Inconsueta agitazione nei cieli di Castiglia
La sera del 26, invece del solito pubblico delle corride siede sulle
scalinate dello stadio una folla variopinta e inquieta di giovani e
non più giovani. Con gli ultimi arrivi, la confusione degli accrediti
e le (disagevoli) condizioni di alloggio la giornata non è stata
facile. Esistono motivi per irritarsi ma anche per mantenere il buon
umore. Si mescolano le sensazioni: antipatia, disponibilità, chiusura.
La noia è assente.
L'inaugurazione si trascina con lentezza fino all'arrivo dei due
delegati dell'EZLN, Dalia e Felipe. Carica di significati, la loro
presenza fa dimenticare la tensione, le polemiche e i ritardi
organizzativi delle ultime settimane.
É la prima volta che una delegazione zapatista esce dal Messico e, a
505 anni dall'invasione, ä la prima volta che degli indigeni membri di
un gruppo armato percorrono in senso inverso la rotta dei
conquistatori spagnoli.
Dalia e Felipe sono maya tojolabal di Guadalupe Tepeyac, il villaggio
della Selva Lacandona occupato dall'esercito messicano nel 1995.
Appartengono alle basi d'appoggio dell'EZLN ed hanno il volto coperto
dal ³paliacate", il fazzoletto rosso simbolo della ribellione.
"Siamo necessari alla storia, Il mondo non può camminare senza di
noi", attacca Dalia. Non si riferisce solo ai maya, ma alla
moltitudine di popoli indigeni che lottano per essere padroni del
proprio destino e contribuire alla costruzione di "molti mondi".
Prosegue: "Non siamo venuti a litigare, a vedere chi parla meglio, chi
possiede la verità o chi è più forte". Diplomatico appunto alla
rissosa moltitudine di dissidenti intergalattici? Il dubbio resta
nell'aria. "Speriamo di congiungere il nostro colore e il nostro suono
al mondo della resistenza", conclude Dalia.
La cerimonia finisce con la consegna di regali simbolici: una
pannocchia di mais, una manciata di terra chiapaneca, un bastone di
comando, una pietra sacra "e la presenza di tutti voi e di noi a
questo Incontro".
Il mondo della resistenza
Tracciare un ritratto del "mondo della resistenza" non ä facile. Sono
rappresentati 45 paesi, tre più dello scorso anno. Alcuni partecipanti
sono "cani sciolti", altri appartengono a gruppi, organizzazioni e
collettivi estremamente eterogenei.
Ci sono Ong, sindacalisti, femministe, professori universitari,
ecologisti, animalisti, lesbiche, gay, religiosi, pacifisti e reduci
di guerriglie e lotte armate Ed ancora: i Senza Terra del Brasile, il
PKK kurdo, i baschi, il Consortium for Agrarian Reform (KPA,
indonesiano), il Peasant Mouvement (KMP, filippino), il Consejo de
Pueblos Mayas del Guatemala e decine di organizzazioni indigene e
contadine.
C'è chi si richiama al nazionalismo dei popoli oppressi, alle antiche
ortodossie o a qualcuna delle molte denominazioni del vecchio
movimento operaio. Ci sono gli "sviluppisti" e coloro che combattono
il modello economico occidentale. C'è anche chi, tentando
l'esplorazione di nuove piste, sfugge ogni classificazione
tradizionale.
Tutti cercano risposte al messaggio ribelle degli zapatisti messicani.
Tutti hanno in comune l'ansia di rimettere in moto la questione
sociale e di costruire una rete mondiale di lotte contro il
neoliberismo.
Spicca la gran quantità di italiani (quasi novecento) e la scarsità di
spagnoli, circa 400. Perché? A quanto sembra, l'estenuante lavoro
organizzativo ha prodotto divisioni tra i gruppi promotori. Tali
difficoltà si riflettono nella poco numerosa manifestazione di
domenica 27 a favore di Cuba, indetta (senza informarci) insieme ai
partiti della sinistra istituzionale.
Se il grande problema l'anno scorso era stata la quasi assenza di
africani e asiatici, significativa - anche se ancora molto limitata
numericamente - è adesso l'affluenza di extraeuropei. Fra gli altri,
ci sono magrebbini, sub-sahariani, sudafricani, indiani, palestinesi,
indonesiani, australiani, giapponesi, filippini, pakistani, kurdi,
centro e sudamericani. Ci sono anche un centinaio di messicani e di
statunitensi, tra cui gli internettisti di Austin, Texas, creatori
della prima pagina web di informazioni sulla ribellione chiapaneca.
Una miriade di incontri
In totale, una vera e propria Babele umana, politica e linguistica che
però stenta a capirsi. Al momento di iniziare i lavori, uno dei
problemi è l'eccessiva dispersione dei luoghi geografici e quindi la
mancanza di comunicazione e di coordinazione fra i partecipanti.
Le cinque località, Madrid, Barcellona Ruesta (Aragona), Almuñuecar e
El Indiano (questi ultimi in Andalusia) si trovano sparse ai quattro
angoli della Spagna. Le distanze sono lunghe (1300 Km tra Ruesta e El
Indiano!) ed i viaggi sotto il sole cocente, estenuanti. Ripetere la
divisione per sedi lontane tra loro, adottata in Chiapas ä, a conti
fatti, un errore.
Gli "incontri" si fanno, in ogni modo, anche al margine
dell'"Incontro". Un'occasione è, ad esempio, il "Treno speciale per
l'umanità" che trasporta 500 dei partecipanti verso la sede di
Barcellona. Locomotiva della storia? No, però è una possibilità di
parlarsi fuori delle tensioni assembleari, raccontare storie,
scambiare indirizzi. E poi ci sono i momenti di vita collettiva, i
pasti (quasi sempre deliziosi), la pulizia, i giardini infantili (a
carico dei nostri figli più grandi). Sono altrettanti germi di un
progetto di gratuità che guarda oltre la civiltà del denaro.
Nei giorni seguenti i delegati zapatisti visitano le cinque sedi
dell¹Incontro percorrendo più di otto mila chilometri in una
settimana. Con la proverbiale serenità india e il caratteristico
spagnolo dei maya danno conferenze stampa, spiegano perchè gli
zapatisti hanno deciso di non votare alle recenti elezioni politiche,
denunciano il tradimento degli accordi di San Andres e
l'accerchiamento militare.
Felipe narra le vicissitudini delle basi d'appoggio zapatiste, il
segreto serbato a lungo dell'organizzazione, la vita nei villaggi, i
morti, la repressione. Dalia parla della legge sulle donne redatta
poco prima della ribellione dalle miliziane dell'EZLN e discussa nei
villaggi. Racconta episodi della vita quotidiana, la maternità, il
machismo, il flagello dell'alcol. Conclude: "noi zapatiste, a volte
non comprendiamo la lotta delle altre donne, però vogliamo dirvi che
rispettiamo il pensiero di tutte voi, (...) la nostra lotta, come
quella di tante altre donne, ä appena all'inizio".
E gli altri? I partecipanti si suddividono in tavoli e sottotavoli e
piccoli gruppi per discutere i temi proposti: economia, politica,
cultura, terra, emarginazione e lotta contro il patriarcato. "Per un
mondo che contiene molti mondi" è il tema chiave dell'Incontro, mentre
la costruzione di una rete mondiale di lotte è l'obiettivo da
raggiungere.
Punti nevralgici
L'andamento dei lavori varia secondo i luoghi e i gruppi. Nel corso
dei dibattiti, soprattutto durante le assemblee finali, non mancano i
problemi e le valutazioni negative. Le incomprensioni linguistiche e
la scarsità di traduttori competenti peggiorano le cose.
Diffusa è anche la sensazione di non trovare la propria opinione
riflessa nei documenti finali. Salvo casi isolati (e da verificare),
ciò non si deve a mala fede, ma all'inesperienza di alcuni moderatori.
Durante la chiusura a El Indiano, i 45 gradi all'ombra, le notti
insonni e l'insoddisfazione diffusa provocano un episodio tragicomico.
La fatidica qualifica di nazista lanciata con leggerezza a un infelice
intergalattico genera il "nemico". Volano le lattine di birra e si
arriverebbe alle mani senza il provvidenziale intervento di
un'attempata e saggia militante dell'FZLN messicano.
Altra questione incandescente è quella di ETA. Dopo l'esecuzione di
Miguel Angel Blanco, la Spagna vive momenti di tensione paragonabili
ai nostri anni settanta. É normale che gli organizzatori stiano
attenti a non sbilanciarsi, un atteggiamento spesso non capito dai
partecipanti, in particolare italiani. Sebbene il documento sulla
prigionia politica, a lungo osteggiato dagli spagnoli nell'assemblea
plenaria di Almuñecar, non contenga riferimenti espliciti, è il netto
schieramento pro o contro ETA a creare conflitto.
I temi dell'identità - parola che in Europa possiede un suono sinistro
- e del nazionalismo meritano però ben altro trattamento. É possibile
conciliare le lotte sociali nel mondo globalizzato con il messaggio
nazionalista? E ancora: ha un senso, oggi, difendere gli
stati-nazione? O, peggio, crearne di nuovi?
"La piccola voce degli zapatisti spera di incontrarsi con altre voci",
avevano detto i delegati dell'EZLN all'inaugurazione. Obiettivo
raggiunto? Solo in parte. Le nostre "voci" si sono incrociate, ma non
si sono parlate. L'impressionante apparato di sicurezza costruito
intorno ai due indigeni tojolabal ha reso difficile l'incontro e la
conoscenza reciproca.
Tutte queste difficoltà sollevano la grave questione della
ri-costruzione di un luogo pubblico che è il grande problema del
nostro tempo. Come creare degli spazi autenticamente democratici? Come
allargare la partecipazione? Come andare oltre le maschere e i ruoli?
Come imparare a parlare di se, delle proprie vite e di un progetto
comune, senza scadere nella stanca ripetizione di formule vuote? Sono
materiali per il III Incontro per il quale ci sono già le candidature
del Marocco, del Brasile, dell¹Australia e di Città del Messico.
Bilancio provvisorio
Nel frattempo, dobbiamo riflettere sul Secondo che, con il tempo, ci
apparirà probabilmente sotto altre luci. É curioso che le critiche più
furibonde si elidono a vicenda.
C¹è chi, con mala fede interessata,
scrive di "anarchici", "consumatori di marijuana, incorruttibili
avversari del sapone e dell'igiene" (Guillermo Almeyra, La Jornada, 7
settembre). E c¹è invece chi vede cospirazioni dei "partiti
riformisti".
Atteniamoci ai fatti. L'obiettivo principale dell'Incontro era la
crescita delle rete di lotte. Dove siamo? Un passo più in là. Abbiamo
adesso più contatti e quelli che esistevano - malgrado i problemi -
sono più solidi.
Sebbene un troppo vago, il documento finale sulla rete cerca di
rispondere alle domande "Con chi? Come? Per fare cosa?" che ci eravamo
posti nelle riunioni di preparazione. Vi sono delle novità come
l'insistenza sulle dinamiche locali e sulle reti settoriali
(ecologiche, antinucleari, contro il razzismo, per i diritti umani, la
cittadinanza globale, ecc.) da articolare, si spiega, "con pratiche di
resistenza e trasformazione" di carattere globale.
Un esempio è la rete latinoamericana di organizzazioni indigene e
popolari che ha già fissato un calendario di azioni e sta per produrre
un bollettino.
Oltre a una quantità di iniziative locali e di campagne di
boicotaggio, si è decisa anche una giornata mondiale di lotta, il 12
ottobre, per la dignità dei popoli indigeni, la libera circolazione e
la cittadinanza mondiale. Il processo, come si vede, è in marcia.
É doveroso infine ringraziare gli amici spagnoli che hanno portato a
termine con entusiasmo l¹impegno di organizzare l¹Incontro e ci hanno
sopportato durante otto lunghi giorni.
Va oltre i propositi di questa breve cronaca, esaminare i risultati
finali (in fase di trascrizione) o gli interventi spesso di notevole
interesse. Segnalo comunque la grande abbondanza di materiali
informativi intorno ai paesi rappresentati e le relazioni contro il
patriarcato prodotte dal tavolo delle donne e da quello misto. In
attesa del libro-memoria che dovrebbe uscire entro fine anno, gli
interessati possono consultare i siti :
http://www.nexus.it/commerce/tmcrew/chiapas/index.htm (tactical media)
http://www.ipsnet.it/chiapas/ (comitato Chiapas di Torino)
http://www. pangea.org/encuentro(Sito spagnolo)
Settembre 1997