Incontro con Julia Wright
(membro del Black Panther Party)

 

Mumia Abu Jamal ci ha mandato un messaggio il giorno in cui è entrato nella “fase 2”, quando è stata firmata la sua condanna a morte [N.d.T. 13 ottobre]. Il messaggio orale, riportato dalla sua “guida spirituale”, diceva: “mentre io sto entrando nella fase 2, noi stiamo entrando nella fase 2 della lotta”. Quindi la grande domanda per noi adesso è: come definiamo la fase due della lotta per togliere Mumia dal braccio della morte? Noi in Francia abbiamo meditato su questo e abbiamo deciso fin dalla scorsa estate di ristabilire il nostro appuntamento settimanale davanti all’ambasciata USA a Place de la Concorde. Ci incontriamo ogni mercoledì; le iniziative si stanno allargando ad altre città francesi, così ci sono incontri settimanali e questo è molto importante perché ogni mercoledì le assemblee diventano sempre più numerose. Abbiamo anche deciso che dovevamo trasformare il caso di Mumia in un caso politico e in un problema di politica estera. Quindi, ogni volta che esponenti ufficiali degli Stati Uniti fanno dei viaggi dovrebbero essere messi a confronto con rappresentanti europei che avanzano precise richieste e, soprattutto, da manifestanti nelle strade. La diplomazia ad alto livello è un aspetto, ma molte persone per strada creano molta più pressione. Dobbiamo fare pressione sugli interessi chiave americani in Francia. La scorsa estate, era giugno, abbiamo scelto la Biblioteca Americana, dove abbiamo fatto un sit-in il giorno in cui Jacques Chirac e Bill Clinton stavano cenando insieme. Durante il sit-in abbiamo chiesto, al commissario di polizia, di andare al ristorante e informare Jacques Chirac che stavamo occupando la Biblioteca Americana per farli venire entrambi a vederci – in modo da leggere loro le nostre richieste. Sapevamo che non sarebbero venuti e che non avrebbero nemmeno preso in considerazione l’invito, ma era un modo per mettere in luce le nostre richieste su Mumia, mentre Clinton era in città, e noi sappiamo che lui lo ha saputo. Abbiamo fatto anche una manifestazione un mese dopo per l’arrivo di Jesse Jackson, che passava per Parigi per poi andare in Kossovo ad aiutare a liberare dei prigionieri americani. Gli abbiamo detto: “non stiamo manifestando contro di lei, ma per fare pressione su di lei, affinché non vada a salvare solo detenuti americani all’estero ma si batta per salvare anche la sua gente negli USA, incluso Mumia Abu Jamal”. Jesse Jackson ci ha promesso che al ritorno negli Stati Uniti sarebbe andato a visitare Mumia; tutto ciò davanti alla stampa e ai manifestanti, ma non l’ha mai fatto. Dunque, facciamo pressione anche sulle persone affinché facciano quello che devono fare per liberare Mumia. La seconda azione che abbiamo fatto quest’estate è stata di andare al festival del cinema americano a Dauville, disturbandone l’inaugurazione con l’apertura di uno striscione e gridando “libertà per Mumia” davanti alle star del cinema americano che scendevano dalle loro limousine. Devo dire che due star ci hanno fatto il segno della vittoria, ma non li abbiamo riconosciuti (stelle anonime). Siamo apparsi in diretta in televisione ed eravamo così tanti che non ci potevano tagliare fuori. Il 12 novembre, poi, abbiamo deciso che avremmo dovuto fare qualcosa sulla stampa, perché Mumia è un giornalista, un giornalista impegnato e radicale. Non ci sono molti giornalisti nel mondo che lo sostengono ed è il primo giornalista nella nostra storia ad essere nel braccio della morte. Abbiamo deciso di affrontare il primo della lista: l’International Herald Tribune, che ha i suoi uffici a Parigi ed i suoi lettori sono americani all’estero. Abbiamo occupato l’I.H.T. per due ore e mezzo, abbiamo letto la nostra lista di richieste: volevamo che pubblicassero articoli su Mumia, magari scritti da noi, e che mandassero telex a tutte le agenzie di stampa, per dire alle agenzie che stavamo occupando. Si sono rifiutati di fare tutto questo, dicendo che il direttore non era in sede, anche se noi pensiamo che ci fosse e si nascondesse. Alla fine hanno chiamato la polizia che è stata molto dura e brutale. Mentre noi stavamo facendo un’azione di disobbedienza civile, quindi pacifica, non abbiamo toccato nulla, la polizia è arrivata e ha cominciato a buttare tutto all’aria. Questo ha portato il sindacato degli stampatori a sabotare l’uscita del giornale - non è uscito perché non c’era ragione di chiamare la polizia. Questa notizia è girata su internet ed ha causato molto sconcerto. Spero che i giovani negli Stati Uniti facciano le stesse cose con la CNN, con il New York Times e con tutti quei giornali che sono stati terribili con Mumia, ne hanno distorto la storia. Soprattutto la ABC della Disney che ha fatto un servizio su Mumia così pieno di odio, razzista, stereotipato e distorto che pensiamo che anche la Disney meriti di essere messa sotto pressione e stiamo pensando anche a questo. Siamo convinti che la mobilitazione per Mumia debba essere sempre più decentrata in ciascun paese. Questo sta accadendo in Francia e credo anche qui in Italia e negli altri paesi; crediamo anche che ci debba essere un maggior coordinamento internazionale, perché io credo fortemente, che ogni volta che noi facciamo un’azione qui diamo coraggio ai nostri amici, ai nostri fratelli e sorelle attivisti dentro. Loro sono nel “ventre della bestia” ed è più difficile per loro fare questo tipo di azioni rispetto a noi, perché viviamo in paesi che hanno abolito la pena di morte e abbiamo una certa facilità a fare queste cose, perché possiamo ancora manifestare liberamente, mentre a Filadelfia c’è un vero regime di polizia. Tutte le volte che vado nel braccio della morte posso vedere come è fatto. L’ultima volta che sono andata a trovare Mumia hanno provato a vietarmelo, hanno provato a impedirmi di vederlo. Dopo, quando ho lasciato la prigione, la segretaria del direttore della prigione mi ha detto: “Signorina Wright torna a casa adesso?” e io le ho detto: “sì prendo l’aereo per tornare a Parigi” e lei ha risposto “bè, allacci le cinture di sicurezza molto bene”. Riceviamo sempre questi messaggi quando andiamo a Filadelfia. La mattina dopo all’hotel quando abbiamo aperto la porta per prendere il giornale, l’ho preso e avevano girato la pagina sulla foto di un incidente aereo, l’hanno piegato in questo modo e messo sullo zerbino solo per farmi sapere che quando volo per venire a vedere Mumia corro un pericolo ogni volta. E questo non è nulla rispetto alla pressione su Pam Africa, Ramona e i bambini (di Mumia), sono circondati dalla polizia! I loro telefoni sono controllati fino al punto che quando chiamano ogni parola viene ascoltata. Questo lo usiamo contro di loro. Due giorni prima che la sospensione fosse annunciata (26 ottobre) ho tenuto una conferenza telefonica con Pan Africa e 10 altri comitati negli USA incluso Jeff Mackler della west coast, incluso Refuse&Resist eravamo tutti al telefono e Pam mi ha fatto intervenire dalla Francia, abbiamo parlato per un’ora e mezzo e abbiamo discusso su ciò che avremmo dovuto fare se andavano avanti con l’esecuzione e abbiamo deciso che saremmo andati a Filadelfia il 27 novembre portando letti e tende da campo e saremmo rimasti là paralizzando la città. 48 ore dopo hanno annunciato la sospensione dell’esecuzione. Noi sapevamo che stavano ascoltando la nostra conversazione e ogni volta questo trucco funziona, perché anche nel ’95 hanno annunciato la sospensione il 7 agosto e noi avevamo preparato manifestazioni per il 12 di agosto e sapevano che le avremmo fatte e che avremmo paralizzato la città e hanno concesso la sospensione.Per cui l’unica pressione è quella di massa, di migliaia di persone che agiscano per esempio nelle città che dipendono dal turismo e dalle persone che vengono a visitarla. Noi sappiamo che il loro tallone d’Achille è la nostra pressione: è bastato parlarne liberamente al telefono e dopo due giorni abbiamo avuto la sospensione, una sospensione che è parziale, è artificiosa perché vale solo per una corte (che è quella che ha ora Mumia). Se il giudice Yohn emette la sentenza contro Mumia allora il governatore potrà firmare un’altra data per l’esecuzione, per ciò questa non è una vittoria. Tutte le persone che sono venute da noi perché c’erano cattive notizie erano molto preoccupate e non facevano che chiedere cosa potevano fare per Mumia, noi abbiamo detto: “è giusto che siate preoccupati perché le notizie sono cattive ma potete rimanere preoccupati anche dopo la sospensione? Perché ciò significa che rimarrete con noi e possiamo creare una maggiore mobilitazione”. Un esempio storico, Sacco e Vanzetti stavano per essere uccisi e l’avvocato andò a trovarli alla vigilia dell’esecuzione e continuava a dir loro: “non vi preoccupate, vi salverò, non sarete uccisi”, mentre loro erano molto lucidi e risposero: “no, noi saremo uccisi, a meno che non ci siano centinaia di migliaia di persone da tutto il mondo” - ci furono, ma non fu abbastanza. Io ho visto un servizio di ragazzi, molto giovani di 13 o 14 anni, nelle strade di Parigi, manifestavano dopo un’esecuzione, e sanguinavano per le manganellate della polizia. Noi diciamo: niente dopo, tutto deve succedere prima. Io sono abbastanza grande, avevo 12 anni quando i Rosemberg sono stati uccisi. Mi ricordo che a Parigi dalla ambasciata americana per due miglia, c’erano rose rosse fino all’entrata in rue de Rivoli, c’era un mare di rose. Noi diciamo, niente rose per Mumia, niente dopo. Noi diciamo dateci i soldi delle rose prima, dateci gli autobus. Abbiamo chiesto al partito comunista gli autobus e ci hanno risposto: “no non abbiamo abbastanza soldi, non possiamo darvi gli autobus per la manifestazione nazionale a Parigi” e abbiamo detto loro: “non mandate gli autobus dopo, mandateli ora o non li mandate per nulla, perché è facile dopo fare una manifestazione di cordoglio e mandare gli autobus e fare mea culpa. Non lo vogliamo, lo rifiutiamo, vogliamo tutto ora, loro sanno che facciamo sul serio, perché dopo sarebbe troppo tardi soprattutto per noi gente di colore: abbiamo già perso Malcolm X, Marthin Luther King e se perdiamo Mumia Abu Jamal, dobbiamo renderne conto ai nostri figli perché loro ci osservano.