È la visibile inquietudine il motivo perciò ci siamo rivolti alla Vs. attenzione, riflessa da una situazione di emergenza che provoca problematiche tali da vanificare le finalità rieducative della pena.
Il punto di partenza dell'idea e dei motivi del convegno, sono la diretta conseguenza delle svariate situazioni, di un costume (il quale ci pare grave) e di gestione di una legge, che non dovrebbero essere lasciate alla sola discrezionalità di un Magistrato, manifestandosi come il punto più'debole della catena.
Si tratta da eviden-ziare che alla maturazione di certi principi (funzione rieducativa della pena), non corrisponde una adeguata capacita della struttura di Sorve-glianza, che rischia di dissolvere le intenzioni del legislatore. La struttura piramidale del Tribunale di Sorveglianza, che accentra al vertice l'effettivo potere decisionale, escludendo la base dalle decisioni, comporta una sostanziale estraneità degli operatori ai processi decisionali impedendo una auspicabile ripartizione mista delle competenze.
Tutto questo si traduce in cifre che le statistiche in nostro possesso non aggiornate ma recenti, rivelano.
In una popolazione di circa 50.000 de-tenuti, solo 12.000 sono lavoratori; di questi, per difetto, 10.000 sono lavoratori in attività domestica, i rimanenti in attività extramuraria. Considerando questi dati, si può rilevare la sproporzione evidente tra detenuti lavoratori extramurari e popolazione detenuta lavoratrice.
Questa sproposizione manifesta un paradosso, se deriva dalla considerazione che i tanti non ammessi siano da considerare non integrabili. Seguendo questa ipotesi, la responsabilità della mancata reintegrazione è imputabile al fallimento della famiglia, della struttura ricettiva, e della solidarietà privata.
Noi preferiamo avvallare l'ipotesi che il problema sia nella lacuna comunicativa tra operatori base, e Magistratura vertice, che attualmente solo un rapporto pindarico, non è in grado di colmare. Un rapporto più stretto operato in tale direzione garantirebbe efficienza tra realtà individuale e competenza decisionale.
A disattendere l'art. 27 della Costituzione (finalità rieducativa della pena) è anche il modo in cui le misure alternative sono utilizzate; eludendo così lo scopo rieducativo e riducendo gli effetti sociali.
A definire il profilo di una situazione esasperata è la difficoltà di usufruire del mezzo alternativo in funzione di una formazione della personalità, favorendo maggiormente una premialità, posta anche in evidenza da equivoci comportamenti processua-li, e solo in parte legittimando lo strumento stesso. A sup-porto di analisi Vi rimandiamo alle statistiche sopra esposte.
L'obiettivo posto in essere in questo incontro è distante da un luogo comune e che sempre ha caratterizzato precedenti incontri. Uscendo dall'ottica di invocare condono o altro, non certo perché non lo desidereremmo, ci siamo attenuti a delle aspettative, dettate dalla responsabilità di rappresentare migliaia di detenuti, e che speriamo saranno soddisfatte. Questa è stata la linea comune, che solo una presa di coscienza collettiva è in grado di generare. Essendoci proposti degli obiettivi, avendo profilato i nodi che ingolfano la legge "Gozzini", abbiamo attivato tutte le risorse in nostro possesso nell'articolazione poi degli interventi. É da evidenziare inoltre che, in fase di esecuzione, le lacune emerse, non si limitavano solo alla sfera "Gozzini", ma riflettevano una esigenza diversificata del globale problema giustizia.
Questa premessa è stata necessaria, avendo poi privilegiato, in acco-glimento all'invito del Ministro, solo una trattazione specifi-ca, la funzione della pena e la Legge "Gozzini" e sanità in carcere e avendo di conseguenza considerato solo questo aspetto.
La conoscenza diretta, proprio perché vissuta in prima persona, ha permesso una elaborazione articolata in quattordici punti, fornendo una esposizione panoramica di 360 gradi, delineata dalla complessità e dalla varietà dell'argomento che poniamo all'attenzione dei presenti.