PERCORSI DI LIBERAZIONE DALLA SELVA LACANDONA ALL'EUROPA
1° Parte

Le note musicali non sono più di cinque, eppure l'orecchio non può coglierne tutte le combinazioni.

I colori primari non sono più di cinque, ma l'occhio non può vederne tutte le combinazioni.

I sapori fondamentali non sono più di cinque, ma non è possibile gustarne tutte le combinazioni.

I metodi d'attacco non vanno oltre l'irregolarità e la regolarità, ma le loro variazioni sono innumerevoli; essi si generano l'un altro come in un moto circolare che non ha inizio nè fine. Chi potrà mai esaurirli?

Sun Tzu

Dietro l'asettica etichetta "neoliberismo" si celano oggi tutti i poteri costituiti, i governi, le polizie, gli eserciti, le multinazionali, i mezzi di comunicazione, la grande finanza, insomma i padroni di quel vapore che essi si ostinano a chiamare realtà e che noi ci ostiniamo a chiamare capitalismo.

La storia, ci ripetono con l'indice alzato, si è conclusa con il crollo del "socialismo reale". La politica è cosa del passato, il presente è semplice amministrazione, ricapitolazione di una regola ferrea ed elementare, già nota ai padri della Chiesa: homo sine pecunia est imago mortis, senza patrimonio l'essere umano non è niente.

Esiste forse ancora qualcuno tanto insensato da dubitarne?

Sembra proprio di sì. Con il loro carico di tende, amache e sacchi a pelo, circa duemila cinquecento "insensati" si sono ritrovati il 26 luglio 1997 nella Plaza de Toros di San Sebastian de Los Reyes, nei pressi di Madrid, per inaugurare il Secondo Incontro Intercontinentale per l'Umanità e contro il Neoliberismo.

Il Primo Intercontinentale, a volte scherzosamente chiamato Intergalattico, si era tenuto esattamente un anno prima, in Messico, in pieno territorio zapatista, dal 27 luglio al 3 agosto 1996, ed era stato concluso dalla Seconda Dichiarazione de La Realidad, che affermava l'impegno collettivo di dare vita in tutto il mondo a una rete di comunicazione ed a una rete di resistenze; e di ripetere l'esperienza appena vissuta di lì a un anno da qualche parte in Europa.

Quell'indimenticabile settimana in Chiapas aveva mostrato come fosse possibile mettersi, uomini e donne di tutti i paesi, intorno a un tavolo per condividere tortillas e sogni, la vita quotidiana e il progetto di una liberazione capace di contenere tutte le liberazioni.

Attraverso l'intrico delle sensibilità differenti, dei ritmi discordi, delle innumerevoli idiosincrasie individuali e collettive, il piccolo raggio di luce venuto dal cuore della selva Lacandona, aveva saputo incontrare specchi dove riflettersi e da cui irradiarsi nuovamente.

Le note che seguono sono un contributo alla ricostruzione dei molti percorsi che si sono incrociati per dar vita a una nuova settimana di confronti e intese, di illusioni e disillusioni, di occasioni colte e di occasioni sprecate. E aspirano anche a stendere un primo provvisorio bilancio.

Il libro della storia attende di essere riscritto, non come semplice descrizione degli eventi, bensì come un corpo contundente scagliato contro lo specchio che, un giorno dopo l'altro, restituisce l'immagine di noi tutti, disorientati e sfruttati, privati del peso della nostra esistenza, ridotti a ombre cinesi del macabro balletto delle merci.

Per consentirci infine di passare oltre e conquistare noi stessi.

DA LA REALIDAD A ZURIGO

Vi sono segni che arrivano nei sogni. Arrivano affinché si possa riflettere su di essi, fissarvi le proprie idee. Il sogno è consegnato alla mente perchè questa possa pensarlo, possa sognarlo, possa vederlo prima di leggerlo nella realtà, prima di arrivare dove è scritto, nel libro o sulla pietra.

Don Tomás, sacerdote maya

Nell'autunno 1996, la situazione degli zapatisti era rapidamente mutata, e non certo in meglio, dopo le giornate intense ed entusiasmanti di agosto. La speranza di poter presto "togliere il passamontagna" e utilizzare il proprio prestigio mondiale per strappare una vittoria nella trattativa con il governo, era appassita nel breve giro di un paio di mesi: lo straordinario successo del Primo Incontro non era bastato ad invertire la tendenza che isola progressivamente il Chiapas laggiù oltre l'istmo, ai margini del fuoco e degli inganni del confronto politico nazionale, teatro di una guerra civile ogni giorno più sanguinosa (1539 vittime nel corso di un solo anno secondo La Jornada del 28 novembre 1997).

In un primo tempo favorevole all'EZLN, la relazione con i mezzi di comunicazione minacciava di trasformarsi in una colossale ed "intergalattica" operazione di neutralizzazione (vedi per l'Italia le cronache di Alberto Arbasino su La Repubblica e quelle di Paolo Guzzanti su La Stampa, nonché il crescente numero di banalizzazioni televisive).

A quel punto, i dirigenti zapatisti cominciarono a riconsiderare la loro strategia in campo internazionale. Giudicando probabilmente che la dinamica fondata sull'Incontro e sulle reti non sarebbe stata in grado di spezzare il cerchio che li soffocava, si risolsero a ricuperare quella concezione più difensiva e più classica di "solidarietà" che avevano sperato di oltrepassare. Decisero perciò di spostare il baricentro delle loro relazioni dai "voi che siete noi", dalle "donne e gli uomini semplici" come quelli presenti a La Realidad, alle forze politiche di sinistra dei paesi avanzati, cui attribuivano (con un qualche fondamento e parecchia ingenuità) una maggiore capacità di influenzare politicamente il debole e vile governo di Zedillo. Questa scelta li indusse probabilmente a guardare con un certo disincanto l'organizzazione di un incontro cui; a differenza di ciò che avevano sperato, sapevano ormai di non poter partecipare in prima persona.

All'improvviso, dunque, i piccoli gruppi indipendenti che intendevano mantenere gli impegni assunti dando vita a un secondo Incontro, si trovavano a doversela sbrigare da soli. Era una sfida importante che tutti affrontammo nella speranza di restituire agli insorti zapatisti quel respiro che essi per primi avevano offerto al mondo.

Tra le diverse persone disposte ad imbarcarsi nell'avventura, una via di comunicazione, soprattutto elettronica, esisteva già: essa si radicava nell'intreccio multicolore dei tanti comitati Chiapas attivi in moltissimi paesi, fin dal 1994, allorché, con la subitaneità d'un incendio, l'insurrezione zapatista aveva stimolato un po' ovunque la possibile reinvenzione di una pratica rivoluzionaria e della sua coerenza.

A mano a mano che la teoria della selva - secondo l'espressione di Pablo González Casanova - si articolava e si precisava, rompendo con la concezione tradizionale della conquista del potere, criticando le forme classiche della politica (il partito, il sindacato, la delega), ricuperando le tradizioni comunitarie, proponendo di costruire un grande spettro di forze unite da nuovi valori (l'autenticità, la dignità, il sogno di un mondo fatto di tanti mondi), spiriti generosi dei cinque continenti prestarono attenzione all'"Adesso Basta" dei maya messicani accarezzando la possibilità di creare un nuovo grande movimento di carattere internazionale.

Nello stesso modo, anche all'interno del Coordinamento Italiano dei Comitati Chiapas, sorto verso la metà del 1995, tendenze profondamente diverse erano state condotte a parlarsi aldilà delle rispettive ideologie.

Lo facevano a partire da esigenze assai dissimili che possiamo provare a riassumere:

1) c'era innanzitutto, un filone solidaristico, nella tradizione dei comitati di sostegno con le diverse sanguinose crisi del terzo mondo, in cui trovavano ampio spazio sensibilità di tipo religioso, antropologico, indianista: questo filone ha avuto l'indubitabile merito di cogliere immediatamente e diffondere con impegno la "sfida di civiltà" implicita nella ribellione maya, ma ha talvolta mitizzato la cultura degli insorti, sottovalutando viceversa le connessioni fra tale rivolta e le scelte di libertà nel cuore della metropoli capitalista.

2) Poi vi era un filone squisitamente politico, che vedeva nell'insurrezione zapatista la ripresa pura e semplice della rivoluzione proletaria, l'inizio di un nuovo scontro contro i nemici di sempre e l'implicita conferma di decenni di resistenza: il limite di questa impostazione è precisamente opposto a quello precedente e ha frequentemente condotto ad accostamenti superficiali, arruolando senza esitazioni gli indios fra le tribù dell'occidente e vestendo alla zapatista parole d'ordine ormai logore e analisi ripetute ostinatamente da novant'anni (e magari sbagliate in larga misura già allora).

3) C'era poi un filone femminista, che aveva colto immediatamente una delle più grandi novità del teoria della selva, costituita da una nuova dignità della donna, una dignità non astrattamente proclamata, ma quotidianamente praticata.

4) C'era per concludere un filone libertario, che aveva intuito nelle parole e nella pratica dei maya insorti una prospettiva radicalmente estranea alle idee sbiadite e fruste e alle lotte segnate dalle cicatrici decennali di fallimenti storici e di sconfitte: una lettura generosamente impegnata a distillare quegli intrecci planetari cui lo zapatismo allude, ma anche ingenuamente propensa ad attribuire all'EZLN disegni e sensibilità proprie.

Queste multiformi sensibilità - solo temporaneamente accomunate nella solidarietà verso un movimento geograficamente e politicamente molto lontano - non avevano tardato a far comprendere che il momento unitario sarebbe durato ben poco e la costruzione di un Incontro alle nostre latitudini sarebbe stata irta di ostacoli.

Mentre il primo impegno della Seconda Dichiarazione della Realidad, di sottoporre a una consultazione mondiale i principi affermati nella dichiarazione stessa, era rimasto in gran parte disatteso, due distinte vicende indicano che la politica dei maneggi, delle manovre sottobanco e delle doppie verità, frettolosamente data per spacciata, era pronta a riemergere dal passato.

Già nell'ambito del Primo Incontro, una parte della delegazione italiana aveva preannunziato l'intento di fondare un'associazione, inizialmente destinata a chiamarsi Italia-Chiapas, ma che fu battezzata poi Ya Basta, con lo scopo di stabilire e mediare rapporti privilegiati fra la sinistra storica e le istituzioni da un lato, e l'EZLN dall'altro.

All'interno del Coordinamento, non pochi, e noi tra gli altri, avevano prontamente denunciato nella nascente Associazione il predominante interesse alla conquista di uno spazio nell'ambito politico a scapito della volontà di fabbricare un mondo nuovo, qui ed ora.

Il risultato della contrapposizione fu che, all'indomani di una bella manifestazione nazionale di sostegno alla lotta zapatista tenuta il 12 ottobre a Roma, il Coordinamento sprofondò in un acquitrino di polemiche, dalle quali non si è mai più sollevato. Tanto più che, pochi mesi dopo, nella questione Chiapas si era installato - e con grande dispiego di mezzi - il Partito della Rifondazione Comunista che spediva il proprio segretario, Fausto Bertinotti, a visitare Marcos con l'intento neppure velato di prestarsi reciprocamente un riconoscimento da spendere poi sui tavoli più opportuni.

L'Associazione Ya Basta, colta l'occasione a sua volta per stringere con tale partito legami tanto stretti quanto strumentali, cominciava a disinteressarsi dell'Incontro, giungendo (come nel caso del libro sul Primo Incontro pubblicato per conto proprio, in maggio, in edizione mutilata e senza pubblicità alcuna...) ai limiti - salvo alcune onorevoli eccezioni - del sabotaggio attivo. Sabotaggio d'altronde di modesta portata, dal momento che gli italiani saranno infine in Spagna la delegazione più numerosa.

Nel frattempo un'analoga divisione si era prodotta anche in Francia, in seguito ai rapporti privilegiati intrattenuti da rappresentanti dell'EZLN con la sinistra tradizionale ed i sindacati ufficiali, il tutto con il condimento di quella che oltralpe è conosciuta come "gauche-caviar", vocabolo equivalente all'analogo pseudoconcetto italiano, "radical-chic".

L'11 novembre 1996 nella cornice incongrua dell’Odeon di Parigi (il tempio della cultura francese, quello stesso che gli studenti rivoluzionari avevano occupato nel 1968) erano ricevuti in pompa magna (e tanto di invito ufficiale!) i rappresentanti zapatisti Javier Elorriaga e Gloria Benavides. Ad un tratto, quella parte dei comitati parigini che aveva già contestato in Chiapas la presenza del sociologo Alain Touraine e di Danielle Mitterrand fece irruzione in sala insieme con un gran numero di sans-papier i quali, proprio in quei giorni, conducevano la loro sfortunata battaglia per la libertà. Una battaglia condotta non nelle remote montagne del Sudest messicano, ma nel cuore della capitale del XIX secolo, la metropoli che aveva veduto il primo ed anche l'ultimo tentativo di sconfiggere il capitalismo in campo aperto: la Comune (1871) e il Maggio (1968).

"Oggi noi precari, senza documenti, disoccupati francesi ed immigrati, noi che siamo le vittime di tutte le leggi discriminanti, abbiamo deciso di occupare il teatro Odeon per farci conoscere. (...) Esigiamo documenti per tutti, libertà di circolazione, uguaglianza di diritti", si leggeva in un loro comunicato. Altri si chiedevano: "Vogliamo giocare di nuovo la farsa dei Fronti Popolari, questa volta su scala internazionale?" La domanda era pertinente e l'azione non era certo diretta contro i delegati zapatisti, tuttavia Elorriaga e Benavides non apprezzarono quella rumorosa interruzione ed il dialogo non si produsse.

Seguirono incomprensioni, divisioni e rotture da cui la rete francese non si é più ripresa; fiorirono ancora diverse "avventure del pensiero" (un incontro in Bretagna, un veliero che da Marsiglia avrebbe raggiunto il Messico...), ma l'affluenza di francesi in Spagna si ridusse alla metà rispetto all'anno precedente.

DA ZURIGO A PRAGA

Immaginario è ciò che tende a essere reale

André Breton

In questo quadro tutt'altro che entusiasmante, tra il 20 e il 22 dicembre, con una partecipazione di circa duecento persone provenienti da dodici paesi, su invito dei comitati svizzeri, si tenne a Zurigo il primo appuntamento per la costruzione in Europa del Secondo Intergalattico.

Il primo scoglio era costituito dalla scelta della data e soprattutto del luogo, problemi di non facile soluzione perchè implicavano, tra l'altro, il confronto fra differenti concezioni dell'agire mondiale per l'umanità e contro il neoliberismo.

Vi era chi privilegiava l'obiettivo di sostenere le battaglie sempre più difficili del Messico e chi reputava invece che, in ambito europeo, lotta contro il neoliberismo si traducesse in primo luogo in lotta contro Maastricht e in difesa dello stato sociale. Una tesi criticata da altri che la reputavano una battaglia affrontata sul terreno del nemico - quello dell'economia - e perciò priva di reali prospettive di successo.

Alcuni affermavano che lo slogan "un mondo che contiene molti mondi" in Europa dovesse prima di tutto tradursi in concrete azioni insieme con gli extracomunitari; mentre altri ancora, andando incontro all'accusa di astrattezza, consideravano prioritario il percorso, il dibattito, la costruzione di un nuovo modo di agire pubblico - tutte questioni che il Primo Incontro aveva in qualche modo sollevato. E, naturalmente, vi era anche chi pensava di capitalizzare la popolarità degli zapatisti e di Marcos in particolare per fini che con lo zapatismo c'entravano poco o punto.

Fra le proposte respinte, ci fu anche quella avanzata dall'Associazione Ya Basta, di tenere un Incontro ad alta visibilità mediatica a Venezia e in altre quattro città europee (o, in una versione alternativa, italiane), con ampio spazio per la delegazione zapatista, la supervisione e il supporto organizzativo dei quotidiani Il Manifesto e Liberazione e la sponsorizzazione del sindaco Massimo Cacciari e del prosindaco Gianfranco Bettin.

Alla fine, l'assemblea dei partecipanti si pronunciò a grandissima maggioranza per la proposta dei comitati spagnoli di un Incontro auto-organizzato, autofinanziato e senza sponsorizzazioni di sorta, da tenersi in cinque località della Spagna tra il 26 luglio e il 2 agosto, nella ricorrenza esatta del Primo Incontro.

In favore di tale scelta giocarono vari fattori, fra cui la chiarezza e la passione con cui i compagni spagnoli l'avevano presentata, la funzionalità della lingua castigliana - l'idioma ufficioso della rete - la relativa economicità del posto; nonché la speranza di poter superare più facilmente i problemi economici e amministrativi per ospitare i compagni latinoamericani e di riuscire a coinvolgere l'Africa, grande assente dall'incontro nella giungla Lacandona.

Si stabiliva a questo punto di sottoporre a consultazione gli obiettivi e i contenuti dell'Incontro e di fissare un calendario di riunioni europee.

La prima di queste si svolse l'uno e il due febbraio a Barcellona, presso la Casa de la Solidaritat, su invito del Colectiu de Solidaritat amb Chiapas.

Oltre ai catalani partecipavano delegati provenienti da Francia, Svizzera, Italia, Germania, Grecia, Svezia, Irlanda, Belgio e Repubblica Ceca e da varie parti dello stato spagnolo (come i compagni di laggiù preferiscono dire per rimarcare le molte nazionalità esistenti nella Penisola Iberica). In totale, un centinaio di persone, in rappresentanza di cinquantacinque collettivi, che, ratificate le decisioni di Zurigo su luoghi e date, decisero di mandare un invito al Comando Generale dell'EZLN ed approvarono il documento introduttivo proposto dai catalani "Per un mondo che contenga tutti i mondi" (vedi), che diverrà in seguito, con alcune modifiche, il nocciolo dell'invito generale al Secondo Incontro.

Si concordò che l'Incontro, senza limitarsi alla solidarietà con il Chiapas, dovesse risultare il più ampio possibile, senza esclusioni né privilegi, inserendosi nel processo di costruzione della rete internazionale di resistenze per l'umanità e contro il neoliberismo. Si affermò che le proposte tecnico-organizzative approvate fossero diretta responsabilità di chi le avanzava e fossero subordinate agli obiettivi generali, dal momento che percorso e obiettivo costituivano un unico indivisibile processo.

Si crearono quindi delle "commissioni" - cui ciascuno partecipava in maniera libera e volontaria - intese a dare forma all'Incontro e che avrebbero operato in seguito con alterno esito nei diversi paesi: contatti, finanze, logistica, contenuti, stampa e propaganda, documentazione.

Le più significative divergenze si incentrarono intorno alla questione degli obiettivi generali che alcuni compagni reputavano impliciti nel titolo stesso dell'Incontro, mentre altri consideravano indispensabile concordare esplicitamente e a quella dei temi da discutere.

La suddivisione dei cinque tavoli per argomenti (economia, politica, società, cultura, minoranze) adottata in Chiapas dagli zapatisti era stata, in un primo momento, da quasi tutti considerata troppo rigida e accademica. Tuttavia, una modifica a partire da bisogni o da aree di interesse piuttosto che da discipline, sebbene accettata in linea di principio, non era riuscita ad ottenere il necessario consenso. D'altra parte, la proposta di cinque temi (potere, lavoro, solidarietà, diversità, comunicazione), formulata dal gruppo di Barcellona, aveva scatenato l'appetito incontenibile dei presenti che gareggiarono nel proporre schemi sempre più complicati e temi sempre più numerosi. Quando al termine di una sessione estenuante questi ebbero raggiunto il numero di trenta si dovette prendere atto dell'insuccesso.

Si rinviarono perciò le scelte finali a una consultazione europea, in cui si sarebbero chiamati tutti i possibili interessati a scegliere fra "fare come in Chiapas" e "altro", a esprimere opinioni e suggerimenti e a stabilire il modo più opportuno per affrontare la questione della partecipazione delle donne, che il primo Incontro aveva lasciato in ombra.

L'idea era buona, ma è necessario ammettere che il questionario, redatto in fretta e furia dopo la conclusione della riunione, era estremamente macchinoso e la formulazione delle domande poco chiara. Risale forse a questo momento la prima grande occasione perduta perché l'Intergalattico, aldilà di un valore simbolico e di testimonianza, potesse acquistare una soddisfacente rilevanza sovversiva. Col senno di poi, sarebbe stato probabilmente più opportuno che i comitati ospitanti, cioè quelli spagnoli, invece di inseguire l'utopia di costruire tutti insieme a livello continentale l'Incontro, si fossero assunti la responsabilità di decidere da soli temi e sottotemi, invitando poi il mondo a discuterli. Proprio come avevano fatto gli zapatisti nel 1996. Un insegnamento di questa vicenda consiste certamente in questo: che esiste un momento per decidere collettivamente ed un momento perché ognuno decida da sé; e che occorre vigilare affinché questi piani non si sovrappongano e si intralcino a vicenda. La ricerca del consenso deve intrecciarsi con le diversità individuali e valorizzarle, non già schiacciarle sotto il peso di un accordo da conseguire a tutti i costi.

Il successivo incontro preparatorio era stato fissato per i giorni di Pasqua (dal 28 al 30 Marzo) a Praga, sede scelta con simpatico volontarismo nella speranza di poter coinvolgere i compagni dell'Europa Orientale nell'allestimento dell'Incontro. In realtà, non solo tale speranza si sarebbe rivelata infondata (in Spagna gli europei dell'est saranno pochissimi) ma, nella stessa Praga, fu data rilevanza alla presenza dei delegati quasi solo dalla Tv di Stato.

I motivi di questo insuccesso non sono stati realmente chiariti, ma è opportuno rilevare il sintomo della difficoltà di generalizzare l'entusiasmo suscitato dalle proposte zapatiste oltre i confini dell'Europa occidentale e degli Stati Uniti. E di conseguenza segnalare il problema di segno opposto: il progressivo scivolamento di quella che era stata la "novità" zapatista nell'alveo tradizionale della solidarietà con le innumerevoli lotte di liberazione nazionale.

A Praga era venuto il momento che l'Incontro, fino ad allora un sogno di pochi, si aprisse al multiforme universo della ribellione, ma fu evidente dal primissimo istante l'esistenza di un divario assai rilevante fra il grado di preparazione e l'efficacia fino a quel momento dispiegata da vari comitati, soprattutto spagnoli, e la partecipazione di altre realtà della rete, che non avevano neppure impiantato le commissioni organizzative.

Eppure tutti avvertivamo che la condivisione delle parole e delle azioni iniziava a lasciare tracce in una rete che, per essere davvero tale, non può servirsi solo della comunicazione telematica, ma deve avere volti e nomi, sangue e sogni.

Il primo punto all'ordine del giorno era l'esame delle 350 risposte risultati alla consultazione giunte da persone e gruppi di 24 paesi. I quesiti concepiti a Barcellona avevano inevitabilmente generato esiti contraddittori e ci vollero non poco impegno e numerose concessioni al pragmatismo per tradurre in decisioni concrete quell'insieme astruso di responsi sibillini.

Occorre prendere atto che la trasposizione del meccanismo della consultazione, uno strumento di grande efficacia democratica nell'ambito circoscritto delle comunità indie, risulta fortemente inadeguato nel contesto vaporoso dei movimenti europei, in cui il momento della coscienza e quello dell'azione si sono allontanati da tempo. E, come ammonisce Hannah Arendt, "ogni volta che il sapere e il fare si separano, lo spazio della libertà va perduto".

Inoltre, come e più che a Barcellona, a Praga risultarono chiari gli aspetti al tempo stesso estenuanti ed entusiasmanti della decisione consensuale con cui il movimento zapatista internazionale ha cercato di funzionare fin dal principio. Esattamente al contrario della democrazia elettorale - con la quale gli esperti di manipolazione istituzionale triturano le meningi proprie e altrui - un tale meccanismo prevede di evitare, per quanto possibile, la votazione, limita al minimo la delega e rifiuta di dare alcunché per scontato.

É questo anche il criterio fondamentale della democrazia diretta che, a nostro avviso, costituisce un possibile punto di incontro tra le tradizioni dei popoli originari e quelle dei movimenti rivoluzionari di Occidente. Occorre però tenere presente che, fondandosi sul rispetto, la reciprocità ed una quotidiana comunità d'intenti e d'azione, la democrazia diretta può funzionare veramente solo fra persone che, vivendo insieme un progetto, si conoscono e si apprezzano.

Tale è appunto la filosofia all'origine degli Incontri: tuttavia, quando tali condizioni siano assenti o anche solo insufficientemente mature, il risultato può essere quello di occultare gli eventuali disaccordi, dando vita a un'armonia fittizia, superficiale e consolatoria. Ed è, almeno in parte, proprio quanto accadde a Praga dove, con la scusa di raggiungere "il consenso" si accantonarono progressivamente i disaccordi, coprendoli ora con l'autorità degli zapatisti messicani, ora con le decisioni uscite dal Primo Incontro, ora con il responso del questionario. Col risultato di riprodurre in maniera meccanica e, fatalmente, al ribasso, quanto già sperimentato a La Realidad.

Ormai appare chiaro che è impossibile liberarsi di un secolo di sconfitte senza tracciare qualche linea di demarcazione fra i sostenitori del vecchio mondo e coloro che vogliono liberarsene, senza mettersi d'accordo su ciò che intendiamo per "umanità" e "contro il neoliberismo". Alla fine, invece, poiché i disaccordi si mostravano irriducibili a una composizione, il consenso si raggiunse a prezzo della riduzione dei contenuti intorno a un comune denominatore tanto accettabile da tutti, quanto appassionante per nessuno.

Si stabilì che la costituzione, l'ampliamento e il rafforzamento della rete erano non semplicemente un tema, ma la ragione stessa della convocazione dell'Incontro che doveva essere "ampio, aperto, flessibile, integrante, fatto della materia dei nostri sogni migliori", nonché "promuovere azioni positive intese a coinvolgere tutti gli esclusi, compresi quelli trascurati dalle opposizioni tradizionali". Infine, si decise che l'Incontro non sarebbe stato un simposio, ma un foro inteso a ad aprire un dibattito approfondito fra le lotte in corso nelle diverse parti del mondo.

Oggi, a esperienza conclusa, crediamo che siano proprio i concetti di lotta e di resistenza a dover essere ridefiniti in maniera radicale se vogliamo sfuggire all'ambito dell'economia e dello stato. Lo spunto ci può venire proprio dalla pratica dell'autonomia - affermata dall'EZLN sulla scia dell'esperienza dei popoli indigeni - che comporta la sperimentazione quotidiana di nuovi modi di vivere, di nuovi mondi, di nuove civiltà, tramite la liberazione di un territorio e l'espulsione radicale delle strutture statali. Questo è proprio quanto attende di essere sviluppato anche in Europa ed è la ragione di esistere di reti ed incontri.

Senza per questo abbandonare il terreno delle rivendicazioni e dell'antagonismo, è urgente ideare e cominciare a vivere relazioni al di fuori alla dicotomia capitale-lavoro, accelerando, con l'estraneità attiva e il quotidiano dileggio, la decomposizione delle forme della politica delegata per sostituirle con l'antipolitica della passione e dell'autenticità.

Si tratta, evidentemente, di obiettivi tutt'altro che a portata di mano sui quali le onde dei movimenti rivoluzionari si infrangono dalla Comune di Parigi in poi: pure, occorre ricordare che l'insufficiente radicalità nell'estromettere le cianfrusaglie del passato alimenta la grande capacità di trasformismo dei riaffondatori di sempre.

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