2° giornata al tavolo di Almunecar
Il secondo giorno di lavori nella mesa di Almunecar ha visto concretizzarsi
alcune delle tematiche che il giorno prima era state soltanto poste
all'ordine del giorno, ma non sviluppate. Non tutti i tavoli stanno
lavorando allo stesso modo, anche per la differente
composizione interna di essi; là dove il gruppo è ristretto, già da questa
mattina si è cominciato a discutere, mentre nei gruppi piú grandi, in
particolar modo quello che compone il tavolo sulla prigionia politica e
sociale, si è ancora alla presentazione delle tematiche che dovranno essere
affrontate, e il dibattito verrà sviluppato nel pomeriggio di mercoledì.
Interessante il confronto che si sta sviluppando al tavolo
sull'immigrazione, nell'affrontare le questioni culturali e sociali che
essa porta con sè :la difficoltà di coinvolgimento delle comunità di
immigrati nei rapporti con la popolazione locale, anche quando si devono
condurre delle lotte sugli stessi temi, difficoltà dovute spesso a
diffidenze reciproche, l'incapacità di fornire gli strumenti necessari a
tutti per entrare in un confronto paritario che non sia nè di potere nè di
pietà, la mancanza di organizzazione e di lotta di molte comunità .
C'è bisogno innanzitutto di definire la figura stessa dell'immigrato, che
ha una propria identità anche singola, e che non può e non deve essere
considerato solo in base alla sua provenienza etnica, ma valutato come
persona. Le organizzazioni di immigrati spesso si costituiscono come punto
referenziale di comunità che però non ha ancora forme di lotta, e non
sempre desidera averle. Ma se gli immigrati non partecipano alle forme di
lotta che organizzano le popolazioni locali, è anche perchè queste ultime
non sanno fornire in maniera corretta gli spazi e gli strumenti necessari
per prendere coscienza della realtà del nuovo paese di residenza.
A questo possono supplire i collettivi e le associazioni che lavorano dal
basso, avendo però la capacità di non assumere un atteggiamento
paternalista e protettivo nei loro confronti, che rischia di diventare
un'altra forma di dimostrare una pretesa superiorità.
Al tavolo sulla prigionia politica, che come ricordavamo è il più numeroso
con oltre cento partecipanti, i lavori sono cominciati questa mattina, dopo
che ieri il tempo era stato speso tutto solo per decidere questioni
tecniche. Si è iniziato con la delegata dal Chiapas, che ha parlato di
alcune situazioni specifiche di prigionia, raccontando le torture che
vengono praticate ai prigionieri, come incappucciarli con buste di plastica
fino al limite del soffocamento, introdurre acqua con peperoncino
attraverso le narici, e tutto per far confessare l'appartenenza al
movimento zapatista. Queste torture non hanno mai cessato di essere
praticate, e anche quando il governo si preparava ai colloqui con gli
zapatisti lo faceva solo per poter consentire all'esercito di accerchiare
le popolazioni indigene.
Il concetto stesso di differenza/uguaglianza deve essere ridefinito, a
partire dalla considerazione che dove le condizioni di partenza non sono
uguali, non si dà identità ma differenza. Bisogna quindi attaccare le cause
che provocano la disuguaglianza e l'esclusione, non superarle nei casi
specifici.
Il dibattito continuerà fino a giovedì, affrontando i temi della cultura
dominante di esclusione, della diversità/differenza/alterità, del razzismo,
dell'integrazione e della multiculturalità.
Nelle carceri, per gli zapatisti le condizioni sono peggiori che per gli
altri prigionieri, tenuti in isolamento, senza possibilità di visite, e
questo è incostituzionale. L'autorità penitenziaria giustificava questo con
la necessità di dar loro protezione rispetto al resto della popolazione
carceraria. Nello stesso tempo, ordinava perizie psichiatriche da cui
risultava che erano paranoici, con uno stato patologico di violenza, con un
alto tasso di pericolosità e contagiosi.Anche dopo la liberazione, a coloro
che sono stati detenuti non vengono mai concesse le libertà che hanno gli
altri cittadini, e molti dei loro movimenti sono sottoposti a controllo
dell'autorità.
La situazione dei paesi baschi è stata affrontata subito dopo, attraverso
il discorso di un compagno italiano e di una compagna basca.
Il primo ha posto il problema di discutere della proposta di concentrare
tutti i prigionieri baschi che ora sono dispersi nelle carceri non solo
spagnole ma anche delle isole, ed eventualmente di produrre un documento
pubblico di appoggio a questa.
La seconda invece ha portato due documenti, il primo riguardante il punto
di vista basco, partendo dalla storia di oggi e di ieri, dalle questioni di
identità, di cultura e società, di diritto e di democrazia. Il secondo
lavoro, a cura del comitato di lotta dei familiari dei prigionieri e
esiliati baschi (di cui lei fa parte) è uno studio giuridico sulla
situazione delle carceri, dell'isolamento, della libertà condizionale,
delle pene raddoppiate.
Ha raccontato poi quello che rappresenta il paese basco come identitá,
cultura, lingua. L'unica possibilità di lotta è il proprio paese, la
propria lingua, negata con un diritto che non esiste.I prigionieri baschi
sono divisi in 67 carceri diverse, impossibilitati a comunicare tra di loro
ma anche con i propri familiari, perchè le distanze spesso sono tali da
impedire ogni contatto. Il presunto indulto promulgato dal governo spagnolo
nel suo periodo di transizione da dittatura a replubblica non c'è mai
stato, e non ha riguardato i prigionieri baschi, che sono in carcere da 18
anni. Le carceri speciali sono state costruite con l'obiettivo di studiare
la pèrsonalità di ognuno per ottenerne il pentimento attraverso pressioni
psicologiche. Quando questa politica si è dimostrata infruttuosa, è
cominciata l'epoca della dispersione dei collettivi politici che nelle
carceri si erano formati attraverso la deportazione in più carceri
dislocati in varie parti del mondo.Tutto questo ha inciso non solo sui
prigionieri, ma anche sui familiari, che con loro hanno condiviso tutte le
difficoltà che questi regimi hanno comportato.
C'è anche il problema di poter parlare di questi argomenti, perchè la
stampa nazionale non ne parla, avendo più bisogno dell'appoggio del governo
che di quello dei baschi
Si chiede quindi la fine della violazione dei diritti umani che lo atato
spagnolo opera nei loro confronti, in spregio anche alla convenzione di
Ginevra che invece prevede un trattamento umano per qualsiasi prigioniero.
Oltre ai detenuti, il problema riguarda anche gli esiliati politici, a cui
non viene riconosciuto questo status giuridico dai paesi ospitanti per non
evere problemi nelle relazioni con lo stato spagnolo.
Il maggior problema che oggi deve essere affrontato è quello
dell'informazione, che non deve essere più asservita ai governi dei vari
paesi, ma deve diventare uno strumento di lotta.
Anche i militanti della RAF, organizzazione che si è costituita negli
anni`'70 durante le lotte contro la guerra nel Vietnam, sono ancora in
carcere dopo 20 anni, in condizioni estreme.
Molti di loro sono morti in carcere, ufficialmente suicidati, nonostante
tutto dimostrasse che erano stati uccisi:ma la propaganda portata avanti
dal governo tedesco, con l'appoggio di tutti i media, ha impedito che si
stabilisse la versione esatta dei fatti. Per questo, la volontà di
liberarli, portata avanti da molti dei gruppi che ne sostengono gli ideali,
ha bisogno di un'appoggio forte a livello di informazione, soprattutto ora
che la Germania si accredita come prima potenza nel continente europeo.
Dal Sahara viene invece la testimonianza della popolazione del Polisario,
che soffre di una prigionia che non è solo quella delle carceri, ma è anche
uella nel proprio territorio, simile più ad una grande riserva che ad un
paese. Non hanno passaporto non possono entrare ed uscire a loro
piacimento dalle altre città del Marocco, e in questo modo non viene loro
negata solo un'identità come popolo, ma anche come persone. Anche i
giornalisti non hanno libero accesso nel loro territorio, e sono prima
controllati dal governo marocchino. I prigionieri dei movimenti di lotta
del Polisario non sono riconsciuti come prigionieri politici ma come
terroristi, e su di loro viene praticata la tortura, come tagliare la pelle
e porre sale sopra le ferite, gli elettrodi ai genitali, la garrota, la
violenza sulle donne fatta davanti ai padri e ai mariti. Ma i polisari non
distinguono tra i militari e la popolazione, perchè questi ultimi sono
complici, come complici sono tutti quei governi che pur sapendo cosa
avviene non fanno sentire la propria voce.
Dalla grecia il racconto delle rivolte in carcere ad Atene, che purtroppo
ha avuto una traduzione che non ha potuto rendere tutto quello che i
rappresentanti avrebbero voluto dire, dovendo già loro usare una lingua che
non è la loro (inglese) e noi farla tradurre nella nostra.
Avremo però occasione di saperne di più non appena verrà presentato il
video che hanno portato a questo incontro.
Hanno poi parlato i delegati dall'Italia, con il Comitato per Silvia
Baraldini che ha percorso la storia di questa prigioniera, per farne
conoscere il caso a tutti gli europei ma anche al resto del mondo qui
convenuto. Non ne parliamo in questa sede perchè i compagni italiani hanno
già le stesse informazioni che qui sono state portate.
Infine, l'ultimo degli interventi di questa giornata ha riguardato la
prigionia politica in Italia, e soprattutto la grossa responsabilità
detenuta dalla stampa nell'assecondare la creazione di criminali da parte
delle Stato. Questa criminalizzazione a mezzo stampa ha consentito ed ha
avallato l'introduzione delle leggi d'emergenza, nate per rompere il
conflitto sociale e dissolverlo. L'emergenza ha come condizione essenziale
l'appoggio dei media e delle loro campagne stampa: coalizzandosi con il
governo, si legittima il livello di repressione. Questo avviene non solo
con la lotta politica, ma anche con l'emigrazione, la mafia, gli anarchici.
Contro questi soggetti ogni forma di repressione viene tollerata perchè
l'opinione pubblica li considera come nemici dello stato.L'esempio qui
portato è stato il caso di Blanco, che, dice ancora Flavio, dimostra con
estrema chiarezza come lo stato possa assoggettare i media, tanto che una
giornalista italiana ha potuto dire di loro "andiamoceli a prendere",
mentre nel caso di Peli nessuno ha detto niente quando è stato trovato
morto nel carcere, mani e piedi legati, e si è detto che si era suicidato.
Queste campagne leggittimano gli aumenti di pena, il blocco dei benefici,
il peggioramento delle condizioni di vita nelle carceri. Ha parlato poi del
caso degli anarchici ora sotto processo, che qui non riportiamo. Infine, ha
portato il saluto di due appartenenti alle BR in carcere, che salutano non
solo i convenuti ma anche tutti i compagni degli altri paesi in carcere.
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Comisión de Prensa
Mesa de Almuñécar
IIº Encuentro Intercontinental por la Humanidad y contra el Neoliberalismo
Teléfono/fax: 958/634801
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