Il comune di Firenze tra l'allontanamento del personale e il lavoro nero chiamato volontariato

 

Le vicende che raccontiamo hanno portato una serie di lavoratori e lavoratrici a costituire un COBAS nel Comune di Firenze. La legge del 03/05/1999 n°124 all’art. 8 ha disposto che il personale ATA dipendente degli enti locali in servizio nelle istituzioni scolastiche statali fosse trasferito nei ruoli del personale statale a decorrere da 01/01/2000. Questa iniziativa legislativa fa parte di una ristrutturazione generale del settore scuola ed è uno dei tanti riflessi seguiti all’introduzione della cosiddetta “autonomia scolastica”. D’ora in avanti le controparti sindacali di tutto il personale non docente della scuola saranno i singoli presidi e direttori d’istituto. Questi, diventati i nuovi managers delle scuole pubbliche, gestiranno direttamente le risorse dell’autonomia scolastica, le quali dovranno finanziare anche la contrattazione integrativa che avverrà istituto per istituto, in una sorta di confronto pressoché individuale, tra direttori presidi e dipendenti, con buona pace delle tutele e garanzie conquistate in anni di battaglie sindacali collettive. In questa chiave è da leggere la necessità di unificare tutti i lavoratori non docenti della scuola sotto un unico ente e quindi con lo stesso inquadramento contrattuale e medesimo livello salariale tabellare a parità di qualifica. Questo passaggio si è rilevato complicatissimo fin dall’inizio, e pieno di incertezze ed insidie per gli 80.000 lavoratori interessati. Mancato riconoscimento della carriera: scatti di anzianità, professionalità ecc., inquadramenti contrattuali, mansionari, qualifiche, contratti integrativi molto diversi, incertezza sulla sede di lavoro, solo per citare alcuni tra i nodi più complessi che prospettavano forti penalizzazioni per la maggior parte dei lavoratori interessati al provvedimento legislativo. Confederali, Aran e Governo hanno aperto il solito tavolo concertativo-consociativo, più volte abbandonato e ripreso ma che non ha portato nessun risultato concreto. Tant’è vero che giunti a gennaio di quest’anno i lavoratori sono stati costretti a passare allo Stato completamente al buio, né più né meno nelle condizioni in cui il passaggio era stato inizialmente prospettato. In particolare non è stato assolutamente risolto il problema del riallineamento retributivo e ricostruzione della carriera di questo personale con i parametri del comparto scuola. Nell’ennesimo incontro all’Aran, il 12 gennaio, si evidenziava la necessità di reperire circa 300 miliardi per riallineare le retribuzioni. Alla proposta del Ministero della Pubblica Istruzione di prelevare questa somma da quelle previste per il rinnovo del biennio economico del contratto scuola, Cgil, Cisl e Uil si sono fermamente opposte. Non si sa quindi se, quando e in che misura ci sarà mai la parità di trattamento tra tutto il personale. Ci sono addirittura seri dubbi per il pagamento delle retribuzioni di gennaio del personale ATA transitato allo Stato. Inizialmente il Ministero della P.I. aveva assicurato che il pagamento degli stipendi sarebbe stato assicurato dalle Direzioni Provinciali Tesoro ma, a fine anno, viste le difficoltà di comunicazione tra amministrazioni, si è deciso un “contrordine” cioè sarebbero gli Enti Locali ad anticipare gli stipendi, ma non dappertutto. Il rischio è che tra un ente ed un altro, tra un ministero ed un altro, parte del personale ATA passato allo Stato rimanga senza stipendio. Lo stesso art. 8 della legge 124 recita che: “relativamente a qualifiche e profili che non trovino corrispondenza nei ruoli del personale ATA statale, è consentita l’opzione per l’ente di appartenenza, da esercitare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge”. E qui entrano in gioco i Comuni e in particolare quello di Firenze che, per numero di lavoratori coinvolti (poco meno di 600), per l’articolazione di mansioni e servizi ha rappresentato la situazione più significativa in Toscana. La precedente Giunta ha lavorato per l’obiettivo più volte dichiarato di costruire un “comune leggero”, lo stesso orientamento è stato ampiamente confermato dalla Giunta del DS Domenici. Alleggerire per l’amministrazione comunale ha sostanzialmente significato liberarsi dal “peso” di centinaia di lavoratori “regolari” appaltando ed esternalizzando servizi, non applicando il tourn-over, ricorrendo in modo massiccio al part-time, allo straordinario e a tutte quelle forme deregolamentate che oggi costituiscono il desolante ed articolato panorama della precarietà contrattuale e salariale nel nuovo modello di “lavoro flessibile” nel pubblico impiego. Quale irripetibile opportunità, dopo la già decisa esternalizzazione dell’intero settore acquedotto (vedi Comunicazione Antagonista n°13), di liberarsi in colpo solo e senza “fatica”, visto che anche in questo caso, si tratta di una legge dello Stato, di altri 600 lavoratori circa. Si è aperta una delicata e difficile trattativa che partiva dal presupposto di garantire il diritto di opzione per tutti i lavoratori che ne facessero richiesta a prescindere dal livello contrattuale di inquadramento. L’Amministrazione ha fatto di tutto per limitare l’esercizio di questo diritto, peraltro previsto dal testo legislativo. L’Amministrazione si è limitata a consentire l’opzione soltanto a quei lavoratori che, in virtù del protocollo di intesa firmato il 23/12/99 tra il Provveditorato ed il Comune, che stabiliva una specifica ripartizione dei compiti e funzioni fra l’istituzione scolastica e l’ente locale, in realtà servivano alla stessa Amministrazione. In sostanza 78 part-time adibiti al servizio di refezione scolastica e 52 full-time per coprire quanto di peggio rimasto di competenza comunale nell’ambito della scuola, a fronte di 270 domande di opzione. Nel panorama consociativo che domina i rapporti tra sindacati confederali e padroni del vapore, pubblici e privati non fa più molta differenza, nel quale nomi ed interessi finiscono sovente per sovrapporsi, tutti i soggetti sono stati colti dallo stesso impellente bisogno di concludere la vicenda, senza nessuna tutela per i lavoratori. La RSU del Comune, ostaggio degli apparati sindacali, ha condotto una farsa di trattativa che ha portato alla firma del classico accordo bidone prima ancora di ottenere un mandato dall’assemblea dei lavoratori. Accordo che non va oltre al “niente” proposto dalla stessa Amministrazione ma che anzi ha finito per favorirne gli obiettivi. Ma quello che sconcerta è che la stessa RdB del comune di Firenze, ai proclami strappa applausi, non ha fatto seguire una proposta chiara ed alternativa lasciando i lavoratori nella più totale confusione ed incertezza, adeguandosi in tal modo al teatrino consociativo che pure ha sempre sostenuto di voler combattere. Si è sentita la mancanza di un soggetto sindacale in grado di interpretare correttamente gli interessi reali dei lavoratori, e che proponesse una battaglia per coordinare le centinaia di comuni interessati, con l’obiettivo di ottenere il rinvio dell’applicazione della legge fino a che non si fossero sciolti i dubbi sulle modalità di approdo nel nuovo ente. Solo a queste condizioni era realmente praticabile il diritto di scelta se restare all’ente locale o passare allo Stato. Naturalmente la vicenda non è da ritenersi conclusa. Decine di migliaia di lavoratori sono stati trasferiti come mandrie con un’imposizione di legge e la benedizione dei confederali. La loro controparte è cambiata; al contrario non è cambiata la necessità che questi lavoratori si esprimano attraverso forme di lotta e mobilitazione per veder riconosciuti i loro diritti. Per il personale ATA proveniente dal Comune di Firenze sarà importante fare tesoro dell’esperienza maturata nell’intero iter di questa vicenda, per non ripetere l’errore di delegare la difesa dei diritti a quanti, pur ergendosi a rappresentanti dei lavoratori hanno in realtà lavorato per la controparte. Il passaggio allo Stato del personale ATA ha innescato tutta una serie di ripercussioni sul modo di erogare i servizi rimasti di competenza comunale a cui l’Amministrazione ha trovato soluzioni che, da un lato farebbero impallidire il più feroce liberismo tatcheriano, e dell’altro riproducano i meccanismi clientelari di tangentista memoria. Un caso per tutti: Con la delibera n°1871 approvata dalla Giunta il 31/12/99 è stata stipulata una convenzione da 100 milioni per sei mesi con l’associazione di volontariato AUSER per continuare il servizio di accompagnamento sugli scuolabus (obbligatorio sui bus che trasportano bambini delle scuole materne). Per chi non lo sapesse l’Auser è praticamente un’emanazione della CGIL pensionati, il suo presidente, tale Pierluigi Sbolci, è un ex funzionario della stessa CGIL, nonché dirigente della Provincia in pensione. Già da questi elementi si percepisce la rete di rapporti e connessioni politiche ed economiche sulla base di un vero e proprio controllo di tipo mafioso sul giro di appalti e convenzioni che vedono come protagonisti dirigenti di impresa, sindacalisti-manager e amministratori. Sull’assegnazione di convenzioni alle associazioni di volontariato vige più o meno il solito sistema monopolistico clientelare che regola l’assegnazione degli appalti pubblici nel settore servizi a quelle tre o quattro cooperative sociali che si spartiscono questo mercato da anni (leggi Di Vittorio, Cooplat, consorzio Zenit). Anche le associazioni di volontariato che si aggiudicano le convenzioni “sostanziose” non sono più di tre o quattro: Auser, Agesci, Antea, Misericordie (quest’ultima 2 miliardi di convenzioni solo nel ‘99). Ognuna specializzata in un particolare settore, si accordano preventivamente, ne rimane una sola in lizza e quindi libera di contrattare il prezzo senza “concorrenza” con il “disponibile e generosissimo” assessore di turno. Ma la cosa grave è che il sistema delle convenzioni con il volontariato è diventato ormai un precisa strategia dell’Amministrazione comunale fiorentina. Sempre più spesso si ricorre alle associazioni, non solo per erogare servizi aggiuntivi, saltuari, di appoggio o di nuova istituzione, ma per sostituire progressivamente i dipendenti contrattualmente “regolari” che erano impiegati nelle stesse mansioni con qualifiche specifiche e retribuzioni stabilite ontrattualmente. Nel programma di governo per la città proposto dal Sindaco per il quinquennio 1999/2004 si fa un preciso riferimento al coinvolgimento delle associazioni di volontariato per “studiare la possibilità di un lavoro comune e di affidamento dei servizi”. Ed è quello che sta avvenendo: era ampiamente prevista l’esternalizzazione del servizio accompagnamento sugli scuolabus, altrimenti si sarebbe consentita l’opzione per rimanere nell’ente a un numero superiore di personale ATA part-time sufficiente a garantire, oltre al servizio di refezione anche quello di accompagnamento. Dunque questa scelta è strategica e premeditata, certo non dettata da “un’improvvisa ed imprevista” mancanza di personale. Pretestuosa anche la motivazione del taglio dei fondi per i servizi scolastici a fronte, solo per citare alcuni tra gli esempi più recenti di appropriazione di denaro pubblico, dei miliardi spesi per l’esercito dei consulenti esterni (complessivamente £ 6.799.199.496 nel “99); della recente istituzione di 12 “portaborse” nelle rispettive segreterie degli Assessori e di altri 3 addetti stampa che costeranno in tutto altri 800 milioni all’anno, per finire allo “stipendino” pari a complessivi 3 miliardi e mezzo che da quest’anno si porteranno a casa i consiglieri comunali. La legge quadro sul volontariato n°266 del 11/08/1991 che disciplina fra l’altro i rapporti tra Istituzioni Pubbliche e organizzazioni di volontariato vieta espressamente l’utilizzo di volontari per ricoprire attività che fanno parte dei mansionari di lavoratori retribuiti. Le associazioni di volontariato possono essere impiegate solo in funzione di appoggio o coadiuvante a mansioni svolte da personale dipendente ma non per sostituirlo. Lo stesso disegno legislativo sul volontariato presentato dal Ministro per gli Affari Sociali Livia Turco, in questo periodo all’esame del Consiglio dei Ministri, nonostante introduca una sostanziale liberalizzazione del settore, pare che mantenga inalterati i vincoli ricordati sopra delle legge quadro del ‘91 Ma al di là di questo aspetto resta il fatto che questa operazione, presentata tra l’altro con la “nobile” finalità per “l’inserimento di giovani e anziani in attività di utilità sociale”, cela l’utilizzo strumentale dei volontari da adibire a vero e proprio lavoro nero. Perché di lavoro si tratta, con tanto di orario fisso (tre ore e mezzo al giorno), cartellino di riconoscimento, divisa e settemila lire l’ora a titolo di rimborso spese. Lo spirito di questi lavoratori in nero, perché questo sono, non è certo quello della disponibilità a prestare un’opera di volontariato. Abbiamo ascoltato la testimonianza diretta di molti dei volontari impiegati in questo servizio: si va dalla coppia di sfrattati pensionati al minimo che sommando i due stipendi (circa 50.000 lire al giorno), riescono a pagare il milione di affitto per il bilocale dove ora vivono, al pensionato ATAF che fatica a capire perché lui debba fare una specie di secondo lavoro con due figli disoccupati, al tossicodipendente che per evitare la detenzione, in carcere o in comunità, è costretto a fare il “volontario” per settemila lire l’ora, unica disperata forma di reddito che gli è consentita. Dopo la fine del posto fisso decretata da D’Alema, che sia questa la nuova frontiera della flessibilità nel lavoro con la quale risanare i conti pubblici e rilanciare l’economia?