VOLONTARIATO IN CARCERE



Le nostre considerazioni sul volontariato sembreranno forse viziate dalle particolari condizioni favorevoli in cui esso si trova ad operare dentro un carcere come Rebibbia, grazie soprattutto all'intelligenza di una Direzione che ha spalancato le porte alle tante forme di volontariato e incoraggiato il coinvolgimento dei detenuti nelle più svariate attività culturali e ricreative. Cionondimeno, queste considerazioni scaturiscono dalla concezione generale che abbiamo del carcere, e che in genere noi riassumiamo evidenziando il fatto che secoli di utilizzo di questo strumento hanno dimostrato il fallimento della sua funzione di prevenzione e di repressione, visto che non hanno certo contribuito a ridurre o modificare in positivo la quantità e le caratteristiche dei reati commessi (soprattutto nelle grandi metropoli).
Noi siamo consapevoli che l'esperienza storica fin qui maturata ci parla del fallimento del carcere, pur non fornendoci ancora gli strumenti con cui superarlo definitivamente. E tuttavia, chiunque ragioni seriamente su questo tipo di problemi, non può non rendersi conto che la base principale della reiterazione permanente dei comportamenti illegali va anzitutto ricercata nella realtà sociale, oltrechè nella cultura dominante che rappresenta il denaro come unica misura della ricchezza nelle relazioni umane.
Riteniamo per altro una semplice assurdità continuare a imperniare il rapporto tra il reato e la pena esclusivamente sulla reclusione, poichè è appunto illusorio pretendere di rieducare e risocializzare le persone attraverso l'azzeramento pressoché totale di tutte le loro più importanti relazioni sociali, come quelle con la famiglia, con il mondo del lavoro, con la scuola e la cultura, con l'altro sesso e con l'affettività in generale. In realtà, su questa strada si azzerano di fatto le caratteristiche vitali degli uomini e delle donne reclusi.
In questo sistema punitivo, ciò che si instaura è un presunto metodo rieducativo in cui domina il binomio premio/punizione, il che rende praticamente impossibile un lavoro che favorisca la maturazione della coscienza attraverso esperienze concrete di risocializzazione con il mondo esterno.
Le associazioni di volontariato si trovano allora ad operare in questo contesto ed a nostro avviso, già nell'immediato, hanno soltanto due possibili alternative: o snaturare il loro programma, abbandonando quel fine di civiltà e di progresso che sarà il superamento del carcere, oppure sostenere le tante piccole "battaglie" necessarie affinché la società si liberi progressivamente di esso.
Nessuno più di noi, che ogni giorno subiamo l'umiliazione della reclusione, è consapevole che tutti i passaggi in questa direzione vanno effettuati con la dovuta pazienza, e che a volte è necessario rallentare, ripiegare e perseguire con tenacia i nostri obiettivi attraverso strade più lunghe.
Del resto, è con questa consapevolezza che continuiamo a chiedere nell'immediato 3 "semplici" cose:
1) una Legge che, una volta per tutte, impedisca la condanna alla reclusione per tutte le persone affette da gravi malattie, oltrechè migliori condizioni sanitarie all'interno del carcere;
2) la Riforma generale del Codice Penale, a partire dall'abolizione generalizzata dell'ergastolo, fino alla depenalizzazione dei reati minori, ed in particolare di quelli legati allo stato di tossicodipendenza; 3) e in ultimo, il progressivo smantellamento delle carceri speciali, all'interno delle quali è di fatto annullato il fine rieducativo e risocializzante della pena e del trattamento intramurario.
Ma pur coscienti che la società ancora non ha costruito tutti gli strumenti necessari per sostituire l'uso generalizzato del carcere, vogliamo però ribadire che è semplicemente fuorviante presentarlo come una sorta di feticcio, e non già come un prodotto transitorio della storia.



Ecco quindi la nostra più importante richiesta nei confronti del volontariato laico e cattolico: non rinunciate a "pensare in grande", non rinunciate agli obiettivi finali di civiltà e di progresso in nome del contingente, altrimenti gli inevitabili condizionamenti del carcere vi porterebbero ad accettare un ruolo di puri e semplici impiegati dell'Istituzione invece di svolgere verso di essa una critica costruttiva.
Senza un chiaro e solido indirizzo generale, anche il necessario sostegno economico dello Stato, degli Enti Locali, delle banche e persino dei privati, si potrebbe trasformare in una particolare "moneta di scambio", ossia nel tentativo di fare assumere alle associazioni questa o quella linea di intervento a seconda del momento e del luogo in cui esse si trovano ad operare. Il rischio, insomma, è che a volte le associazioni siano spinte a divenire "più realiste del Re". Ci rendiamo conto che nella maggioranza delle carceri per le associazioni è molto difficile mantenere la loro coerenza, anche perché non è facile trovare una Direzione come quella di Rebibbia.
Noi siamo però convinti che le associazioni, nel loro complesso, sapranno "volare alto", e perseguire di volta in volta i loro obiettivi contando anzitutto su quei movimenti sociali che guardano al futuro, prima ancora che sulle promesse dei vari partiti politici, il cui operato troppe volte risponde a logiche opportunistiche. Dentro il carcere, lavorando con coerenza, il volontariato può allora contribuire ad elevare la coscienza dei detenuti verso un possibile futuro qualitativamente diverso.
Mentre all' esterno, oltre quel muro maledetto che ci separa dalla vita sociale, esso deve invece contribuire ad "educare", con pazienza ed attraverso mille linguaggi e mille piccole esperienze, i milioni di uomini e di donne che aspirano ad una trasformazione in positivo di quei profondi squilibri sociali che sono in definitiva la base stessa dei più reiterati comportamenti illegali.
Un passaggio concreto che a nostro avviso già nell'immediato costituirà un importante banco di prova per il volontariato è, ad esempio, quello della "decarcerizzazione" per i reati minori, da tutti e tante volte auspicata ma purtroppo rimasta sempre lettera morta.
Già la stessa possibilità di modificare il tipo di pena prevista per alcuni reati, assumendo come riferimento i lavori socialmente utili, permetterebbe al volontariato (ed anche ai vari operatori penitenziari) di "spostare" progressivamente una parte del loro intervento verso l'esterno.
In questa direzione, il volontariato dovrebbe essere sostenuto, senza alcuna riserva o contropartita, dallo Stato, dagli Enti Locali, dalle Università e dalle Associazioni Imprenditoriali, nella costruzione di quelle "sperimentazioni di carattere culturale e lavorativo" che a nostro avviso sono i "collettori" necessari per facilitare la risocializzazione di chi viola la Legge, aiutandolo a ri/costruire quotidianamente i propri stili di vita e i metodi di riflessione e di comunicazione con la società esterna.
Su questo piano si trasformerebbe, un po'alla volta ma completamente, quella sorta di strano gioco di specchi che è la cosiddetta "osservazione scientifica della personalità", la quale oggi avviene esclusivamente dentro le mura del carcere. A quel punto, la verifica pratica della reale trasformazione di chi ha violato la Legge si potrà finalmente basare sulla quantità e qualità delle sue relazioni sociali, ossia sulla più importante tra le ricchezze degli uomini. Saranno già questi dei piccoli ma importanti passaggi lungo la strada, certamente difficile ma a nostro avviso già oggi percorribile, che porterà al superamento del carcere.

Roma lì, 15 novembre 1996 Papillon

Ulteriori notizie al piu' presto.



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