Editoriale
 

Contro il neoliberismo, per un’alternativa al capitalismo ed alla guerra, con queste parole d’ordine il controvertice di Firenze ha dato una risposta politica adeguata a Clinton, D’Alema, Blair, Jospin, Schroeder. I leader “progressisiti” avevano scelto Firenze per produrre un evento mediatico dal significato chiarissimo: presentarsi come l’unica sinistra possibile, in grado di limitare la ferocia del sistema economico capitalistico - assunto come unico orizzonte possibile. Le giornate di Firenze hanno rappresentato, sia nella quantità (oltre 10 mila in piazza sabato 20 novembre, mentre Clinton&Soci si specchiavano in una città blindata), che nella qualità – con lo sforzo di posizionare dibattito ed iniziative di lotta – la possibilità pratica di un’alternativa. D’Alema ed i suoi compagni europei sono una variante interna del pensiero unico che affida ai mercati finanziari, alle banche internazionali, ai cartelli transnazionali le decisioni politiche ed alle istituzioni mondiali (FMI, BM, OMC) le indicazioni. I loro governi hanno condotto le privatizzazioni, demolito lo stato sociale, abbattuto i salari e la tutela del lavoro. Hanno impiantato la guerra nei Balcani, come ulteriore strumento della penetrazione economica e del confronto sul campo fra i diversi imperialismi (quello egemone, Usa, e quello europeo). In Italia l’ultimo congresso dei DS rappresenta una ben riuscita fotografia di un partito craxiano, dove, più che militare, ci si piazza per partecipare all’esercizio del potere - offrendosi come management governativo a Confindustria ed al complesso industriale. Eppure, su questo schieramento politico, si continua a fare casino: chi li definisce una parte della sinistra, chi socialdemocratici. Definizione erronee e fuorvianti, che danno dignità di progetto politico a semplici gestori dell’ordine esistente. Se di sinistra si tratta è tutta interna allo schieramento neoliberista, essendo, da un punto di vista storico imparagonabile alla stessa nefasta socialdemocrazia – che si proponeva di conquistare lo stato per correggere le disuguaglianze prodotte dal capitalismo – che ha sostenuto il colonialismo e la guerra imperialista nel ’14; l’assassinio di Rosa Luxemburg e degli spartachisti; il cedimento al nazismo; lo sviluppo capitalistico del secondo dopoguerra. Scriviamo queste cose perché sentiamo in giro puzza di bruciato. I referendum, liberticidi, proposti dai radicali mirano a spingere all’estremo la distruzione degli strumenti di difesa e di tutela del lavoro. Non devono passare, su questo non ci deve essere il minimo dubbio. Ma il nemico non sono solo i referendum. C’è, anche in questo caso, il “male minore” rappresentato dal governo, da CGIL-CISL-UIL e dal parlamento che, per impedire i referendum può legiferare, infliggendo un duro colpo al lavoro. Si tratta, quindi, di organizzare una campagna sistematica contro la flessibilità del lavoro, per il salario, per l’estensione dei diritti a tutte le nuove forme di sfruttamento e di lavoro subordinato. Le cifre INAIL descrivono meglio di ogni altra cosa le attuali condizioni lavorative: 100 morti al mese sul lavoro, 1.208 morti l’anno, 967 mila incidenti denunciati (a cui vanno aggiunti quelli “sommersi”…). Il grosso successo delle giornate di Firenze ci ha spinto a moltiplicare gli sforzi per contribuire ad una circolazione internazionale delle lotte. Per questo abbiamo partecipato alla battaglia di Seattle, giornate epocali che hanno avuto la capacità di indicare l’obbiettivo giusto, praticarlo, e portare a casa la vittoria (l’azione diretta ha conquistato la scena, mentre l’OMC non riusciva a centrare il risultato della libertà totale di circolazione delle merci e dei capitali). Seattle ha rappresentato l’anticipazione della risposta globale al neoliberismo da parte dei soggetti concreti che lo subiscono; la capacità di costruire la propria forza dentro le contraddizioni intercapitalistiche ed interimperialistiche (in particolare, fra USA ed UE). Abbiamo raccolto, come si vede nell’ultima pagina, le voci, gli immagini, i documenti di Seattle in un libro. Dal controvertice di Firenze, e da Seattle, ricaviamo precise indicazioni: la necessità di lottare collegando, dando voce e forza, nei territori, nei luoghi di lavoro e di studio a chi subisce gli effetti, ogni giorno più concreti, delle politiche neoliberiste. E’ questo, il terreno, estremamente pratico, su cui deve crescere il movimento antagonista.