Nei giorni delle proteste delle detenute e dei detenuti del carcere di Rebibbia,
cosi' come di altre carceri italiane, abbiamo sentito Luigi Saraceni per discutere
con lui di amnistia e indulto. L'intervista e' stata l'occasione per affrontare
piu' in generale la situazione del carcere in Italia con uno degli esponenti
della corrente riduzionista che sostiene la prospettiva di utilizzare
meno carcere e in forme meno afflittive.
Nella nostra analisi abbiamo sempre sottolineato come l'approccio abolizionista
si differenzi radicalmente da qualsiasi ottica riformista del carcere. In una
fase come quella attuale riteniamo tuttavia importante sapersi confrontare anche
con chi crede che il ricorso al carcere debba essere ridotto e migliorate le
condizioni di detenzione. Non si tratta di un'alleanza strategica, ne' tantomeno
di un soccorso offerto al riformismo carcerario italiano che sta attraversando
un periodo di crisi. Sentiamo piuttosto l'esigenza di discutere anche con chi
la pensa diversamente da noi, per cogliere interessanti spunti di discussione.
Per chi crede in una prospettiva di abolizione del carcere e del Codice Penale
risulta fondamentale saper interloquire con soggetti diversi con cui e' possibile
giungere a percorsi parziali in comune. Cosi' crediamo sia nel caso dell'indulto
e dell'amnistia, come per altri aspetti del carcere attuale su cui e'
necessario intervenire da subito.
Rigettiamo la logica del "tanto peggio - tanto meglio" perche' crediamo
non porti, neanche in prospettiva, a nessuna soluzione dei problemi che si vivono
oggi dentro il carcere e anzi rischia di avallare il peggioramento delle condizioni
di vita cui decine di migliaia di persone sono costrette dietro le sbarre.
Cancellare il carcere e i suoi surrogati (presenti e futuri) dalle nostre vite
rientra in quella trasformazione radicale della societa' che comprende il superamento
delle ingiustizie sociali e dell'idea di punizione di Stato. Per l'oggi continueremo
a batterci affinche' di carcere non si muoia piu', ma neanche si viva.
Liberiamoci del carcere (LDC)
Il pestaggio di massa dei detenuti del carcere S. Sebastiano di Sassari si colloca
all'interno di quella che e' la situazione generale del carcere italiano: dall'inizio
degli anni '90 il numero di persone detenute e di ingressi in carcere e' costantemente
aumentato fino a stabilizzarsi sulle 50.000 presenze medie. Ora, l'effetto delle
ultime politiche sulla sicurezza ha fatto superare stabilmente anche questa
quota. Le condizioni di sovraffollamento sono in molti casi pesantissime. Tuttavia
sembra ogni giorno rafforzarsi la tendenza custodialista delle politiche penali
nel nostro paese. Il controllo sociale abbandona, o riserva a una quota molto
ridotta, le politiche di "recupero" e "reinserimento" ed espande le varie forme
di carcerazione e controllo diffuso. Militarizzazione del territorio; quartieri
ghetto, video-sorveglianza, repressione preventiva spazzano via o pongono sotto
loro diretto controllo l'assistenza sociale, mentre in ambito carcerario cio'
si traduce in un aumento del potere di guardie e direttori carcerari. Il Servizio
Sociale per Adulti (S.S.A.A.) che gestisce parte della pena scontata fuori dal
carcere per chi usufruisce delle misure alternative e' stato in molte citta'
italiane posto sotto controllo della polizia penitenziaria. La reazione dei
secondini dopo la diffusione delle notizie sul pestaggio di Sassari e' stata,
come da alcuni anni a questa parte, un'arrogante pretesa di maggiori poteri
che il Governo ha prontamente soddisfatto con le migliaia di nuove assunzioni
e i finanziamenti per centinaia di miliardi nel settore penitenziario. Qual
e' una tua considerazione generale sulla situazione del carcere in Italia?
Luigi Saraceni (LS)
I fatti di Sassari sono solo la punta di un iceberg. In quel caso e' successo
certamente qualcosa di particolare. E' una vicenda che per fortuna non e' proprio
tipica. La violenza e' connaturata al carcere, perche' e' un atto di violenza
la privazione della liberta', anche se ritenuta necessaria perche' pare non
ci siano alternative, o almeno il nostro sistema non ha trovato qualcosa di
diverso dal segregare le persone che commettono reati. A questo si aggiunge
sicuramente una violenza supplementare che si esercita nella complicita' generale,
in modo piu' o meno strisciante e ovattato. Sebbene di piccolo taglio, esiste
in modo sistematico anche questa ulteriore violenza e costituisce uno strumento
di gestione del carcere.
I sistemi come il nostro hanno un tasso fisiologico di devianza e di criminalita'
e per compenso hanno bisogno ciclicamente di una valvola di sfogo. In Italia
negli ultimi cinquanta anni e' stato concesso un indulto ogni due tre anni per
ricondurre la detenzione entro livelli governabili. Cosi' e' stato fino agli
anni Novanta. Poi nel 1990 e' entrato in vigore il nuovo Codice (di Procedura
Penale) e ci si e' illusi che attraverso l'entrata in vigore del nuovo Codice
altri provvedimenti sarebbero stati sufficienti per governare il livello di
detenzione che grava sul sistema carcerario e giudiziario. I fatti ci hanno
smentito: oggi in carcere c'e' un livello di detenzione altissimo. Cio' crea
molta tensione per la convivenza forzata causata dalle condizioni di sovraffollamento
che hanno superato i limiti di tollerabilita'. Si e' arrivati oggi a un punto
di rottura.
La domanda che si pone e': che fare? Certamente un'amnistia o un indulto sono
provvedimenti che non risolverebbero le ragioni strutturali di questa situazione.
Ma forse servirebbero ad alleviare le sofferenze di chi sta in carcere e ad
allentare la tensione. Sarebbe un modo di mettere una pezza a questo sistema
con cui funziona il carcere, una soluzione contingente. Per andare alla radice
del problema bisogna fare ben altro. Intanto bisogna risolvere la questione
sociale che e' al fondo ed e' quella che procura carcere, devianza, criminalita'.
Cominciando dalla droga. La composizione della popolazione detenuta e' costituita
per la maggior parte da drogati e immigrati: persone che stanno in carcere per
via della droga o della razza.
Io non ho fiducia che il sistema sappia affrontare questi temi. Ma almeno facciamo
un'amnistia, riduciamo la sofferenza di queste persone! Poi serve riuscire a
concepire il carcere non solo come un luogo di custodia: per molte delle persone
detenute il carcere e' l'unico aggancio che trovano con le istituzioni. Uno
Stato che punti a essere capace di comprendere le persone in qualsiasi momento
vengano in contatto con le istituzioni, dovrebbe porsi come primo problema quello
del "recupero". In questo senso non servono solo le figure che hanno compiti
di custodia, ma anche coloro che hanno compiti di dialogo: gli educatori, gli
assistenti sociali, le persone che dall'esterno, tramite attivita' di volontariato,
riescono a instaurare un rapporto con le persone recluse. Queste potrebbero
trovare nel carcere l'occasione per portare la loro vita al di fuori dei binari
dell'emarginazione, della solitudine, della poverta', della miseria, del bisogno
elementare che li ha portate in carcere. Soprattutto una volta scontata la pena
dovrebbero trovare all'esterno un'accoglienza sociale e istituzionale adeguata.
Altrimenti non hanno nessun'altra alternativa che ricominciare.
LDC
Lo scontro tra una visione custodialista e una riformista del carcere non credi
si sia risolto a tutto favore della prima? Posizioni rispettabili, anche se
assai diverse da un approccio abolizionista, come la tua o quella dell'ex direttore
del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, Alessandro Margara, cacciato
nel 1999 da Diliberto per far posto a Caselli non credi siano state messe in
secondo piano proprio da quel governo che fa a gara con la destra nel rincorrere
le politiche sulla sicurezza e favorire l'impostazione custodialista?
LS
Il sistema e' in continua fibrillazione tra queste esigenze. Anche chi ha una
visione diversa da quella custodialista trova spazio. E' vero che Margara e'
stato cacciato dal DAP, ma prima di essere mandato via vi era stato posto a
dirigerlo e poi e' stato sconfitto. C'e' in effetti un confronto continuo tra
le diverse anime. In questo momento le esigenza di tipo custodialista prevalgono.
LDC
In una situazione come quella attuale quanta fiducia hai nella concessione di
un provvedimento di indulto o amnistia?
LS
E' vero che l'impronta custodialista sembrerebbe contraddire provvedimenti quali
l'indulto o l'amnistia. Pero' va considerato che la concessione di un indulto
o di un'amnistia rappresenta un utile strumento di gestione del carcere per
chi in questo momento ha la responsabilita' di governo. Le istituzioni si devono
porre questo problema. Amnistia e indulto, per quanto soluzioni ingannevoli
e contingenti, possono essere strumenti che il sistema adotta per sopravvivere,
anche in un'accezione negativa dal nostro punto di vista. D'altra parte io credo
si debbano cogliere anche le contraddizioni del sistema, i suoi bisogni, per
alleviare la sofferenza della gente. Io dico: cogliamo le contraddizioni del
sistema e svuotiamolo un po' questo carcere! Prima facciamo questo, poi continuiamo
a batterci, ognuno sulle proprie linee culturali, politiche, istituzionali.
LDC
Parliamo un po' del dopo - Sassari. Abbiamo detto della reazione dei secondini,
ma dopo la loro repentina scarcerazione la parola sembra essere stata presa
dai detenuti e dalle detenute che hanno organizzato proteste in moltissime carceri
italiane. Fuori c'e' stata una risposta da parte delle famiglie e in misura
abbastanza ridotta delle realta' antagoniste. Nei giorni delle proteste hai
incontrato le detenute e i detenuti di Rebibbia che portavano avanti, tra le
altre, la richiesta di un indulto generalizzato fino a tre anni.
Che impressione hai riportato da questi incontri? Pensi che il clima di mobilitazione
sia catalizzato dalla richiesta d'indulto e destinato a spegnersi qualora l'indulto
venisse concesso?
LS
Non posso certo dire di avere il polso della situazione in carcere, perche'
la mia esperienza si limita a pochi incontri che ho avuto in questi giorni di
protesta dei detenuti e delle detenute di Rebibbia, incontri che spero di poter
proseguire. Ho incontrato comunque un consenso generalizzato intorno alla richiesta
di indulto come provvedimento che intanto decomprima la situazione. Queste persone
vivono il carcere sulla propria pelle, ora per ora, minuto per minuto; vivono
quasi tutto il giorno in celle con sei - sette persone. La vita delle persone
recluse e' questa in questo momento.
E' importante che chi ha la consapevolezza, gli strumenti di interpretazione
dei fenomeni sociali, politici, istituzionali e riesce a cogliere l'aspetto
di palliativo rappresentato dall'indulto auspichi ugualmente una sua concessione
perche' permetterebbe a molte persone di portare avanti la propria vita in modo
meno afflittivo e meno sofferente, almeno nell'immediato.
LDC
Anche noi crediamo che la richiesta d'indulto partita dai detenuti e dalle detenute
in questo periodo vada sostenuta. Nelle loro richieste e' specificato che l'indulto
deve essere generalizzato. Questo perche' nell'ordinamento italiano esistono
molti regimi di differenziazione e il rischio e' che l'indulto non coinvolga
tutte le persone con l'articolo 4bis o in regime 41bis, ne' chi ha la condanna
all'ergastolo, cui non vengono conteggiati gli anni di indulto per accedere
alla liberazione condizionale. Gli articoli 4bis, 41bis e le condanne a vita
coinvolgono migliaia di persone detenute che rimarrebbero escluse da un provvedimento
non generalizzato.
LS
Anch'io credo che la richiesta di applicare a tutti l'indulto sia condivisibile.
Anche perche' quei soggetti considerati ai vertici della scala di pericolosita'
hanno pene talmente lunghe che un provvedimento d'indulto non li porrebbe certo
in liberta'. Anzi sarebbe un segnale lanciato dalle istituzione anche a quei
soggetti destinati a rimanere in carcere.
LDC
Tecnicamente un provvedimento come l'indulto o l'amnistia deve essere approvato
da 2/3 del Parlamento. Quanto pesa l'esigenza di una maggioranza qualificata
sulle possibilita' che l'indulto venga approvato?
LS
I 2/3 dei voti in Parlamento dipendono dalla volonta' delle forze politiche,
dalla loro disponibilita': ognuno dica quello che vuole fare, senza trincerarsi
dietro l'alibi che ci vogliono i 2/3 del Parlamento. C'e' chi dice che bisogna
fare ben altro da amnistia o indulto, che occorrono interventi strutturali.
Il fatto e' che le forze politiche non hanno la capacita' di fare interventi
di altro tipo. Se anche ne avessero la volonta', sono incapaci. Per l'amnistia
o l'indulto, invece, e' sufficiente la volonta'. Nessuno dovrebbe potersi nascondersi
dietro la difficolta' dei 2/3.