giovani, di settori operai, di pezzi
importanti di società che non intravedevano nelle risposte delle classi
dominanti la soluzione ad alcuna richiesta di dignità e giustizia
accettabile, ma unicamente il perpetuare di un sistema sociale economico e
politico profondamente ingiusto. Incapace di rappresentare l'interesse
collettivo, geneticamente predisposto e strutturato a difesa di interessi
diametralmente opposti a quelli dello studente proletario,
dell'universitario deprofessionalizzato, del disoccupato, dell'operaio
sfruttato, della donna discriminata, delle diversità rimosse e represse.
Riconoscere la legittimità politica a chi ha combattuto per una società
diversa significa per forza di cose ammettere che questa società deve
essere diversa e che le operazioni di facciata finiscono per eludere e
spesso per acutizzare piuttosto che risolvere le ragioni profonde di un
frattura sociale, di una ingiustizia di fondo che attraversa e frantuma la
società. Per i partiti di centro sinistra, a parte lodevoli eccezioni,
questo è impossibile. Oltre l'interesse di classe, c'è un concetto di
democrazia e di giustizia che fa da spartiacque, divide e caratterizza il
dibattito politico sulla prigionia, cosi come su ogni questione sociale o
istituzionale. Nel terzo settore come sull'immigrazione, sul lavoro come
sui diritti, fino al sistema di rappresentanza politica si sente il peso di
una concezione sociale profondamente elitaria, discriminante, autoritaria,
sicuramente non alternativa ai processi di globalizzazione che condizionano
il dibattito e la cultura politica. La stessa questione delle vittime e
della violenza politica decontestualizzata diventa lo specchio deformante
con il quale si cancellano i costi tremendi di un conflitto lacerante,
profondo, vero che ha visto tante vittime, tante stragi e che nessuno può
permettersi di dimenticare.
Come area di prigionieri politici abbiamo
sempre sostenuto che mai si sarebbe arrivati alla liberazione dei
prigionieri politici, se non ci fosse stato un dibattito a più voci, che
ricostruisse il contesto storico, le ragioni e le scelte politiche di tutti
i soggetti che hanno vissuto quel conflitto cruento ; che facesse chiarezza
nell'opinione pubblica, e riequilibrasse i giudizi e le verità sul perché
di quello scontro. Questo renderebbe un paese più cosciente e maturo, in
grado di riappropriarsi della propria storia e non vivere nell'oblio, senza
memoria. Occorre che una parte della società, quella più sensibile - non
compromessa con il potere, né con il pensiero dominante - le realtà sociali
della sinistra di base si facciano carico del problema della soluzione
politica dei prigionieri . Che lo tolgano dalle mani di un ceto politico
incapace e compromesso, per portarlo a vivere nella società reale
attraverso i molteplici e diversi linguaggi con cui oggi comunica. Per far
sì che un paese maturo si riappropri della propria storia e memoria senza
la censura dei poteri "occulti", ai quali interessa di più un paese senza
memoria! L'unica memoria che resta oggi è solo quella dell'emergenza, come
politica concreta dello Stato per affrontare le questioni sociali, i
diritti, i conflitti: l’armamentario emergenziale, dunque, è divenuto
l'unico modo con cui si rapporta. Un paese senza memoria, incapace di
elaborare le ragioni, ormai divenute storia, dello scontro sociale degli
anni 70, è un paese che si incarognisce nell'affrontare i problemi
dell'oggi, problemi vecchi e nuovi, riuscendo unicamente a cancellare tutte
le conquiste precedenti, senza la capacità di elaborare soluzioni che
aiutino ad arricchire la coscienza sociale del paese. Non a caso l'area che
oggi in particolare subisce ancora questa cappa emergenziale sono i centri
sociali e tutte le forme autorganizzate di base dei lavoratori che
difendono i diritti delle classi più deboli.
Un paese senza memoria è un
paese senza storia; senza storia è un paese senza coscienza dell'oggi.
Ormai ci chiediamo e chiediamo a voi, se non ci sia una volontà politica di
impedire ai prigionieri, che non si sono né pentiti né dissociati, di
parlare, prendere parola sulla storia degli anni 70 senza dover raccontare
versioni di comodo, ravvedute e corrette ad uso delle ricostruzioni di
partito, ed essere testimoni scomodi di quel periodo storico - di cui tutti
parlano solo per scaricare su altri le responsabilità delle loro scelte e
della sconfitta politica. Forse questo silenzio si romperà solo, e una
volta che sia consumata una vendetta di Stato, quando i prigionieri
politici finiranno la loro esistenza in carcere, o in una "libertà" senza
diritto di parola. Crediamo che i Centri Sociali in prima persona possano
farsi promotori della lotta per la liberazione dei prigionieri politici,
perché pensiamo da sempre che siano il soggetto sociale e politico più
legittimato storicamente a rivendicarli. Crediamo che sia anche un percorso
da seguire come riappropriazione di memoria e identità per l'antagonismo
sociale, culturale che oggi essi esprimono e rappresentano. Ci piacerebbe
che tutta l'area dell'antagonismo "allo stato presente delle cose", fosse
in grado di rappresentare ed essere depositaria della memoria dell'"altra
storia"; quella scritta dalle lotte sociali e dai movimenti rivoluzionari
comunisti di questo paese.
Di sottrarla alla penna dei "vincitori". Che un
patrimonio umano di esperienze e coscienza, non si disperda, che non accada
ciò che è accaduto con la generazione di comunisti precedente la nostra,
con cui è stato reso impossibile ricostruire un percorso comune di
riflessione sull'"utopia" possibile nel presente.