Per la maggior parte di questo secolo, gli Stati Uniti sono stati di gran lunga
la potenza economica dominante ed hanno spesso fatto ricorso alla guerra economica,
un'arma particolarmente attraente: essa comprende misure che vanno dall'embargo
all'imposizione delle regole prescritte (ai più deboli) dall'Fmi. Ma
negli ultimi vent'anni circa, gli Usa hanno conosciuto un declino rispetto al
Giappone e all'Europa a guida tedesca (grazie, in parte, alla pessima gestione
economica dell'amministrazione Reagan, che ha organizzato un vero e proprio
banchetto per i ricchi i cui costi sono stati a carico della maggioranza della
popolazione, future generazioni comprese). Nello stesso periodo, in compenso,
la potenza militare degli Stati Uniti ha acquisito un predominio assoluto.
Finché era in gioco anche l'Unione Sovietica, c'era stato un limite alla
forza che gli Usa potevano impiegare, soprattutto nelle aree più remote,
dove non potevano contare su un grosso vantaggio delle forze convenzionali.
Poiché l'Urss era solita sostenere quegli stessi governi e movimenti
politici che gli Usa cercavano di distruggere, c'era il rischio che un intervento
americano nel Terzo Mondo si trasformasse in una guerra nucleare. Venuto meno
il deterrente sovietico, gli Usa sono molto più liberi di ricorrere alla
violenza ovunque nel mondo; un fatto di cui, negli ultimi anni, gli analisti
politici americani hanno già preso coscienza, con notevole soddisfazione.
In ogni confronto, ciascun partecipante cerca di spostare il campo di battaglia
nel settore in cui ha maggiori probabilità di vincere. Ognuno cerca di
prevalere con le proprie forze, di giocare le carte migliori. L'asso nella manica
degli Stati Uniti è la forza militare - perciò se riusciamo far
valere il principio per cui è la forza che governa il mondo, è
già una vittoria. Se, d'altro canto, il conflitto si risolve con mezzi
pacifici, gli Usa ne traggono un beneficio minore perché su quel piano
i loro rivali possono combattere ad armi pari.
Per tale ragione la diplomazia rappresenta un'opzione particolarmente sgradita,
a meno che le trattative non vengano portate avanti sotto la minaccia delle
armi. Gli Stati Uniti possono contare su uno scarsissimo consenso popolare riguardo
i loro obiettivi nel Terzo Mondo. E non c'è da stupirsi, dal momento
che cercano di imporre agli altri delle strutture di dominio e di sfruttamento.
Un accordo diplomatico è destinato a rispondere, almeno in parte, agli
interessi anche degli altri partecipanti ai negoziati, il che rappresenta un
problema quando le proprie posizioni non sono molto popolari.
Ne consegue che i negoziati sono una cosa che di solito gli Usa cercano di evitare.
Contrariamente a quel che sostiene molta propaganda, è stato così
per molti anni nel Sudest asiatico, in Medioriente e in America Centrale.
Considerato tale contesto, è naturale che l'amministrazione Bush guardasse
alla forze militare come ad uno strumento politico vitale, preferendola alle
sanzioni e alla diplomazia (come si è visto durante la Crisi del Golfo).
Ma dal momento che agli Usa oggi manca la base economica per poter imporre "ordine
e stabilità" nel Terzo Mondo, devono contare su altri per coprire
le spese d'esercizio - esercizio necessario, si presume generalmente, perché
qualcuno deve pur assicurare il dovuto rispetto ai padroni. Il flusso dei proventi
derivanti dalla produzione petrolifera nel Golfo aiuta, ma il Giappone e l'Europa
Occidentale a guida tedesca devono anch'essi pagare la loro quota nel momento
in cui gli Usa decidono di assumere il "ruolo dei mercenari", seguendo
il consiglio della economica internazionale.
Il caporedattore economico del conservatore Chicago Tribune da tempo evidenzia
questi temi con particolare chiarezza. Dobbiamo essere "mercenari volonterosi",
e farci pagare dai nostri rivali per gli importanti servigi che rendiamo; dobbiamo
utilizzare il nostro "potere monopolistico" nel campo della sicurezza
per mantenere il "controllo sul sistema economico mondiale". Dovremmo
essere a capo di un racket della protezione globale, è il suo consiglio,
e vendere "protezione" alle altre potenze economiche, che ci dovrebbero
pagare un "premio di guerra". [31]
Siamo a Chicago, dove queste parole vengono capite al volo: se qualcuno ti
dà fastidio, chiami la Mafia perché gli rompa le ossa. E se resti
indietro con il pagamento del "pizzo", anche la tua salute potrebbe
soffrirne.
È ovvio che l'uso della forza per controllare il Terzo Mondo è
solo l'estrema risorsa. L'Fmi è uno strumento dotato di un miglior rapporto
costi/benefici rispetto ai Marine o alla Cia, purché funzioni. Ma il
"pugno di ferro" deve essere sempre a portata di mano e immediatamente
disponibile qualora se ne presentasse il bisogno.
Il nostro ruolo di mercenari porta anche a dover patire dei sacrifici in patria.
Tutte le potenze industriali cha hanno avuto successo hanno potuto contare su
uno stato che proteggeva e stimolava i potenti interessi economici interni,
che indirizzava le risorse pubbliche verso le necessità degli investitori,
eccetera: e questo è appunto uno dei motivi del loro successo. Fin dagli
anni '50, gli Stati Uniti hanno perseguito questi obiettivi soprattutto attraverso
il sistema del Pentagono (compresi la Nasa e il Dipartimenti per l'Energia -
che produce armi nucleari). Oggi siamo costretti a restare all'interno di questi
meccanismi per mantenere il settore dell'elettronica, quello dei computer e,
in generale, l'industria ad alta tecnologia.
Gli eccessi keynesiani in campo militare dell'epoca Reagan hanno comportato
nuovi problemi. Il trasferimento delle risorse alle minoranze benestanti e ad
altre politiche governative ha provocato un'ondata di speculazioni finanziarie
e un'orgia di consumismo.
Ben poco invece si è mosso nel settore degli investimenti produttivi.
Così il paese si è trovato sommerso da un debito immenso a livello
governativo, industriale, familiare oltre all'incalcolabile debito costituito
dai bisogni sociali che trovano risposta mentre la società precipita
verso un modello sociale da Terzo Mondo, con isole di immensa ricchezza e privilegio
in un mare di disperazione e di sofferenza.
Quando uno stato si lega a politiche di questo tipo, deve trovare a qualunque
costo un modo per distrarre i cittadini, per tenerli occupati affinché
non si accorgano di quanto sta accadendo intorno a loro. Non ci sono molti modi
per ottenerlo. I più comuni sono quelli di inculcare il terrore di nemici
terribili che sono sul punto di avere la meglio ed il rispetto per i nostri
straordinari leader che ci salvano dal disastro al momento opportuno.
Questo è stato lo schema prevalente negli anni '80, ma è stata
necessaria non poca ingegnosità di fronte alla sempre minore credibilità
dello strumenti più classico, il pericolo sovietico. Perciò la
minaccia alla nostra esistenza è stata rappresentata da Gheddafi e dalle
orde di terroristi internazionali, da Grenada e dalla sua minacciosa base aerea,
sai sandinisti che stavano per marciare sul Texas, dai narcotrafficanti ispanici
guidati dal supermaniaco Noriega, e da tutti quei pazzi di arabi in genere.
Più di recente c'è stato Saddam Hussein, dopo che questi ebbe
commesso il suo unico crimine - quello della disobbedienza - nell'agosto del
1990. È diventato così sempre più inevitabile riconoscere
quel che è sempre stato vero: il nemico numero è il Terzo Mondo
che minaccia di "sfuggire al controllo".
Non esistono leggi naturali. I processi, e le istituzioni che li generano, potrebbero
essere cambiati. Ma per far ciò occorrebbero cambiamenti culturali, sociali
e istituzionali di non piccola importanza, comprese delle strutture democratiche
in grado di andare ben oltre la periodica selezione di rappresentanti del mondo
degli affari chiamati a gestire gli affari interni ed internazionali.
31. William Neikirk, "We are the World's Guardian Angels", nel supplemento economico del Chicago Tribune, 9 settembre 1990. Citato in Chomsky, De-terring Democracy, cap. 5.