Il libro e' la storia di un incontro. 
  Tutto infatti nasce dall'incontro tra Annino 
  Mele, detenuto da molti anni e tuttora in carcere a Bergamo con una 
  condanna all'ergastolo, e Valdimar 
  Andrade Silva, transessuale venuto dal Brasile in Italia e qui arrestato. 
  Annino e Valdimar si incontrano nel carcere di Bergamo in un modo molto particolare: 
  Annino, condannato all'ergastolo, aveva fino a poco tempo fa l'obbligo dell'isolamento 
  diurno, quindi di giorno doveva stare sempre da solo con il divieto di parlare 
  a chiunque. Per questo Annino andava all'aria, nel passeggio del carcere di 
  Bergamo da solo. Una mattina d'inverno, fredda, vede che nel passeggio a fianco 
  al suo c'e' un ragazzo in maglietta a maniche corte, con quel freddo cane! Allora 
  Annino si rivolge a questo ragazzo e gli dice: "Ti serve qualcosa? Hai 
  bisogno di qualcosa? Non hai un maglione?" e li' nasce questo contatto 
  umano, un contatto di solidarieta' perche' Valdimar aveva praticamente bisogno 
  di tutto. L'unico suo maglione lo aveva lavato e per il resto non possedeva 
  assolutamente nulla. 
  Questo libro nasce da quest'incontro. Dopodiche' Annino e Valdimar cominciano 
  a conoscersi e a parlare. Tutte le mattine, andando all'aria e stando uno nel 
  passeggio in isolamento a fianco all'altro, anch'egli in isolamento, danno vita 
  a questo rapporto di solidarieta'. Annino raccoglie la storia di Valdimar: di 
  come questo ragazzo brasiliano arriva in Italia e finisce nelle carceri italiane.
  E' un libro interessante sia per capire il carcere del 2000, sia per analizzare 
  i percorsi attraverso le altre istituzioni sociali che conducono i protagonisti 
  in carcere. Ci sono testimonianze, lettere scritte da Annino all'istituzione 
  carceraria, al Direttore che inquadrano bene la condizione della reclusione 
  carceraria in questo momento. Annino dice alcune cose che secondo me mettono 
  bene a fuoco la condizione carceraria in questo momento che e' in realta' una 
  situazione di indifferenza e di 
  abbandono da parte dell'istituzione verso le persone recluse. Persone 
  che non vengono viste come persone, ma come cose, come numeri, oggetti accatastati 
  dentro questo contenitore. 
  Il fatto che questo contenitore raccolga l'incontro tra un pastore sardo e un 
  transessuale venuto dal Brasile in Italia testimonia che nel carcere del 2000, 
  cosi' come nella societa' italiana, si intrecciano persone e storie di tutto 
  il mondo.
Come Sensibili alle foglie abbiamo sempre affrontato il tema della reclusione 
  e dell'istituzione carcere dal lato dell'esperienza umana. Secondo noi partire 
  dalle esperienze singolari che le persone fanno in questa istituzione e' il 
  modo migliore per approcciarsi al tema. E' un modo di incontrare un'istituzione 
  sociale come quella carceraria fuori dai luoghi comuni, fuori dall'immaginario 
  consueto che ci viene filtrato dai media o dall'immaginario che ogni cittadino 
  ha di un'istituzione come questa. 
  Queste due storie, l'incontro tra Annino e Valdimar, due esperienze umane molto 
  diverse, due persone di culture, di storie, tradizioni, esperienze sociali diversissime 
  ci da' un'idea concreta di quella che e' l'esperienza umana che in carcere si 
  fa e delle torsioni che li' oggi le persone subiscono. 
  Si vivono torsioni diverse rispetto al passato, oggi l'atteggiamento e' diverso 
  da quello che aveva l'istituzione nei confronti delle persone recluse anni fa
  L'altra cosa che con questo libro ci preme mettere in evidenza esula in parte 
  dal problema carcerario. Questo libro ci fa vedere sia nella storia di Annino 
  sia in quella di Valdimar come una persona finisce in un'istituzione carceraria. 
  Cio' pone degli interrogativi a tutti i cittadini, implica la responsabilita' 
  della societa' nel suo insieme. 
  Molto prima di finire in carcere Valdimar da ragazzino in Brasile si scopre 
  gay e vive in una famiglia con delle regole e una cultura molto definita. Il 
  padre di Valdimar dice che i maschi devono fischiare, 
  un bambino che non fischia non cresce nel mito della virilita', il mito del 
  maschio per come e' visto in quella cultura. Valdimar invece aveva altri modi 
  di fare, non fischiava come suo fratello. Cosi' Valdimar comincia ad essere 
  emarginato all'interno della famiglia, il fratello piu' grande si vergogna di 
  lui e alla fine Valdimar e' costretto ad andarsene via.
  Valdimar viene anche escluso dalla scuola. Riesce a fare fino alla seconda elementare. 
  Successivamente cerca di lavorare, ma siccome alla fine scoprono che lui e' 
  omosessuale lo buttano fuori da tutti i lavori che lui cerca di fare. E' molto 
  chiaro dal racconto che Valdimar che non vuole scegliere la strada della prostituzione, 
  ma non riuscendo piu' a trovare lavoro per vivere l'unica opportunita' che gli 
  viene data e' quella dell'Istituzione della prostituzione che al pari della 
  famiglia, del mondo del lavoro, della scuola, e' un'istituzione sociale. Lui 
  entra in questa istituzione gestita da altri transessuali e alla fine dal Brasile 
  emigra in Italia. L'istituzione della prostituzione e' violentissima, Valdimar 
  subisce soprusi come li subiva nella famiglia, nel mondo del lavoro e nella 
  scuola. In seguito Valdimar insieme ad altri si ribellano alle persone che li 
  sfruttavano e finisce in galera. Per un episodio minimo prende otto anni di 
  condanna. 
  La storia di Valdimar fa capire come ci sia una progressiva esclusione da tutte 
  le istituzioni sociali che spinge una persona a finire in carcere. Annino Mele 
  ha un ergastolo per sentenza, Valdimar per cosi' dire subisce un ergastolo sociale.
  Poi dentro il carcere ha luogo l'incontro tra i due. Per capire qual e' il carcere 
  del 2000 basti dire come agisce l'istituzione su Valdimar e Annino che avevano 
  trovato un contatto umano di solidarieta'. L'istituzione carceraria prende Valdimar 
  e lo trasferisce: prima lo cambia di cella e poi lo manda via dal carcere di 
  Bergamo. Questo perche' in carcere non considerano i contatti umani che le persone 
  costruiscono tra loro. Valdimar tenta il suicidio per reagire a questa situazione, 
  ma non muore perche' la corda non regge. Valdimar aveva gia' tentato diverse 
  volte il suicidio, un gesto che testimonia la morte sociale che in qualche modo 
  lui ha subito da tutte le istituzioni sociali. Quella raccontata nel libro e' 
  una storia che co-responsabilizza tutti rispetto a come si finisce in carcere. 
Le storie che noi proponiamo, il nostro lavoro di ricerca possono aiutare a 
  costruire un immaginario sociale diverso che poi arrivi alla societa'. Questo 
  dipende da come la societa', almeno nelle sue parti piu' attente e sensibili, 
  riesce a costruire una rete sociale, ma soprattutto un immaginario sociale diverso 
  che preluda e cerchi di sedimentare politiche sociali diverse rispetto all'istituzione 
  carceraria. E' un lavoro lungo e complesso e non so in concreto che tipo di 
  risvolti riesca ad avere rispetto all'immaginario prevalente che e' il mito 
  della sicurezza, cioe' il mito che l'istituzione reclusiva da' di se' per creare 
  nella societa' il bisogno di se stessa. Questa e' sempre stata una prerogativa 
  di tutte le istituzioni e in particolare delle istituzioni totali: per riprodursi 
  costruiscono nella societa' un mito di se' e il bisogno di se stesse. Il mito 
  della sicurezza e' un mito nel vero senso del termine. Le cifre e le statistiche, 
  anche quelle di fonti governative dicono che in Italia in realta' non c'e' questo 
  grosso problema di reati, pero' viene comunque sollecitato e sollevato continuamente 
  il mito della sicurezza al quale poi fa seguito il mito che la soluzione risieda 
  in una carcerizzazione estesa.
  Il nostro lavoro in generale tende anche a una riflessione sociale sul dispositivo 
  reclusivo, ovvero sul recludere e sul recludersi, che non riguarda solo il carcere. 
  E' un dispositivo che attraversa la nostra societa' e la nostra civilta' anche 
  nella sua profondita' storica. La nostra civilta' nasce attorno alle prime polis, 
  sorte erigendo un muro di cinta, stabilendo cosi' una distinzione tra gli inclusi 
  nella polis e gli esclusi fuori dalle mura, considerati degradati, fuori dalla 
  specie umana, semi-umani, barbari. Questo mito dell'inclusione-esclusione che 
  ci portiamo dietro dalle origini della civilta' e' un archetipo che opera dentro 
  tutte le relazioni sociali e dentro le istituzioni che caratterizzano la societa' 
  di oggi. Quindi gli interrogativi che ci poniamo, anche con queste storie che 
  partono dal carcere, riguardano i dispositivi relazionali, le istituzioni sociali 
  nelle quali viviamo e che contribuiamo a riprodurre. 
  Il nostro lavoro vuole essere una sollecitazione a interrogarci sui dispositivi 
  reclusivi perche' sono dispositivi che fanno star male le persone. Al di la 
  di tutto e' importante interrogarsi sul dispositivo reclusivo perche' esso e' 
  un dispositivo di malessere sociale. Di malessere sociale in giro ce n'e' tanto, 
  basti considerare come indicatore di questo malessere la produzione e vendita 
  di psicofarmaci. Questi sono tra i farmaci piu' venduti e negli ultimi anni 
  la loro vendita e consumo e' aumentato del 50%.
L'incontro
  Ai primi di novembre ebbi modo di conoscere meglio questo ragazzo che era 
  finito alle celle di punizione. Si chiamava Valdimar Andrade Da Silva. Era una 
  mattina molto fredda. Il filo della puntuale disciplina s'era momentaneamente 
  spezzato come qualche volta capitava. Non arrivai per primo nei cortili ne' 
  fui messo all'ultimo come avrebbe dovuto essere. Nel cortile a fianco a quello 
  in cui entrai c'era Valdimar, con una maglietta mezze maniche, tutto infreddolito. 
  Che un ragazzo abituato a un clima caldo venisse al passeggio in mezze maniche, 
  con il freddo che faceva, mi stupi'. Gli chiesi allora perche' fosse senza maglione 
  e lui rispose che lo aveva lavato e stava asciugando sul termosifone. "Non 
  ne hai un altro?". Aveva solo quello, mi rispose timidamente. A quel punto, 
  rompendo la disciplina che pretendeva ch'io non parlassi con anima viva gli 
  chiesi cosa gli servisse oltre al maglione. Aveva bisogno di tutto. Tutto.
Indifferenza e abbandono
  La situazione dei detenuti oggi e' piu' fragile di quando le guardie ci orinavano 
  nel minestrone e alcuni di noi che non resistevano ai morsi della fame erano 
  costretti a mangiarlo perche' in cella non avevano altro. I detenuti di allora 
  erano piu' vivi malgrado le angherie. Oggi le angherie sono altre, piu' sottili, 
  puntano direttamente ad annullare.
Fisquando
  AI mio paese e' tradizione dei maschi girare per la casa "fisquando": 
  "L'uomo che nasce uomo deve far sentire il fischio, e chi non fischia non 
  e' uomo", cosi' andava ripetendomi mio padre. Io purtroppo non fischiavo 
  e non m'interessava fingere di farlo.
Annino Mele, nato il 20 novembre 1951 a Mamoiada, in Sardegna. Fina da piccolo ha fatto il pastorello per aiutare il padre a mandare avanti la famiglia numerosa. In carcere dal 1976 al 1980. Poi latitante fino al 1987 e mai piu' uscito. Ha pubblicato, per la GIA Editrice, nel 1996, Il passo del disprezzo.
Valdimar Andrade Silva, nato il 14 dicembre 1975 a Paulo Ramos, paesino dello stato di maranhao, in Brasile. Cacciato di casa dopo la scoperta della sua omosessualita' e costretto a girovagare fin da piccolo. Ora in carcere, condannato in primo grado a 8 anni per tentato omicidio contro il magnaccia, al cui sfruttamento si era ribellato.
La parola torsione sembra idonea a metaforizzare l'esperienza del corpo recluso nelle istituzioni totali involontarie perche' apparentata nell'etimo alla parola tortura. La torsione, infatti, come la tortura, viene agita sul corpo che e' costretto a subirla ed opera senso dopo senso, linguaggio dopo linguaggio. Come il corpo sotto tortura e' nelle mani del carnefice, cosi' il corpo sottoposto a torsione e' tra gli artigli dell'istituzione: l'esperienza e' analoga, analogo e' lo scopo di mortificazione dell'identita' personale del recluso e del torturato. La parola torsione implica inoltre una trasformazione del corpo in relazione, dell'intera unita' psicofisiologica, dovuta sia alla specifica azione torcente che alle risposte dissociative conseguenti.
citazione da "Nella citta' di Erech" 
  
  di Renato Curcio e Nicola Valentino
  Sensibili alle foglie, 2001