LIBERIAMOCI DEL CARCERE
PIATTAFORMA
Alcuni dati
-
- 230 Istituti di pena funzionanti in Italia
- 50000 persone detenute (48000 uomini e 2000 donne) in strutture progettate per 32000
- 100000 e oltre ingressi annui
- 30000 persone sottoposte a misure alternative (4000 con rientro serale in carcere)
- 0,6% di infrazioni ai benefici (fughe o ritardi)
- 10000 persone condannate a meno di 3 anni
- 800 e oltre condannati/e all'ergastolo
- 26% in attesa di giudizio (43% in attesa di sentenza definitiva)
- 40 % circa delle persone detenute per reati legati alle sostanze stupefacenti
- 3000 tra detenuti e detenute sieropositivi accertati e 350 in Aids conclamato
- 1 morto/a per suicidio ogni 3 giorni
- 2 morti cosiddette "naturali" ogni 3 giorni
- 11000 immigrati e immigrate (10000 uomini e 1000 donne)
- 1100 in Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG)
- 200 e oltre detenuti e detenute politiche
- 11000 lavoranti interni (meno di 200 con attività lavorative indipendenti dal carcere)
- 1500 persone con lavoro esterno (tra articolo 21 e semilibertà)
- 1% della spesa carceraria riservata ad attività "rieducative"
- 1 educatore in media ogni 300 detenuti/e
- 50 e oltre tra bambini e bambine sotto i 3 anni dietro le sbarre
- 500 giovani (1 ragazza ogni 9 ragazzi) in Istituti Penali Minorili (2000 ingressi annui)
Premessa
Roma, Settembre 1998
L'Assemblea "Liberiamoci del carcere" si riunisce da quasi un anno. Nata sull'emergenza dettata dal rifiuto di
prorogare la sospensione della pena per motivi di salute a Salvatore Ricciardi, ha saputo poi elaborare in maniera
sempre più approfondita un discorso abolizionista che riguardasse i vari aspetti dello strumento repressivo per
eccellenza: il carcere.
Partendo dalla drammaticità del rapporto carcere - malattia abbiamo individuato i vari settori su cui intervenire.
Abbiamo dato vita a occupazioni, sit-in e visite-denuncia nelle carceri di Roma.
Nel Maggio 98 si è svolta la Street Parade che ha portato oltre 5000 persone a circondare il carcere di
Rebibbia.
La vicenda di Salvatore Ricciardi ci ha accompagnato lungo tutto questo percorso: il suo arresto a Marzo, il
ricovero d'urgenza in ospedale a Maggio, le udienze del Tribunale di Sorveglianza per una nuova sospensione
della pena sono state anch'esse occasioni di mobilitazione.
Il lavoro più impegnativo è stato la stesura della Piattaforma.
Pensare al carcere nel suo complesso ha significato affrontare questioni mai elaborate approfonditamente da
parte del "movimento".
Non abbiamo voluto fermarci ai casi individuali, alla questione della detenzione politica o della repressione nei
nostri confronti.
Abbiamo invece voluto allargare il discorso a tutte le persone che soffrono la repressione carceraria e riuscire a
interloquire anche al di fuori del "movimento".
Abbiamo così dato alla luce questa parziale e lacunosa Piattaforma che intendiamo come un lavoro in divenire:
cambierà man mano che il dibattito e l'esperienza cresceranno.
Questa che vedete è già una seconda versione rispetto a quella presentata alla Street Parade.
Le azioni effettuate hanno visto la collaborazione tra l'Assemblea e strutture di movimento e associazioni. E' una
pratica che ci auguriamo funzioni anche in futuro e sappia estendersi anche a quel che riguarda la discussione
concernente questa Piattaforma.
SALUTI E LIBERTÀ
Assemblea permanente
Liberiamoci del carcere
Scriveteci a :
outout@usa.net
Una considerazione
Fin dal suo concepimento il carcere svolge la funzione di luogo dove isolare e punire quei fenomeni di disagio
sociale a cui non si sa, o più probabilmente non si vuole, dare altra risposta. Il tutto volendo far credere che la
detenzione possa servire alla rieducazione ed al reinserimento nel "corpo sociale". Che questo non avvenga salta
agli occhi sia fermandosi a riflettere sul dato che la stragrande maggioranza di chi è stato in carcere vi fa ritorno
per lo stesso reato (evidentemente perché una volta fuori è nuovamente sospinto nella precarietà e
nell'esclusione), sia osservando le condizioni imposte all'interno delle carceri: sovraffollamento, mancanza di
medicinali, infermerie fatiscenti, operatori sanitari e sociali insufficienti, percosse, isolamento,
censura, negazione di ogni forma di affettività.
Il carcere sembra allora essere il luogo destinato all'annientamento della persona e come tale non ha
ragione di esistere!
Non si può d'altronde aspettare l'abolizione del carcere senza intervenire subito/ora per "svuotarlo" il più possibile
e per far rispettare i diritti e i bisogni di ogni persona anche se in regime di detenzione.
La situazione italiana
Nel corso dell'ultimo decennio la situazione carceraria italiana ha subito notevoli cambiamenti. Da un lato vi è
stata la riforma del sistema carcerario legata all'entrata in vigore della Legge Gozzini, dall'altro si è assistito ad
un notevole aumento della popolazione detenuta che ha portato alle attuali condizioni di sovraffollamento.
La legge Gozzini ha introdotto la possibilità di ricorrere a pene alternative al carcere (lavoro esterno,
semilibertà, affidamento esterno), nonché l'opportunità di usufruire di permessi per uscire temporaneamente dal
carcere. Tutto ciò, però, è stato sottoposto al perverso meccanismo della premialità, trasformando così la
detenzione in un ulteriore grado di giudizio in cui il comportamento intramurario del detenuto o della detenuta
diventa l'oggetto dell'osservazione da parte delle autorità carcerarie e giudiziarie.
La prima conseguenza è stata la scomparsa di quasi ogni forma di protesta interna in nome di un
comportamento sempre più individualista, attento alle possibili ripercussioni negative legate a comportamenti non
omologati. Alle lotte e alle rivolte si è andato sostituendo un crescente processo di isolamento individuale che
ha fatto crescere in modo preoccupante il ricorso a sostanze stupefacenti, episodi di autolesionismo e i casi di
suicidi (riusciti e non).
Il premio si è sempre più spesso legato ad una disposizione collaborativa in cui il patteggiamento, la
confessione, la denuncia dei complici hanno man mano assunto un ruolo crescente. Soprattutto per i reati con
pene più lunghe si è andato perdendo qualsiasi collegamento tra reato e pena; i collaboratori di giustizia
ottengono privilegi da parte dello Stato tanto maggiori quanto più alta è la loro collocazione all'interno delle
organizzazioni criminali.
L'aumento vertiginoso di popolazione detenuta ha coinvolto per la grandissima parte persone imputate per reati
minori. La politica repressiva sugli stupefacenti e sui fenomeni di microcriminalità continua a riempire le carceri
italiane di persone provenienti dalle classi sociali più disagiate rinfoltite dalle nuove ondate migratorie. Per queste
persone le possibilità di usufruire di misure alternative al carcere è un'illusione. La precarietà della loro situazione
economica, familiare, abitativa si traduce nell'impossibilità di ottenere un'adeguata assistenza legale e qualsiasi
forma di affidamento esterno.
Il percorso
Il nostro obiettivo è riuscire ad inserire l'abolizione del carcere e il superamento del Codice Penale come
prospettive da accompagnare ad una più generale trasformazione della società.
Crediamo d'altronde che si debba e si possa intervenire da subito per cambiare le condizioni del carcere e della
giustizia in Italia.
Il primo passo è quello di riuscire a creare una sensibilità diffusa sui problemi carcerari, rompere quel muro di
silenzio così funzionale al mantenimento dello status quo: il carcere non deve più rappresentare un luogo isolato
dal resto della società.
Per questo è necessario intrecciare rapporti con i detenuti e le detenute e i loro familiari, interloquire con tutte
quelle persone che subiscono direttamente o indirettamente il carcere, lavorare nei territori che funzionano da
"serbatoi umani" per gli istituti.
Da un lato, dunque, stabilire un rapporto col "dentro" che permetta di controllare, denunciare e confrontarsi
con quella che è la realtà quotidiana degli istituti penitenziari italiani oggi, dall'altro un intervento "fuori" che sia in
grado di far nascere una mobilitazione dal basso.
Il monitoraggio delle condizioni carcerarie deve potersi affidare a strutture stabili di controllo che svolgano un
ruolo di ascolto, difesa dei diritti, amplificazione delle rivendicazioni interne da far nascere al di fuori delle
istituzioni giudiziarie e carcerarie.
In questo percorso, se si vuole mettere in campo un intervento incisivo, è necessario venire in contatto con tutte
quelle realtà che già si occupano di carcere, giustizia ed emarginazione.
L'impostazione abolizionista deve costituire il fondamento ideale per potersi confrontare con realtà diverse con
cui poter operare per ottenere risultati concreti.
Una società senza galere e senza giudici non si può raggiungere senza una sua radicale
trasformazione.
Non riteniamo accettabile neanche la prospettiva di un carcere per pochi "elementi socialmente
pericolosi" o autori di "crimini particolarmente odiosi".
Per riuscire ad ottenere da subito dei cambiamenti è necessario prendere atto delle forze in campo e porsi degli
obiettivi a breve e medio termine che partano dalla situazione attuale delle carceri e del sistema giudiziario
italiano.
Le linee guida e gli aspetti su cui intervenire in questo percorso sono :
Codice Penale
Contestiamo l'esistenza stessa del Codice Penale perché siamo concettualmente contro la pretesa di
valutazione oggettiva in termini di giorni, mesi, anni da trascorrere in galera che ignora le motivazioni
reali alla base di una trasgressione. La pena fabbrica un criminale partendo da un crimine e da una persona
che lo ha commesso e questo processo di criminalizzazione non può che avere effetti negativi sull'individuo e
sulla società.
Il Codice Penale italiano in particolare deriva con successive modifiche e aggiustamenti direttamente da quello
scritto in epoca fascista. Il procedimento di aggiunte successive si è dimostrato fallimentare ed ha portato a un
vero e proprio collasso dell'intero sistema penale. Il legislatore è stato in grado solo di sommare reati su reati,
giungendo così ad una spaventosa invadenza del penale nella vita di ogni persona.
Il Codice Penale, lungi dall'essere imparziale, è strumento per creare consenso attraverso campagne
emergenziali, abilmente architettate, per controllare e reprimere quei fenomeni sociali che di volta in volta si
individuano come intralcio alle politiche vigenti.
La ferma convinzione della necessità di superare del tutto l'idea stessa di punizione ci stimola a dare vita ad
un processo di riflessione sui concetti di sanzione, risarcimento, riconciliazione che riesca a fornire valide
alternative alla pena.
Come obiettivi immediati ci poniamo:
Abbassamento generalizzato delle pene
Le pene previste nel nostro Codice Penale sono tra le più alte del mondo occidentale.
Si è sempre cercato di giustificare questa situazione chiamando in causa il meccanismo della premialità in grado di
rendere la pena effettiva più breve di quella inflitta. La minaccia costituita dalla lunghezza smisurata della pena
rientra infatti tra gli strumenti di pressione nei confronti della persona detenuta al fine di ottenerne la
collaborazione.
Non si può neanche addurre come giustificazione della lunghezza delle pene la loro funzione deterrente. Il caso
dei paesi in cui esiste la pena di morte sta a dimostrare in maniera eclatante che per i reati più gravi non è certo la
durezza della condanna a far desistere dal commetterli: essi infatti sono per lo più originati da motivazioni
profonde che prescindono dalle possibili conseguenze.
Inutile dire che in un paese che sbandiera sin dalla Carta Costituzionale il fine rieducativo della pena l'esistenza
dell'ergastolo, oltre ad essere una mostruosità, costituisce una palese contraddizione.
Depenalizzazione dei reati minori
Per molti di questi reati è necessario pensare a forme di sanzione che non prevedano il carcere che possono
andare dall'ambito amministrativo e civile fino a misure simili alle attuali pene alternative post-carcerarie (vedi più
avanti).
Vi sono casi in cui occorre operare scelte a livello politico che cancellino l'attuale connotazione criminale di alcuni
gesti e comportamenti. In particolare riteniamo necessaria la liberalizzazione delle sostanze stupefacenti e la
depenalizzazione dei reati legati al conflitto sociale.
Misure alternative alla detenzione
La concezione attuale delle pene alternative va radicalmente trasformata sia per quel che riguarda la loro
concessione, sia per quel che concerne la loro attuazione.
Attualmente la concessione delle misure alternative e dei benefici è sottoposta al vaglio del Tribunale di
sorveglianza che, accertata l'esistenza dei presupposti, decide in maniera del tutto discrezionale per quanto
riguarda l'esito.
Questa discrezionalità negli anni si è rivelata essere un limite molto grave. Gli effetti più eclatanti sono stati una
completa disomogeneità di trattamento a seconda del tribunale (e talvolta del magistrato) di competenza;
un'eccessiva influenzabilità in direzione restrittiva da parte delle campagne forcaiole condotte sui mass media e
spalleggiate dai paladini della cosiddetta sicurezza sociale; uno strumento in più per mettere in atto meccanismi di
controllo-punizione-repressione da parte di alcuni settori della magistratura.
Nella maggior parte dei casi le misure alternative alla detenzione sono concesse a coloro che dispongono di una
rete di appoggio esterna (famiglia, casa, attività lavorative, avvocato) abbastanza solida da fornire una garanzia
sufficiente per il Tribunale di Sorveglianza. Ecco allora che le disuguaglianze e le ingiustizie sociali pesano
doppiamente sulla persona detenuta proveniente da un contesto di povertà o di emarginazione rendendo più
difficile la sua uscita e il suo reinserimento.
I dati relativi al 1997 parlano da soli : respinto il 75% delle richieste di arresti domiciliari, il 70% di semilibertà, il
60% degli affidamenti in prova al servizio sociale e il 55% degli affidamenti esterni per tossicodipendenti.
La concessione delle pene alternative deve diventare un automatismo slegato da qualsiasi logica premiale. Vi
devono poter accedere tutte le persone detenute in base a meccanismi fondati sulla quantità di pena scontata. Si
deve superare il binomio esclusivo lavoro - pena esterna prevedendo anche altre forme di occupazione da parte
della persona sottoposta alla misura alternativa (studio, volontariato, attività sociali). In questo senso si deve
poter creare una rete esterna (la più ampia e articolata possibile) in grado di accogliere le persone provenienti dal
carcere.
Analizzando le condizioni di vita imposte a coloro che usufruiscono di semilibertà e articolo 21 (lavoro esterno) ci
si rende conto che si è di fronte a nuove forme di vita condizionata ben lontane dal favorire il progressivo
reinserimento nella vita sociale che tali misure affermano di perseguire.
Il rientro serale in carcere ha effetti spesso devastanti per quel che riguarda le relazioni sociali ed affettive della
persona semireclusa impedendo la conquista di autonomia e sicurezza in se stessa già tolte dal precedente
periodo detentivo.
Occorre allora pensare e sperimentare forme di pene alternative in cui scompaia del tutto la struttura carceraria e
con essa la componente afflittiva della pena rendendo il periodo di espiazione una concreta possibilità di
costruzione delle condizioni per poter condurre un'esistenza il più possibile stabile e autonoma.
Oggigiorno, a più di dieci anni dall'entrata in vigore delle legge Gozzini, si deve constatare che le pene alternative
alla reclusione si sono sommate anziché sostituite alla reclusione portando così a circa 100.000 persone il totale
di coloro che sono sottoposti e sottoposte a misure punitive in Italia.
Invertire questo andamento significa passare dalle pene alternative a vere e proprie alternative alla pena.
Abolizione della carcerazione preventiva
L’Italia è uno tra i paesi in cui si fa maggiore ricorso alla carcerazione preventiva nonostante sulla carta essa sia
concepita come extrema ratio e valga la presunzione di innocenza fino all’ultimo grado di giudizio (principio
messo recentemente in discussione).
La pericolosità sociale, il pericolo di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato sono gli
escamotage con cui la magistratura tiene in carcere decine di migliaia di persone non ancora sottoposte a giudizio.
Oltre ad essere una palese violazione dei loro diritti questa situazione risponde ad una logica ben precisa in
cui la carcerazione preventiva è usata come arma per estorcere confessioni, spingere al patteggiamento ed alla
collaborazione o più semplicemente per punire persone nei confronti delle quali non esistono i presupposti per
una condanna vera e propria.
Al solito le persone che non hanno i soldi (e si parla di milioni) per pagare l'avvocato sono di fatto escluse dalla
possibilità di presentare con successo istanza di scarcerazione e devono scontare dentro tutto il periodo che
precede il processo.
L'uso politico che viene fatto della carcerazione preventiva merita un discorso a parte: ne sanno qualcosa le
centinaia di compagni e compagne che periodicamente vengono coinvolti in inchieste - mostro partorite dalle
menti dei Pubblici Ministeri il cui unico scopo è reprimere con l'uso del carcere e degli altri mezzi a disposizione
dell'apparato di controllo ogni forma di lotta antagonista.
La vicenda di Tangentopoli, colpendo personaggi "illustri", non ha fatto altro che portare alla ribalta metodi da
sempre usati per ricattare le persone imputate.
Lo spirito giustizialista, attecchito ovunque, innescato da queste vicende sta facilitando l'accettazione diffusa
dell'evoluzione dello Stato in senso autoritario (sempre maggiore delega, niente voci fuori dal coro) e repressivo
(più potere alla magistratura, aumento del controllo in ogni settore) cui rischiamo di assistere in questi anni.
Soppressione dei regimi di carcerazione speciale (Artt. 4-bis e 41-bis)
Queste misure restrittive peggiorano ulteriormente, per le persone che vi sono sottoposte, le già gravi condizioni
di detenzione che si vivono nelle carceri italiane:
Pesanti restrizioni nell'effettuazione dei colloqui con i familiari: presenza del vetro divisorio, perquisizioni
umilianti, riduzione delle ore di colloquio, limitazione delle persone ammesse al colloquio.
Forti limitazioni degli oggetti da tenere in cella: libri, indumenti, generi alimentari, oggetti personali.
Riduzione delle ore d'aria; riduzione ed anche abolizione totale di ogni forma di socialità con altri
persone detenute e divieto per tutte le attività che si svolgono nelle carceri; esclusione da qualsiasi
forma di misura alternativa alla detenzione.
Le persone sottoposte a queste misure sono quelle condannate (o semplicemente inquisite) per reati di mafia,
sequestro di persona, traffico di stupefacenti, attività "eversiva" che non collaborino con la giustizia.
Il motivo dichiarato dalle autorità è quello di impedire i collegamenti con l'associazione di appartenenza, la realtà
è che con tali pesanti restrizioni si vuol indurre la persona reclusa a "collaborare": unico modo per uscire da una
detenzione insopportabile. E' questo un mercanteggiare inaccettabile da ogni punto di vista. Ciò che si ottiene è
la distruzione della personalità.
E' lo stesso criterio applicato su vasta scala negli anni ‘80 nei confronti dei prigionieri e delle prigioniere politiche
di tutta Europa.
In Italia si è applicato l'Art. 90 e, successivamente, i "braccetti" che contemplavano restrizioni analoghe a
quelle dei provvedimenti attuali, con in più una periodicità di "pestaggi" di notevole intensità.
Lo Stato ha ottenuto sì alcuni "collaboratori" e "dissociati", ma anche la devastazione e l'annichilimento
di molti uomini e donne, fino ad alcuni casi di suicidio: un costo umano altissimo - e questo non si ha il
coraggio di riportarlo tra i risultati dell'applicazione dell'Art.90 e dei "braccetti"- una vergogna per un paese che
si vuol definire civile.
Detenzione politica
210 persone legate al conflitto degli anni 70 e 80 ancora detenute, con una media di 18 – 20 anni di carcere sulle
spalle. Vanno liberate subito!
Sono quanto resta nelle galere delle oltre 5.000 persone imprigionate (quasi 10.000 inquisite perché sospettate di
lotta armata; un centinaio di migliaia arresti, fermi e denuncie per manifestazioni, cortei interni, picchetti, atti di
sabotaggio, ecc.).
Cifre che danno il senso della stagione che ha attraversato questo paese segnato dal tentativo di realizzare un
percorso rivoluzionario volto al cambiamento radicale.
Il dibattito sulla "soluzione politica", ossia sulla liberazione delle prigioniere e dei prigionieri politici data da
oltre un decennio, allorché, terminato il conflitto armato, numerosi ex dirigenti delle organizzazioni combattenti
posero il problema a tutta la società.
Ma la possibilità di soluzione ha incontrato una vischiosa indisponibilità del sistema politico: possibilista a
parole, ma pronto a rinviare la decisione a "tempi migliori".
Anche da parte del movimento e di quei settori sociali e politici sensibili al problema della soluzione politica per la
prigionia politica in Italia è stata messa in campo una mobilitazione del tutto insufficiente a porre il problema
all’ordine del giorno.
Ha pesato molto, in termini negativi, l’annosa diatriba sulla forma giuridica dell’eventuale provvedimento di
liberazione: indulto o amnistia.
Noi riteniamo fuorviante e non adeguato ai nostri compiti entrare nel merito del modo in cui verranno liberate le
prigioniere e i prigionieri e di come rientreranno le oltre 150 persone ancora in esilio.
Crediamo invece che vadano ribaditi i criteri che devono essere alla base di una battaglia unitaria per la fine della
detenzione politica : libertà per tutte e tutti, subito e senza condizioni.
A distanza di 20 anni dalla fine di quel conflitto vogliono tenere ancora in galera questi compagni e compagne e
impedire il ritorno delle oltre 150 persone in esilio a monito per chiunque in ogni epoca voglia lottare per il
cambiamento della società.
Sovraffollamento
Il superamento delle attuali condizioni di sovraffollamento è una delle priorità che ci si deve porre nell’affrontare
le problematiche legate al carcere.
La prima conseguenza drammatica dell’attuale situazione è la pessima qualità della vita per quanto riguarda la
socialità interna e con l'esterno e le condizioni igienico - sanitarie.
Sovraffollamento significa anche mancanza del rispetto dei diritti delle persone detenute, soprattutto di
quelle che dispongono di meno mezzi:
La macchina della giustizia si trova infatti quasi totalmente inceppata di fronte ad un numero così elevato di
persone detenute ed a pagarne le conseguenze sono innanzitutto quelle che non dispongono di un buon avvocato
o di una famiglia che segua adeguatamente il proprio iter giudiziario. Si viene così a creare una discriminazione
dipendente dallo "status" della persona reclusa che vede nelle posizioni più svantaggiate tutte le persone che già
fuori subiscono discriminazioni ed emarginazione.
Carcere e malattia
Il carcere di per sé produce sofferenza fisica. La privazione dell'autonomia nei movimenti, la negazione
dell'affettività fisica, la costrizione in ambienti angusti che sono alla base della vita carceraria (anche quella meglio
funzionante) creano come reazione dolore nel corpo. Sintomatologie psicosomatiche di forma più o meno
grave sono all'ordine del giorno in ogni carcere. A ciò si aggiunga la precarietà delle condizioni
igienico-sanitarie e lo scarso livello di assistenza medica e profilassi per rendersi conto che il problema della
malattia in carcere andrebbe affrontato anche nel caso che vi facessero ingresso solo individui sani.
Così purtroppo non è: in carcere entrano malati e malate di Aids, persone afflitte da cardiopatie, epatite,
tubercolosi e altre malattie gravi; in carcere entrano persone con gravi forme di handicap fisico.
Per queste persone e per quelle che contraggono la malattia durante la detenzione il diritto alla salute in
carcere subisce violazioni quotidiane.
Le condizioni dei detenuti e delle detenute malate di Aids sono drammaticamente peggiorate a seguito di una
sentenza della Corte Costituzionale che è apparsa niente affatto indipendente nel giudizio dalla campagna stampa
su quella che i pennivendoli hanno definito "banda dell'Aids".
A qualche anno da quelle vicende la triste realtà è che i rapinatori incriminati sono stati tutti uccisi dalla malattia e
lo sciagurato provvedimento adottato allora continua a facilitare la morte di molte persone detenute malate di
Aids.
Il caso dell'Aids è paradigmatico rispetto all'incompatibilità tra alcune malattie gravi e lo stato di
detenzione.
Ciò che il carcere e la sua struttura sanitaria interna non sono in grado di garantire sono la continuità
terapeutica nelle varie fasi della detenzione (ingresso, isolamento, trasferimenti); la possibilità di sottoporsi a
terapie di avanguardia o alternative; l'accesso a controlli di tipo specialistico; la possibilità di affrontare le
emergenze in forma adeguata e tempestiva.
Per alcune patologie gravi ciò corrisponde ad una colpevole mancanza di assistenza.
Queste persone, indipendentemente dalla durata della condanna, non devono stare in carcere!
L'incompatibilità tra malattia e carcere deve essere stabilita esclusivamente sulla base di considerazioni mediche.
A stabilirla esecutivamente deve essere una Commissione composta esclusivamente da personale medico
competente sugli aspetti legati alle connessioni malattia-detenzione.
Per quel che riguarda le patologie meno gravi per cui non vi sia una incompatibilità così marcata il diritto alla
salute deve comunque venire prima delle restrizioni imposte dalla detenzione. Se così non fosse (e così non è) la
pena avrebbe (e quindi ha) un carattere afflittivo nei confronti del detenuto o detenuta malata inaccettabile sotto
ogni punto di vista : essendo una persona detenuta malata devi soffrire più delle altre persone malate.
Anteporre il diritto alla salute significa che le persone detenute devono poter usufruire dello stesso servizio
sanitario del resto della cittadinanza, devono potersi recare nelle stesse strutture sanitarie esterne senza
interferenze da parte dell'autorità carceraria e giudiziaria sulla scelta del tipo di cura e nel rispetto del
loro diritto alla privacy.
Va tutelata la continuità terapeutica a tutte quelle persone che prima dell'arresto hanno stabilito un rapporto con
strutture sanitarie o seguono terapie che necessitano di costante controllo medico.
Siamo per lo smantellamento della gestione da parte del Ministero di Grazia e Giustizia della sanità
carceraria interna agli istituti che andrebbe sostituita dalla possibilità da parte della popolazione detenuta di
usufruire del Servizio Sanitario Nazionale presente sul territorio.
Quest'ultimo dovrebbe farsi carico della gestione di strutture ambulatoriali interne agli istituti penitenziari
adibite alla somministrazione di farmaci, agli interventi di primo soccorso, nonché alla profilassi e alla prevenzione.
Non accettiamo un semplice passaggio di competenze dal Ministero di Grazia e Giustizia a quello della Sanità che
continui a tenere dentro al carcere le persone malate.
OPG
Il carcere di per sé produce sofferenza psichica.
Ci sono dei posti, in particolare, dove questo dolore raggiunge livelli infernali: i reparti carcerari di osservazione
psichiatrica e i manicomi criminali.
Le persone rinchiuse vi sono mandate direttamente dai giudici al momento della sentenza o vi provengono dal
carcere, spesso come forma punitiva per essersi "ribellate".
Rarissimi i casi in cui viene riconosciuta l'incompatibilità tra carcere e disagio mentale.
Sono 6 gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari in Italia, strutture che accolgono i "matti criminali", i più pericolosi,
quelli che fanno più paura, in molti casi semplicemente persone tossicodipendenti, sieropositive, sole, anziane.
In queste strutture l'unica forma di assistenza è la somministrazione di psicofarmaci che obnubilino la mente.
La percentuale di suicidi in questi posti supera di gran lunga il dato già impressionante del resto del carcere.
La tutela della persona "malata" di mente che infrange la legge sembra essere stata esclusa dalla questione
complessa della chiusura degli istituti psichiatrici.
E’ necessario arrivare a sancire l'incompatibilità del carcere e di qualsiasi altra istituzione totale con il disagio
mentale.
Per passi successivi si deve giungere alla chiusura degli OPG e alla costruzione di alternative reali.
Detenzione femminile
Nel carcere - che oltre ad essere un'istituzione totale è una struttura assolutamente maschile - le donne risultano due volte penalizzate. Le sezioni femminili, infatti sono spesso delle "dependance" dei carceri maschili, sul cui modello vengono normate, ma senza lo stesso livello di servizi, attività, sbocchi verso l'esterno. In compenso nei femminili vige un doppio criterio repressivo, un mix di "trattamento" psicologico e di repressione carceraria classica che si avvale dell'impiego congiunto di personale femminile e maschile.
La minore consistenza numerica e l'ulteriore frammentazione in piccoli carceri decentrati, fa sì che spesso i carceri femminili costituiscano delle aree di confine, sorta di zona grigia che solo di riflesso e tardivamente usufruisce di benefici e miglioramenti.
Affettività
E’ un limite inaccettabile di questo sistema giudiziario l’impossibilità di mantenere nel corso della detenzione dei
normali legami affettivi con i propri cari.
L'affettività deve essere concepita come un diritto della persona e non come un beneficio.
Il divieto di amare e la prostituzione dei sentimenti legata alla premialità di permessi e colloqui sono tra le
componenti più odiose del carattere afflittivo della pena e della sofferenza cui si è sottoposti e sottoposte in
carcere.
Un capitolo a parte è costituito dai bambini e le bambine che hanno la madre detenuta: per loro è necessario
tutelare il diritto ad un’infanzia serena consentendo da un lato la vicinanza a entrambi i genitori, dall'altro la
lontananza dal carcere. Pericolosi gli effetti legati alla scelta di una sola delle due possibilità: non vogliamo né
bambini e bambine sottratte alla madre né cresciute in un mondo pieno di sbarre.
Minori
Il carcere minorile deve e può essere superato in tempi rapidi.
E' inaccettabile interrompere la fase di crescita di una persona recludendola. E' indispensabile analizzare ed
abbattere le cause (economiche, sociali, culturali) che portano la persona minorenne, come chiunque altro, a
trasgredire.
L'accesso ai servizi sociali e ai beni per soddisfare i bisogni giovanili è sempre più privilegio di pochi.
L'autodeterminazione dei minori è sempre più difficile. A ciò si aggiunga la repressione dei comportamenti di
ricerca e sperimentazione di rapporti umani accettabili e alternativi.
L'impossibilità di trascorrere la propria fase di crescita serenamente, di giocare, di studiare e godersi il proprio
tempo libero è conseguenza diretta della condizione di emarginazione.
Il carcere interviene istituzionalizzando questa precarietà e diventa un trampolino di lancio verso il carcere
degli adulti.
Gli effetti sono devastanti sotto ogni punto di vista: culturale, fisico e psichico.
Dopo aver passato un periodo in carcere la persona minorenne "bollata" come delinquente ritrova la stessa
realtà esterna e ancor meno possibilità di scelta. Punita perché esclusa da un processo di normalizzazione
Scriveteci a :
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