CONTROLLO SOCIALE MINORILE
storia e modelli


Cenni storici

La storia che qui vi raccontiamo forse inizia nel 1789 o nel 1492, o forse ancora prima: nel Medioevo, quando un bambino, se scampava all'infanticidio e se superava il periodo critico di maggiore mortalità era inserito direttamente nella vita sociale, nel senso che veniva utilizzato nel lavoro esattamente come un adulto.
     Nel Rinascimento, in Italia e nell'Europa preindustriale, i minori divennero strumento di espressione e di canalizzazione della violenza urbana, armi della comunità contro quelli che essa riteneva i suoi nemici. Giova ricordare le "beate pudiche schiere" di Savonarola che, una volta sottratte ai loro compiti di difesa della fede, erano protagoniste di sassaiole e spedizioni soprattutto contro gli ebrei.
     Quando i minori non erano controllati dalle famiglie o utilizzati nella violenza "giustizialista", venivano considerati devianti e quindi da controllare, da moralizzare esattamente come tutti gli oziosi, i vagabondi, i derelitti, i folli, gli abbandonati che erano considerati pericolosi per l'ordine pubblico.
     Ordine e sicurezza erano esigenze dei nascenti Stati moderni, così nel 1650 nacque a Firenze "la casa dei Monellini" che diventerà "casa di correzione per i ribelli all'autorità paterna".
     Nel 1703 venne istituito a Roma da Papa Clemente XI il San Michele che inaugurò il trattamento differenziato per minorenni "fatti prigionieri per motivi penali da correggere attraverso l'insegnamento, la pratica della religione e l'apprendimento di qualche arte meccanica". Il San Michele è rimasto carcere minorile dal 1703 al 1964, anno in cui fu costruito "Casal del marmo", l'attuale istituto penale minorile di Roma. In questo periodo storico la preoccupazione moralizzatrice ed il controllo sociale si affermarono come salvaguardia dell'infanzia.

USA

Nel 1899 nacque a Chicago il primo Tribunale per i minorenni favorito dalle richieste del Child saving movement (movimento per la salvezza dei minori) composto da "illuminati" che, osservando lo stato di abbandono di molti fanciulli nelle grandi città industriali, si interrogavano sulla necessità di intervenire a favore di quei soggetti fragili ma, soprattutto, dannosi per l'ordine costituito.
     Con il "Juvenile Court Act" che istituì il primo tribunale per i minorenni, tutti i fanciulli sopra i 10 anni potevano essere condotti in Tribunale, processati e giudicati con le stesse procedure degli adulti ed in riferimento al medesimo Codice, inoltre internati con gli adulti nelle stesse carceri. In questo modo la società delegava ad un giudice il compito di studiare "il minore traviato" e di procedere alla sua correzione anche grazie alla probation (la messa alla prova) del minore affidato ad un ufficiale di prova volontario o stipendiato.

Regno Unito

Nel 1833 una Corte londinese condannò all'impiccagione un ragazzo di 9 anni colpevole di aver sfondato con un bastone una vetrina e nel 1899 un'altra Corte inglese condannò ai lavori forzati due ragazzi di 11 e 13 anni, colpevoli di aver danneggiato una porta.
     Nel 1854 a Londra erano sorte le prime "industrial schools" per giovani delinquenti ma, solo nel 1908, con il "Children Act", fu istituito il Tribunale per i Minorenni (TM) presso cui poteva essere condotto ogni fanciullo maggiore di anni 16 che, condannato, finiva nel carcere degli adulti e fu abolita la pena di morte per minori.

Europa

In Francia il TM fu istituito nel 1912, in Olanda nel 1921, in Germania nel 1922. In Italia fu istituito in pieno fascismo nel 1934 con il Regio Decreto Legge (RDL) n. 1404.

Italia

La monarchia
Giova ricordare alcune norme contenute nel Codice Zanardelli del 1889: esso stabiliva che il minore sotto i 9 anni non era imputabile, tuttavia era sottoposto a misure di sicurezza se non ubbidiva all'autorità paterna. Per i minori tra i 9 ed i 14 anni occorreva accertare l'esistenza del "discernimento" nell'azione deviante.
     La questione discernimento, in linea con la scuola positivista, introdusse in carcere la figura del medico che stabiliva la capacità di intendere del minore.
     Tutti i minori del Regno erano sottoposti a misure di Pubblica Sicurezza se privi di genitori, oppure dediti alla mendicità o alla prostituzione. Tali minori erano ricoverati presso Istituti Correzionali o affidati a "famiglie oneste".
     All'inizio del secolo XX anche in Italia operavano associazioni di volontariato composte soprattutto da borghesi del nord Italia che si proponevano per l'affidamento e la tutela dei giovani condannati. Questi movimenti filantropici erano pervasi dall'ambiguità che ha costruito e continua a mantenere tutti i provvedimenti rivolti ai minori: protezione, tutela ed educazione accanto a correzione, controllo e punizione.
Il fascismo
Nel 1934 il fascismo istituì il TM per ragioni di prestigio in ambito europeo e per utilizzare uno strumento di controllo verso l'adolescenza che non era più sottoposta alle tradizionali agenzie di controllo come la famiglia patriarcale rurale. Al tribunale furono attribuite tre competenze tuttora esistenti: penale, amministrativa e civile. Fu anche stabilita la composizione numerica dei Magistrati che è rimasta pressoché invariata.
     Vanno ricordati l'art. 25 e l'art. 27 della parte III "competenze amministrative del tribunale": se un minore di anni 18, per abitudini contratte, dà prova di traviamento, può essere internato nel Riformatorio per corrigendi. Questo trattamento che intendeva essere meno rigido di quello penale, risultava nei fatti più pericoloso poiché non aveva una "durata precisa" e il minore usciva per volontà di "Sua Eccellenza Il Duce".
     Da questo excursus si vedono emergere i minori non come soggetti aventi diritto ad esistere e ad essere tutelati, ma soggetti resi visibili perché la società aveva bisogno di controllarli.
La repubblica
La nascita della Repubblica segnò la continuità del codice minorile fascista, nonostante la Carta Costituzionale affermasse negli articoli 2 e 3 la tutela dei diritti del minore ed il compito dell'intera comunità di promuovere il processo evolutivo del minore.
     Con la legge 888 del 1956 il termine minore "traviato" è sostituito con quello di "irregolare nella condotta e nel carattere", si passa quindi da una concezione moralistica ad una di disadattamento per cui il minore non è più corretto ma rieducato per adattarsi all'ordine costituito.
     Negli anni '60 e '70 sono messe in discussione le istituzioni totali e la devianza minorile viene interpretata secondo categorie sociologiche e politiche.
     La rieducazione trattamentale dei minori detenuti viene giudicata un fallimento perché condotta secondo modalità emarginanti e di socializzazione coattiva ed incentrata sull'intervento rivolto al singolo minore. L'azione deviante è letta come un'azione circolare in cui sono coinvolti molti attori sociali, non può essere quindi l'istituzione carceraria a rispondere all'azione deviante dell'adolescente ma il contesto territoriale e sociale da cui il minore proviene.
     L'ultimo dato storico che è necessario riportare si riferisce alla istituzione del codice di procedure penale minorile (CPPM) DPR 448 del 1988. Sarebbe interessante analizzare l'applicazione di alcuni articoli centrali dei 41 di cui è composto il codice, ma risulterebbe un'operazione troppo tecnica. E' però necessario rilevare che l'istituzione del processo penale minorile rientrava in una discussione parlamentare che portò a riformare il Processo penale ordinario da inquisitorio ad accusatorio.
     Il processo penale ordinario, sostanzialmente, è un processo del fatto perché finalizzato ad accertare la fondatezza del fatto-reato e la sua attribuzione all'imputato. Il Processo minorile invece, oltre ad avere le funzioni di accertamento da parte dello Stato per perseguire il colpevole, ha altre finalità che vanno a personalizzare l'intervento sul minore inquisito poiché risulta processo della personalità oltre che del fatto. Questo significa che le sanzioni ultime derivanti dal processo prendono strade diverse secondo la nazionalità ed il sesso dell'imputat@ minorenne, il reato, le modalità con cui è stato commesso e soprattutto quali risorse familiari e territoriali si possono attivare per non far entrare il minore nel circuito penale.

Da tutta una serie di dati statistici risulta che oggi il carcere minorile in Italia è diventato condizione residuale, ma la maggioranza dei minori detenuti sono oggi i soggetti sociali più deboli: immigrati e rom nel Nord e nel Centro, ragazzi italiani nel Sud.
     Gli Istituti Penali Minorili continuano tuttavia a rinchiudere ragazzi e ragazze dimostrando come gli interventi riformatori abbiano avuto sì effetti di riduzione, ma non si pongano nella prospettiva del superamento definitivo della carcerazione minorile.
     Questa considerazione è tanto più preoccupante quanto più assistiamo a campagne sicuritarie che investono il mondo dell'infanzia e dell'adolescenza (baby killer, baby gang, bullismo, iperattività, ...). L'esperienza di altri paesi dimostra la facilità con cui le politiche penali minorili si inaspriscano sull'onda di campagne politiche e mass-mediatiche centrate su minori devianti.
     L'esistenza degli Istituti Penali Minorili offre una sponda e una soluzione semplificatrice a tali dinamiche punitive. Per questo oggi più che mai è importante battersi per l'abolizione della carcerazione minorile.

Modelli di controllo sociale minorile

E' ora utile richiamare l'attenzione su tre teorie sociologiche della devianza da cui discendono tre modelli di controllo sociale che rimandano al tema centrale che si vuole qui proporre: il superamento del carcere minorile.

Modello del consenso

Si basa sul presupposto che il funzionamento della società sia costituito dall'adattamento a condizioni di mutamento. Se interviene la devianza siamo di fronte ad una rottura che è conseguenza del fallimento del processo di adattamento. In questo senso il minore deviante è visto come disadattato da correggere per cui è necessario trattenerlo in una struttura carceraria.

Modello del conflitto

Si pone in una prospettiva opposta a quella del consenso. Il sistema sociale è visto come insieme di elementi in continuo conflitto tra chi detiene il potere e chi ne è espropriato. In questo conflitto il minore deviante assume il comportamento aderente all'etichettamento che gli è stato imposto. L'etichettamento può venire direttamente dalle istituzioni con tutti i suoi operatori sociali, in particolare il carcere, oppure dai Tribunali minorili che stigmatizzano i giovani delle classi subalterne per legittimare la disuguaglianza sociale. Questo modello propone l'utilizzazione di Comunità e l'applicazione su vasta scala della messa alla prova.
     Negli USA queste proposte sono state accolte nelle politiche che privilegiano il non intervento dello Stato e sono state così istituite comunità meno garantiste e più stigmatizzanti del carcere stesso.

Modello critico

Condivide con il modello del conflitto l'assunzione del paradigma del controllo. Tema centrale è la Rete allargata trans-istituzionale di rietichettamento per cui le comunità alternative al carcere non sarebbero alternative ma supporto ad esso, nel senso di costituzione di un sistema soft assistenziale per i piccoli reati ed uno hard penale per reati pericolosi.
     Quest'ultimo modello, sebbene applicato, come gli altri due, al sistema penale americano che ha carattere retributivo, mette in luce il terreno contraddittorio in cui il sistema si trova attualmente poiché l'intervento sul minore si basa su un trattamento individualizzato alla cui messa in atto è richiesta la collaborazione del minore.

Un sistema di controllo biforcato offre un quadro disciplinare totalizzante, tuttavia il carcere si abolisce solo se la collettività tutta interviene e si organizza a partire dai bisogni di tutti i suoi membri e non dall'astratta difesa sociale.

Rom e carcere minorile

L'ultimo contributo che qui si vuole portare si riferisce alla detenzione dei minori e, soprattutto delle minori rom. La relazione controllo-devianza femminile non si può spiegare pienamente con i tre modelli prima proposti che presuppongono una devianza esclusivamente maschile.
     Ogni volta che si è parlato di devianza femminile si è parlato di prostituzione e quindi di misure paternalistiche, apparentemente meno repressive di quelle adottate nei confronti dei maschi.
     In genere i ragazzi sono giudicati in seguito a reati e le ragazze per atti immorali, ma ancora di più i maschi usufruiscono facilmente della messa alla prova e le femmine invece passano attraverso "l'internamento" per acquisire domesticità, subordinazione e dipendenza.
     Con l'applicazione del CPPM e l'arrivo in Italia di molti profughi minori dalla ex Jugoslavia, il grosso delle denunce è per furto e le detenute sono al 90% ragazze rom.
     Allo stesso modo vediamo che la maggioranza dei minori detenuti è straniera: ragazzi rom detenuti per reati contro il patrimonio, ragazzi marocchini e tunisini detenuti per spaccio di stupefacenti. I ragazzi italiani sono in minoranza e detenuti per rapina a mano armata e omicidio.
     Il CPPM con i dispositivi di misure alternative alla carcerazione ha permesso ai ragazzi italiani di usufruirne facilmente perché i servizi sociali intervengono laddove esiste un contesto di garanzie sociali da cui ripartire.
     Spesso i ragazzi immigrati non hanno famiglia e domicilio sicuri, ma per loro e per i rom non si applica nessuna misura alternativa al carcere poiché si opera su di loro un controllo sociale fortissimo per cui, a parità di reato, subiscono carcerazioni preventive e condanne tre volte superiori a quelle fatte subire ai ragazzi italiani.
     L'analisi della devianza minorile rom necessita di una spiegazione sia antropologica che strutturale perché tra i rom non esistono i minori e non è considerato atto deviante rubare ad un gagé (non rom).
     Quello che qui interessa proporre è una riflessione su un popolo che, dopo la dissoluzione della Jugoslavia, sta attraversando la crisi più profonda della sua storia dopo l'olocausto inflitto dal nazismo, e sia per loro che per gli immigrati occorre cominciare a pensare nei termini di un "noi" meno circoscritto e limitato.
     Proviamo a includere nel noi "la famiglia della caverna vicina", poi della "tribù oltre il fiume", poi della "confederazione di tribù oltre la montagna", poi dei "miscredenti d'oltre mare" e poi ... poi ...

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