UN BOOMERANG NELLO SPAZIO
di Anna Desimio
A ottobre la NASA lancerà Cassini, una sonda spaziale carica del pericolosissimo plutonio-238. In caso di incidente, le conseguenze per il pianeta Terra e per i suoi abitanti potrebbero essere catastrofiche. Ma nessuno lo dice.
Il 17 novembre 1996 le agenzie di stampa di tutto il mondo hanno informato che la sonda spaziale russa Mars '96 era caduta al largo dell'Oceano Pacifico. Nei giorni successivi però sono state raccolte molte testimonianze che spostavano fra Cile e Bolivia la zona dove sarebbe effettivamente caduto Mars '96 con il suo pericolosissimo carico di 200 grammi di plutonio. "Una immensa sfera rossa con una grande coda" secondo Hector Hermosilla, che la sera del 16 novembre attraversava con la sua famiglia la regione di Atacama nel nord del Cile. Il professor Luis Barrera, direttore dell'osservatorio astronomico della locale università, afferma che probabilmente i testimoni hanno assistito all'incendio del carico di plutonio nell'impatto con l'atmosfera. "Un gravissimo problema per la salute delle popolazioni coinvolte" secondo John Gofman, fisico all'Università di Berkeley. "Se effettivamente c'è stato l'incendio, le sottili particelle di plutonio stanno per cadere al suolo". Gofman ha fatto rilevare come molti dei prodotti di fissione degli esperimenti nucleari degli anni '40 e '50 sono caduti sulla terra nell'arco di alcuni anni e ha aggiunto che "per il futuro si può prevedere un aumento dei casi di tumore ai polmoni nelle popolazioni interessate".
Ma le grandi testate hanno taciuto questa seconda notizia, sull'effettiva zona di caduta di Mars '96. Anzi, il Centro spaziale americano l'ha tenuta nascosta fino al 27 novembre, quando ha dichiarato che le previsioni di ammaraggio erano sbagliate e che "detriti della sonda erano caduti su Cile e Bolivia". Secondo Bruce Cagnon, coordinatore di un gruppo che lotta contro la nuclearizzazione dello spazio (Florida Coalition for Peace and Justice), il Centro spaziale e la NASA hanno cercato di distrarre l'attenzione dell'opinione pubblica dall'invio di plutonio nello spazio per una ragione molto semplice: se si fosse parlato subito dell'impatto terrestre, quando ancora Mars '96 era in prima pagina, molto probabilmente l'attenzione si sarebbe rivolta verso la missione Cassini, mettendo in pericolo il suo svolgimento.
Il plutonio è la più tossica fra le sostanze conosciute. "Così tossico", afferma Helen Caldicott, fondatrice dell'associazione Physician for Social Responsibility, "che meno di un milionesimo di grammo è una dose cancerogena. 500 grammi, se uniformemente distribuiti, potrebbero ipoteticamente causare il tumore ai polmoni di tutti gli abitanti della Terra".
Ma anche se il lancio di Cassini dovesse riuscire, il rischio di un disastro ambientale non potrebbe ancora essere escluso. Poiché il Titan non ha l'energia sufficiente per mandare la sonda direttamente su Saturno, il programma della NASA prevede che Cassini, dopo aver raggiunto Venere, punti nuovamente verso la Terra per acquisire velocità sfruttando la sua forza gravitazionale. In questo passaggio ravvicinato, previsto per il 16 agosto del 1999, Cassini passerà a sole 312 miglia di distanza dalla superficie terrestre a una velocità di 420.000 miglia orarie.
Se qualcosa non funzionasse, Cassini potrebbe rientrare nell'atmosfera terrestre incendiandosi e spargere poi il suo carico di plutonio sulla Terra. La stessa NASA, nel documento finale di impatto ambientale della missione Cassini, afferma che "in caso di rientro accidentale, circa 5 dei 7 o 8 miliardi di persone che popoleranno la Terra nel 1999 potrebbero essere esposte al 99% o più delle radiazioni". La NASA conclude, a proposito degli "effetti sulla salute" delle popolazioni colpite, che un simile incidente potrebbe causare in un arco di tempo di 50 anni 2.300 morti e che queste morti per cancro sarebbero "statisticamente non distinguibili da quelle normalmente osservabili nella popolazione mondiale".
Questa stessa stima però potrebbe rivelarsi totalmente sbagliata. Secondo Ernest Sternglass, docente di fisica radiologica all'Università di Pittsburgh, la NASA non considera gli effetti disastrosi di basse dosi di radiazioni. Sternglass, che ha studiato le conseguenze per la salute sia dei test atomici degli anni '40 e '50, sia degli incidenti alle centrali di Three Mile Island e Chernobyl, afferma che la stima fatta dalla NASA si basa su studi relativi ai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, quindi per dosi elevate di radiazioni. Gli effetti di dosi inferiori sono stati scoperti solo dopo ed è stato dimostrato che "sono centinaia di migliaia di volte più dannose di quanto si pensava sulla base dei dati di Hiroshima e Nagasaki". Una conferma, sostiene Sternglass, è il forte aumento di casi di leucemia infantile in Grecia dopo l'incidente di Chernobyl, come riportato dalla rivista "Nature", o ancora l'aumento di casi di ipotiroidismo congenito registrato negli Stati Uniti in seguito allo stesso incidente. Secondo Sternglass, la NASA potrebbe aver sottostimato da 2.000 a 4.000 volte il solo rischio di cancro: "in seguito a un simile incidente, e considerando anche le altre malattie indotte, potremmo avere molti milioni di morti nell'arco di 10 o 20 anni".
Eppure in passato incidenti di una certa gravità si sono già verificati diverse volte (vedi scheda). Il caso forse più noto è quello, avvenuto nel 1978, del Cosmos 954, un satellite Rorsat sovietico in avaria che trasportava 31 kg di uranio 235, i cui pezzi caddero su un'area di 124.000 km quadrati nel nordovest del Canada. Sono sei le missioni sovietiche, poi russe, fallite che prevedevano materiale radioattivo a bordo. Nel caso della NASA gli incidenti sono stati tre su 24. Il 21 aprile del 1964 uno SNAP-9a si è disintegrato ricadendo sulla Terra. Secondo un Rapporto dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico del 1989, detriti del satellite sarebbero "presenti in tutti i continenti e a tutte le latitudini". Il professor Gofman ha a lungo attribuito a questo incidente l'aumento dei casi di tumore ai polmoni.
L'ingombrante carico di Cassini potrebbe inoltre essere inutile oltre che pericoloso. Il plutonio servirà per i tre generatori termoelettrici a radioisotopi (RTG) che produrranno l'energia elettrica necessaria (750 watts) per il funzionamento degli strumenti di bordo. Ma già nell'aprile del 1994 l'Ente Spaziale Europeo (ESA) aveva annunciato nuovi decisivi sviluppi nella costruzione di pannelli solari per missioni dirette verso la parte esterna del sistema solare. I pannelli solari, costruiti congiuntamente dalla tedesca Dasa e dall'italiana Cise, avrebbero dimostrato un'efficienza del 25% nelle simulazioni delle condizioni dello spazio profondo. Carla Signorini, fisico dell'ESA, ha dichiarato al quotidiano "Florida Today" che, "se la ricerca sarà finanziata, l'ESA potrà rendere disponibili i pannelli solari per una missione su Saturno in cinque anni".
Ma cambiare ora, replica John Pike, comporterebbe un lungo e costoso lavoro di riprogettazione. Un ulteriore rinvio del programma che, costato finora 4 miliardi di dollari, è già fuori budget oltre che in ritardo sui tempi, potrebbe mettere a rischio l'intera impresa. E significativamente ha aggiunto: "Certo, se fossi un responsabile del programma Cassini e avessi alle mie dipendenze tutta questa gente con figli da mantenere, mutui da pagare..." Nonostante l'enorme pericolo, la NASA continua quindi a fare affidamento sulla tecnologia nucleare nello spazio ignorando gli sviluppi dell'energia solare. Già in passato esperti della NASA hanno testimoniato in tribunale che per la sonda Galileo, lanciata nel 1989 verso Giove con 22 kg di plutonio, non c'era alternativa agli RTG. E tuttavia due settimane dopo il lancio, in risposta ad una interrogazione fatta anni prima da Karl Grossman, i responsabili del Jet Propulsion Laboratory ammettevano che l'energia solare poteva sostituire quella nucleare a bordo di Galileo.
In un documento ufficiale della Casa Bianca del 1993 si sostiene che "l'energia nucleare nello spazio e i sistemi di propulsione nucleare sono necessari per le missioni spaziali scientifiche, commerciali e militari". Ed effettivamente, come mostrano recenti studi dell'Aeronautica americana, è crescente l'entusiasmo per la militarizzazione dello spazio. Si dice molto chiaramente, afferma John Pike, che "ci sono diverse armi spaziali per le quali è necessario sviluppare la tecnologia nucleare". L'Aeronautica sta attualmente sperimentando sei reattori nucleari spaziali russi Topoaz II acquistati nell'ambito del programma SDI. Un volo di prova, previsto per il dicembre del 1995, è stato cancellato a causa delle proteste degli astronomi americani.
L'uso civile della tecnologia nucleare nello spazio è funzionale agli interessi dei militari, afferma Pike.
Attraverso missioni come Cassini si stanno sperimentando tecnologie nucleari utili per l'introduzione di sistemi d'arma spaziali. Come ha affermato il generale James Abrahamson, direttore del programma SDI, "il mancato sviluppo della ricerca sull'energia nucleare nello spazio potrebbe minare gli sforzi per lo spiegamento di armi nello spazio". "Anche per questo bisogna fermare Cassini ora", replica il professor Kaku, "ecco perché dobbiamo mandare un segnale forte al Congresso, alla NASA e al Pentagono che non tolleriamo la militarizzazione dello spazio e che vogliamo che finisca subito".
La spinta alla nuclearizzazione dello spazio è confermata dallo "Space Nuclear Power Agreement", firmato nel 1991 dalla NASA e dai Dipartimenti della difesa e dell'energia: esso limita il pagamento dei danni causati da incidenti a satelliti statunitensi con sistemi nucleari a bordo definendo un tetto di spesa di 7,3 miliardi di dollari, e assegnando solo 100 milioni di dollari per il risarcimento di tutti i danni eventualmente causati ad altri paesi e alle loro popolazioni.
Ma intanto Cassini potrebbe aver già fatto le prime vittime. La Associated Press riferiva nel luglio del 1996 che la contaminazione radioattiva dei lavoratori del Los Alamos National Nuclear Laboratory è fortemente aumentata fra il 1993 e il 1996. I responsabili del Laboratorio hanno attribuito il fatto alla fabbricazione dei componenti di plutonio degli RTG di Cassini. Con un tempo di dimezzamento di soli 88 anni, il plutonio-238 utilizzato è circa 300 volte più tossico del plutonio-239 usato nella costruzione degli ordigni nucleari. In un rapporto interno si legge che i casi di contaminazione registrati nell'Unità di lavorazione del plutonio sono saliti del 75% nel periodo 1993-95, passando da 139 a 244, mentre l'ammontare totale delle radiazioni a cui sono stati esposti i lavoratori del laboratorio nel 1995, è il più alto dal 1980.
FONTI:
Tutto quello che c'è su Internet raccolto da DISINFORMATION in:
Counter Intelligence - Dirty Work -
NASA's Cassini Project