tratto da il manifesto
(6.4.04)
Privatizzazioni da combattimento
Dal cibo in scatola e dalle forniture sanitarie, alcune corporation sono passate al mercato della guerra guerreggiata. Le chiamano Pmc, «compagnie militari private». Sono filiali di aziende quotate in borsa, e ingaggiano mercenari. Iracheni, nepalesi, o (costosi) britannici
MARCO D'ERAMO
I cadaveri amputati che la settimana scorsa oscillavano dalle travature di un ponte metallico a Falluja hanno riproposto in tutta la sua orrida oscenità il problema dei mercenari nella guerra moderna (vedi Oipaz del 21 gennaio 2003). Quei corpi appartenevano infatti a quattro dipendenti della Blackwater Usa, una delle maggiori «compagnie militari private» (Pmc) operanti in Iraq. Nessuno sa quanto sia il fatturato mondiale complessivo delle Pmc, ma già prima dell'invasione dell'Iraq si stimava che si aggirasse intorno ai 100 miliardi di euro. Non si tratta di un mero ritorno al passato, ai capitani di ventura; non rivediamo semplici versioni moderne di Giovanni dalle Bande Nere. I mercenari sono quelli di sempre, ma sono assolutamente inediti sia il reclutamento, sia la struttura in cui sono inquadrati. A operare sono infatti vere e proprie corporations, identiche per dimensioni e funzionamento alle grandi corporations tradizionali, solo che invece di operare nella sanità o nel cibo in scatola, queste imprese operano nel mercato della guerra (sul tema, la Cornell University Press ha pubblicato nel 2003 il libro Corporate Warriors di Peter W. Singer). Tanto è vero che spesso queste ditte sono filiali di multinazionali: così Mpri (Military Professional Resources Increment) è stata comprata dall'industria militare L-3 Communication quotata a Wall Street, mentre Vinnel è una filiale del gruppo Trw; Logicon è un dipartimento del gruppo di armamento Northrop Grunman: a Logicon appartenevano tre civili americani tenuti in ostaggio per più di un anno in Colombia, dove furono catturati mentre erano in missione per cercare laboratori di cocaina.
La privatizzazione della guerra riguarda anche l'infrastruttura e la logistica, compiti che una volta erano prerogativa dei genieri e oggi invece sono appaltati. Così, Kellogg Brown & Root (Kbr) - società del gruppo Halliburton (di cui il vicepresidente Dick Cheney è stato amministratore delegato e presidente fino alla sua candidatura nel 2000) - ottenne nel 1999 un contratto quinquennale da 2,2 miliardi di dollari nei Balcani: Kbr s'impegnava a fornire tra l'altro i servizi logistici, i cessi portatili per il corpo di spedizione Usa, il rinforzamento delle strade perché sopportino il passaggio dei mezzi pesanti, la costruzione del quartiere generale della base americana di Camp Abel Sentry (in Kossovo, un po' a sud della frontiera serba), la lavanderia per le divise sporche dei soldati britannici, il catering per 130.000 rifugiati kossovari. Nel 2002 la Kellogg Brow and Root ha accettato di pagare una multa di 2 milioni di dollari per aver «cucinato i conti» al governo americano. Questa ditta opera anche a Cuba (leggi Guantanamo) e in Asia centrale (Afghanistan ed ex repubbliche sovietiche). Altre mansioni una volta assolte dall'esercito sono ora gestite dalla Bechtel (presieduta dall'ex segretario di stato George Schultz).
Ma naturalmente l'aspetto che colpisce di più nelle Pmc è la privatizzazione del combattimento, cioè i mercenari. In questo campo, le ditte dalla tradizione più consolidata sono: sono l'ormai scomparsa sudafricana Executive Outcomes (Eo), la britannica Sandline International, la statunitense DynCorp e la belga International Defence and Security (Idas), mentre l'inglese Defence Systems Limited (Dsl) e l'americana Mpri non assumono mercenari impegnati in combattimento, ma forniscono addestramento militare, raccolta d'informazioni, servizi di comunicazioni militari, armi, e protezione ai clienti. Negli Stati uniti, oltre a Blackwater, Vinel, Logicon, Mpri e Dyncorp, le Pmc più importanti sono Saic e Ici of Oregon. La sola Dyn Corp fattura due miliardi di dollari l'anno (l'anno scorso ha ottenuto l'appalto per la protezione fisica del presidente dell'Afghanistan. Hamid Karzai).
Ma è a Baghdad che la privatizzazione della guerra avanza irrefrenabile: sul terreno operano ormai 15.000 mercenari stranieri, appartenenti a ditte americane, ma anche inglesi. L'emblema della privatizzazione sta nel fatto che la stessa sicurezza personale del proconsole americano, Paul Bremer III è assicurata dalla Blackwater: fra un po' anche i generali saranno protetti da mercenari. Già ora il palazzo di Bassora dove ha sede il comando meridionale della coalizione è vigilato da mercenari delle isole Fiji dipendenti della Global Risk Strategy, una ditta inglese di sicurezza con sede a Londra.
E l'Iraq sta favorendo la nascita e il rigoglio di nuove Pmc, come ha raccontato l'Economist della scorsa settimana: fino all'invasione dell'Afgahistan, Global Risks Strategies era costituita da due sole persone, mentre ora dispone di oltre 1.000 guardie in Iraq ha l'incarico di pattugliare le barricate della Coalition Provisional Authority E l'anno scorso aveva vinto un appalto da 27 milioni di dollari per distribuire la nuova valuta irachena. Un'altra ditta, Control Risks, provvede scorte armate e ha 500 uomini che fanno da guardie del corpo ai funzionari civili inglesi. «Gli organici di prima linea delle compagnie militari private (Pmc) - mercenari in vecchie parole - sono ora la terza forza militare in ordine di grandezza, dopo gli Usa e la Gran Bretagna. Secondo David Claridge, direttore centrale di Janusia, una ditta londinese di sicurezza, l'Iraq ha moltiplicato gli introiti delle Pmc inglesi da 320 milioni di dollari di prima della guerra a oltre 1,6 miliardi di dollari, facendo così della sicurezza la più redditizia esportazione inglese in Iraq».
Secondo l'Economist, nel gergo del settore i mercenari delle Pmc si suddividono in tre categorie, in iracheni, in «paesi terzi» (per esempio fijini o gurkha nepalesi) e «internationali» (di solito bianchi del primo mondo): gli iracheni ricevono 150 dollari al mese, i dipendenti dei «paesi terzi» 10-20 volte tanto e gli «internazionali» 100 volte tanto. Control Risks ha soprattutto dipendenti occidentali, mentre la rivale ArmorGroup ha ai suoi ordini 700 gurkha con cui protegge i funzionari di Bechtel e di Kbr . Invece la ditta inglese Erinys, che ha vinto un appalto da 100 milioni di dollari per assicurare la protezione degli oleodotti, gestisce una forza di 14.000 iracheni. All'inizio il costo della vigilanza privata in Iraq era stimato intorno al 7-10% dei 18,6 miliardi di dollari stanziati dagli Usa per la ricostruzione irachena, ma ora, secondo Blackwater, rappresenta il 25% del totale.
La seconda caratteristica innovativa delle nuove corporations della guerra rispetto alle arcaiche compagnie di ventura è che i loro ranghi direttivi presentano una densità assolutamente abnorme di ufficiali in pensione. Blackwater è stata fondata nel 1988 da ex Navy Seals (le truppe speciali della marina americana, anche se a noi il loro nome non appare particolarmente bellicoso: seals vuol dire «foche»). Erinys è stata fondata da Alistair Morrison, ex ufficiale in pensione dei commandos inglesi di elite Sas (la cui reputazione è uno dei fattori che hanno contribuito al successo delle Pmc britanniche).
Il caso più eclatante è quello della Mpri (fondata nel 1988): ha come presidente il generale Carl E. Vuono, già capo di stato maggiore che diresse la guerra del Golfo e l'invasione di Panama, come capo della divisione internazionale, il generale Crosbie E. Saint, ex comandante delle forze Usa in Europa, come portavoce il generale Harry E. Soyster, già direttore della Defence Intelligence Agency (Dia), e come supervisore in Macedonia il generale Ron Griffith, già vicecapo di stato maggiore. Dalla sua sede di Alexandra (suburbio chic di Washington D. C.), Mpri dirige 900 dipendenti, ma dispone di 10.000 ex militari, comprese forze d'élite, pronti a partire su chiamata. I generali che hanno fondato Mpri ci hanno fatto un sacco di soldi (che si aggiungono alle loro pensioni) perché, pur continuando a dirigerla, loro e altri 35 azionisti hanno venduto per 40 milioni di dollari la Mpri a L-3 Communication.
E naturalmente quando questi ex Delta Force, ex Seals, ex Sas devono assumere, ricorrono di preferenza ai propri commilitoni attratti dalle altissime paghe. Secondo il New York Times, un BerrettoVerde o un Seal con 20 anni di anzianità guadagna ora 50.000 dollari come paga base (cui però vanno aggiunge varie indennità), e può andare in pensione con 23.000 dollari l'anno. Le ditte di sicurezza gli offrono dai 100 ai 200.000 dollari l'anno (che si aggiungono alla pensione militare che comprende la copertura sanitaria). Oltre tutto, i contatti tra Pmc e militari sono strutturali. Per esempio, il complesso della Blackwater in North Carolina, comprende poligoni di tiro per armi ad alta potenza, edifici per simulare la liberazione di ostaggi e, scrive il New York Times, «è così moderna e ben equipaggiata che i Navy Seals stanziati nella Little Creek Naval Amphibious Base di Norfolk (Virginia) la usano abitualmente; come anche fanno le unità di polizia di tutta la nazione che vengono da Blackwater per un addestramento specializzato».
Da qui l'emorragia e la richiesta di pensionamento anticipato. Sui 300 membri del Sas, 40 hanno chiesto la pensione anticipata l'anno scorso. Lo stesso sta avvenendo tra le truppe speciali Usa. Tanto che i dirigenti militari sono preoccupati perché lo stato finisce per pagare due volte le Pmc, una volta con i soldi dei contratti, ma un'altra volta con il denaro speso per addestrare le truppe d'élite. È stato calcolato che formare un berretto verde richiede 18 mesi di addestramento (e l'apprendimento di una lingua straniera) per un costo di 257.000 dollari. Il comando delle operazioni speciali Usa ha oggi un organico di 49.000 persone (tra combattenti, piloti, e addetti militari e civili alla logistica, alle comunicazioni e all'infrastruttura), e la fuga dei veterani avviene proprio quando la dottrina Rumsfeld (esercito più leggero ma più professionale e più specializzato) prevede di aumentare gli effettivi delle Operazioni Speciali di 3.900 unità.
Fino a ora la crescita delle Pmc e la privatizzazione della guerra non hanno suscitato molte proteste. Anche perché i morti delle compagnie private non vengono conteggiati come perdite militari, e quindi non colpiscono l'opinione pubblica. Ma proprio il loro statuto privato, in operazioni di guerra, le rende legalmente irresponsabili. Per ora non sono infatti regolate da nessuna legge né sottoposte a nessun controllo. Finiscono perciò per non differire molto dai bounty killers del Far West, e anche questa loro immunità contribuisce alla guerra civile quotidiana in Iraq.
America sotto shock Bush: Nessun ritiro
Opinione pubblica sconvolta dalle scene tv con lo scempio dei corpi dei quattro
mercenari americani uccisi a Falluja. L'Amministrazione promette: «Faremo
giustizia, resteremo in Iraq sino alla fine del lavoro». Gli Usa scoprono
il ruolo centrale in Iraq degli eserciti privati fuori dal controllo del Congresso.
Intanto Kerry sorpassa di nuovo Bush
FRANCO PANTARELLI
NEW YORK
Non resteranno impuniti», dice a Baghdad Paul Bremer, l'uomo di Washington.
«Quei criminali non possono indimidirci», dice alla Casa Bianca
il portavoce di George Bush, che almeno fino al primo pomeriggio di ieri non
aveva ritenuto opportuno rivolgersi direttamente al pubblico americano, sconvolto
dalle scene du Falluja. Il presidente ha visto le immagini dei corpi americani
straziati, ha deto Scott McClellan, ma non ha riportato nessun commento diretto,
limitandosi a ripetere le cose sentite già tante volte: che gli americani
«staranno in Iraq fino alla fine del lavoro», che «la nostra
volontà rimane ferma» e che «si tratta di aiutare il popolo
iracheno a realizzare un futuro migliore». I mezzi di informazione sono
stati a dibattere per tutta la giornata di mercoledì sull'opportunità
di «urtare la sensibilità della gente» rendendo pubbliche
le immagini terribili che arrivavano da Falluja. Alla fine, i giornali hanno
tutti pubblicato nelle loro prima pagine le foto dei corpi appesi alle strutture
del ponte o presi a calci dalla folla, ma le emittenti televisive, il cui materiale
era destinato ad avere un impatto molto maggiore, si sono divise in due partiti:
la Cnn, la Fox e la Nbc hanno deciso di «purgare» i loro filmati
delle immagini più sconvolgenti; la Cbs e la Abc hanno invece considerato
che quelle immagini fossero indispensabili per raccontare l'accaduto. Riferendosi
agli avvenimenti di Mogadiscio del 1993, Jim Murphy, il producer della Cbs,
ha detto che le immagini di Fallujah erano «dalle tre alle cinque volte
peggiori», ma che per dare l'idea di ciò che era accaduto e del
clima in cui si svolge l'occupazione americana dell'Iraq «le scene di
quei ragazzini che festeggiano mentre trascinano i corpi nelle strade»
erano essenziali.
Così le scene sono arrivate nelle case degli americani, assieme ad altri particolari che molti di loro ignoravano, come per esempio l'esistenza di questi contractors cui è stata «appaltata» la sicurezza e che sono alquanto numerosi. Il governo Usa li sta pagando milioni di dollari per «pulire» le strade dalle mine, per scortare i convogli che riforniscono le truppe di cibo e materiali, per curare l'incolumità delle «personalità» che visitano l'Iraq e perfino per fare la guardia allo stesso Paul Bremer. I loro dipendenti sono tutti ex poliziotti o ex appartenenti alle truppe speciali, che in questa avventura possono guadagnare fino a 15.000 dollari al mese.
Il contractor di cui i quattro uccisi a Fallujah erano dipendenti si chiama Blackwater Security Consulting ed ha sede a Moyock, una cittadina nel North Carolina dove l'impressione per ciò che è accaduto è stata enorme e dove - ovviamente - i media hanno concentrato la loro attenzione, descrivendo la vita quotidiana e intervistando la gente nelle strade. «Sono rattristato e indignato - diceva un anziano signore - ma con tutto quello che sta accadendo in Iraq non sono certo sorpreso». «Stanno morendo senza ragione», aggiungeva una donna. «Io non sono per niente d'accordo su ciò che stiamo facendo laggiù. E' chiaro che gli iracheni non ci vogliono». A Moyock vive anche Susie Randolph, il cui marito David è in Iraq, proprio nella zona di Fallujah. Lei era rimasta pietrificata alla notizia di ciò che era accaduto, fino a quando ha ricevuto una telefonata via satellite da David che la rassicurava. «Ma fino a un certo punto», ha raccontato, perché «nello sfondo si sentivano gli spari e il rumore degli elicotteri». Uno degli «addestratori» della compagnia, Chris Epperson, si diceva «molto fiero del lavoro che stiamo facendo. Sentiamo che stiamo sostenendo una casusa giusta», e infatti la Blackweater Security Consulting ha diffuso una dichiarazione ufficiale: «Piangiamo la perdita dei nostri colleghi e preghiamo per le loro famiglie. Il nostro è un compito pericoloso e sebbene rattristati per la perdita dei nostri colleghi ci sentiamo anche fieri perché stiamo aiutando il popolo del'Iraq». Ma un tale aiuto, hanno subito provveduto a spiegare gli esperti di queste cose, è destinato a salire di prezzo. Già nelle ultime settimane, dicono (senza tuttavia fornire cifre), il costo delle assicurazioni era stato aumentato di parecchio. Ora chissà dove arriverà.
Non si sa se per via dei morti dell'altro ieri o per la preoccupazione di ciò che accadrà alla fine di giugno, quando gli americani dovrebbero «consegnare» l'Iraq agli iracheni, ma ci sono segni di vita anche sul piano diplomatico. Ieri Colin Powell, il segretario di Stato, ha detto di «aspettarsi» una nuova risoluzione sull'Iraq da parte del Consiglio di sicurezza. «Bisognerà vedere come qualla risoluzione sarà», ha aggiunto Powell, come se nel contenuto di quella risoluzione il ruolo di Washington fosse quello dello spettatore. Una notizia che forse per via dei tempi non ha rapporti con ciò che è accaduto a Fallujah ma che è importante per il futuro dell'avventura Usa in Iraq è il sondaggio elettorale pubblicano ieri dal Los Angeles Times che dà vincente il democratico John Kerry con il 47 per cento delle preferenze contro il 44 di Bush.