Oaxaca, dicembre 2006.
Questa splendida citta' coloniale a 1500 metri, sita al centro di diramazione di tre grandi valli popolate da 15 popoli indigeni, mostra ancora le ferite profonde dei violenti scontri del mese scorso e di sette mesi di lotta ininterrotta. Mentre il governatore Ulisez Ruiz Ortis (URO) si sbraccia e s'infervora per riportare a un'ipocrita normalita' la capitale, i muri, le strade, i volti seri della gente, parlano di un conflitto ancora acceso. E la cronaca parla di una repressione ancora violentemente in corso d'opera. Recentissimo infatti il sequestro e la tortura di 3 membri dell'APPO all'uscita di un'assemblea, per opera della polizia ministeriale. I tre sono stati sequestrati, rivoltelle e mitra alla tempia, in mezzo alla strada; poi trascinati in campagna, denudati, legati, picchiati, minacciati di essere buttati da un elicottero in mezzo al mare e rilasciati imbavagliati in una macchina in una periferia.
Il centro, lo Zocalo, e' pesantemente presidiato dalle truppe d'occupazione (PFP) e dalla polizia ministeriale. Centinaia di agenti, in tenuta antisommossa, volti coperti e mitragliatrici a braccio, piantonano, donandogli un clima tetro e lugubre, le vie coloniali a ridosso della cattedrale e del palazzo del Governo. Reti metalicche, pulman di traverso, sguardi truci, non rendono affatto quella tipica allegra ospitalita' di cui e' tanto famosa Oaxaca. Turisti ce ne sono pochissimi, strade deserte anche sotto le feste natalizie. Qualche coppietta qua e la', anch'esse guardate di cattivo occhio dalle divise. Pennellate rozze tentano di cancellare la storia, i morti, le cicatrici degli scontri. Lavori continui risistemano i pavimenti e i marciapiedi divelti durante gli scontri. Il tribunale e' ancora annerito dalle fiamme e giace distrutto, come un gigante cadavere.
Ma poco fuori il perimetro della Oaxaca "bene", scritte enormi campeggiano:"URO FUERA, EL PUEBLO TE REPUDIA", la Appo e' ovunque e gode di un sostegno popolare incredibile. Nonostante i ristretti margini d'agibilita' (desapericidos, militanti incarcerati o fuori dalla citta', piazze non autorizzate), la APPO mobilita e smuove dalle colonie (quartieri di periferia) migliaia di persone, organizza controfeste di cultura popolare e si riunisce per decidere (in sedi di volta in volta diverse) il proprio destino.
In questo clima contradditorio, quello di una citta' fantasma e triste e quello di un'Oaxaca brulicante, incazzata e decisa, ci accingiamo al corteo del 22 dicembre, giornata internazionale di mobilitazione in solidarieta' alla sollevazione di qui, indetta dall'EZLN.
L'appuntamento e' una decina di km fuori dalla citta', presso Xoxoclitan, un barrio industriale. Ci accorgiamo subito che si tratta di qualcosa di diverso dei cortei di militanti a cui siamo abituati. C'e' quasi tutta gente di barrio, mamme, tante donne con i cartelli recanti i nomi dei propri figli e mariti scomparsi o arrestati. I volti, determinati, arrabbiati ma anche sorridenti, sono quelli delle etnie da 500 anni in lotta contro la colonizzazione: zapotechi, mixtechi, serra, etc... abiti tipici e gente comune, lavoratori, professori, mamme che allattano, coppie di anziani che avanzano a braccetto aiutati da un bastone. Qua e la' qualche ragazzo, cappuccio e volto coperto, spray e stencil. Il sole picchia e dopo un paio di ore partiamo, saremo un migliaio. La gente, divisa per barrio, colonia o collettivo si mette ordinatamente in fila... slogan, passo svelto, cordoni ben delimitati, soprattutto nel settore strapartecipato dell'APPO. Dopo pochi metri siamo gia' raddoppiati. La gente scende dalle case per unirsi alla dimostrazione, escono dalle botteghe col pugno chiuso, dai baretti, dal supermercato, dalle scuole. Si aggregano e il fiume sembra andare in piena, mentre sugli argini la gente applaude.
Il percorso e' lungo e il tentativo del servizio di decoro urbano di URO di restituire muri taciti e consenzienti con l'operato governativo e' nullo. Le scritte, gli stencil, i manifesti invadono come edera rampicante ogni spazio disponibile, fin sopra i balconi, i tetti delle case, i cornicioni dei palazzi. E' la citta' che grida "vergogna!", che rivuole in vita i propri figli scomparsi (sono una cinquantina di desaparecidos) o in galera (ne rimangono ancora 80 dei 200 presi), che grida vendetta per i propri morti (una ventina) e feriti (circa 400). La rabbia per la mattanza di URO e della PFP non si trattiene premendo il coperchio sulla pentola... c'e' ancora tanta determinazione, nonostante la stanchezza, la paura... Leggiamo una scritta che recita appunto: "la vernice bianca non puo' cancellare i nostri morti". Ma il movimento pare muoversi in avanti, come ogni miglior movimento sa fare: ci sono stencil dell'ArtInsu (arte insurgente) che parlano di "visual revolucinaria", un po' situazionisti, un po' graffitari: i loro poster vanno a ruba anche tra le vecchie donne indios, tutti vogliono almeno una serigrafata di URO vampiro.
Il corteo cresce, il fiume si ramifica nei vicoli del centro incapaci di contenere la folla. Giriamo largo dalla PFP e dalla possibili provocazioni, ma ugualmente attraversiamo le calles del centro storico. Il ritmo e' ossessivo "la APPO, la APPO, la APPO somos todos", "Presos politicos libertad".
Ci fermiamo in un'esquina e ci lasciamo scorrere davanti gli occhi la varieta' bellissima del corteo. Continua a stupirci quanto sia nutrito lo spezzone dell'APPO, composto al suo interno da collettivi, quartieri, sindacati di maestri. Pochi bianchi, per lo piu' media indipendenti e un paio di organizzazioni per i diritti umani. Ci sono gli studenti, anche loro hanno i propri arrestati e desaparecidos, ci sono i giovani anarchici antispecisti, e tanta gente comune, indefinibile secondo le etichette che anche noi siamo soliti assegnare. La folla ci coinvolge, ci parla, ci scruta, ci chiede chi siamo. Poi si racconta. Storie di mamme con tre figli dentro, storie di nonne con lo sguardo risoluto all'orizzonte, portatitrici di tutte le sofferenze degli indios. Storie di ventenni prelevati a casa e spariti. Storia di una ragazza india, militante, presa dalle guardie che le hanno rapato la testa, lei che aveva capelli neri lunghissimi che da dodici anni non tagliava. Piccoli grandi orrori della repressione, la realta' quotidiana di una lotta che chiede e leva molto, energie, lacrime, amici sepolti ma che e' diventata inevitabile, forte, motivo di vita. Uno slogan recita: "Mejor la muerte que una paz tanto infame!"
Le donne sembrano essere la colonna vertebrale di questo lungo corteo che si snoda come Quetzocal, il serpente piumato. Donne curve che sopportano il peso della storia, delle cesta di frutta, dei loro amori detenuti o spariti nel nulla, se non addirittura sepolti. Donne che gridano forte, che guardano lontano, che alzano il pugno e non si accontentano di ricompattare la famiglia, ma vogliono un'altra Oaxaca, quelle che fino a poco tempo fa era in vita, quella della comune. Donne che preparano il cibo per i compagni, che ritagliano adobbi per le feste popolari, che con un occhio guardano te mentre le parli e con l'altro scrutano il pargoletto dove s'e' cacciato. Senza enfasi, e' solo l'appunto delle frasi scambiate con le mille comunita' che compongono la linfa di questa lotta. C'e' un'altra frase, col simbolo della donna, che recita: "Potranno tagliare anche tutti i fiori del mondo, ma non fermeranno mai la primavera". Il movimento e' bello perche' crea e, nonostante tutto, da speranza e sorriso.
A Plaza de la Danza il corteo si ferma, siamo a poche quadra dallo Zocalo e la gente si perde subito nei mercati, all'ombra delle tende, a bere, confabulare, ridere, abbracciarsi. Il popolo rientra nei suoi posti, col solito fare fibrillante, appende la bandiera dell'Appo dietro il cesto di mais che stava vendendo o sul bus che stava conducendo. C'e' una totale fusione tra gli spazi e le persone della lotta e della vita normale.
Infine, di fronte la chiesa parte il canto "Venceremos", mille pugni si alzano, e' il grido chiaro che "la lucha sigue"...
Viva Oaxaca!
Galleria Fotografica
Alcune foto: http://chiapas.indymedia.org/display.php3?article_id=140519
L'Arte della resistenza
Vignette dal basso: La Collezione Oaxaca
di Latuff
22 dicembre 2006
http://www.salonchingon.com/exhibits/latuff2006/index.php?city=ny
dalla pagina web:http://www.narconews.com/otroperiodismo/it.html