ORSOLA CASAGRANDE - LONDRA
Noam Chomsky sarà in Turchia, a fianco del suo editore Fatih Tas da oggi sotto processo. Tas rischia anni di carcere per aver pubblicato una raccolta di saggi di Chomsky definita, si legge nell'atto di accusa, "propaganda contro l'indivisibile unità del paese, della nazione e dello stato della Repubblica di Turchia".
Quello all'editore di Chomsky è soltanto l'ultimo di una serie infinita di processi, denunce, sequestri di libri, riviste, dischi, cassette di materiale definito "separatista". Il processo che si apre oggi godrà di qualche copertura internazionale 'grazie' al fatto che coinvolge uno scrittore conosciuto e famoso. Ma il 2001 è stato un altro anno di lotta alla cultura. E il 2002 si è aperto all'insegna di processi contro editori e scrittori. Oltre a Chomsky e Tas, infatti, a finire sotto accusa (per l'ennesima volta) è uno dei più importanti scrittori kurdi, Memhed Uzun.
Questa volta Uzun è accusato dal tribunale per la sicurezza dello stato di Diyarbakir di istigazione al separatismo: rischia tra i cinque e gli otto anni di galera. Il processo è fissato per l'otto marzo e il tribunale ha anche emesso un mandato di cattura per Uzun, che vive da anni in Svezia. L'accusa si riferisce ad una conferenza sul suo lavoro letterario che lo scrittore ha tenuto a Diyarbakir il 15 gennaio 2000 di fronte a seimila persone. L'editore di Uzun in Turchia, Hasan Oztoprak è stato più volte chiamato in tribunale. L'ultima volta, il 29 gennaio, gli è stato contestato il contenuto del volume "Creare una lingua" (Bir dil yaratmak) nel quale Mehmed Uzun parla di una cultura e di una letteratura kurde distinte e della necessità di riscoprire e riappropriarsi della propria lingua.
Sotto la scure della censura è finita anche l'ex presidente della commissione parlamentare sui diritti umani, Sema Piskinsut. Subito rimossa dall'incarico dopo aver dichiarato che la tortura in Turchia è pratica sistematica, Piskinsut ha scritto un libro sulla tortura. La polemica è esplosa e i tribunali si stanno già muovendo per incriminare la scomoda deputata (che ha creato un suo partito) e ordinare il sequestro del libro.
La band di sinistra più famosa, Grup Yorum, ha una storia lunga quanto la sua esistenza con tribunali, galera, tortura, sequestro di dischi e censura. L'ultimo lavoro del gruppo "Feda" (si potrebbe tradurre con sacrificio) dedicato ai detenuti politici in sciopero della fame da oltre un anno, è stato ritirato dai negozi di dischi per ordine dei magistrati. Le autorità non hanno risparmiato neanche una agenda in kurdo distribuita in un'assemblea del partito Hadep a Bursa. Lo stesso Hadep è nuovamente sotto processo da qualche settimana: il pubblico ministero ha chiesto la chiusura del partito per attività di sostegno al Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan.
E' in questo contesto di repressione che si svolgono in tutto il paese manifestazioni di studenti universitari e delle superiori che chiedono di poter studiare il kurdo a scuola e all'università. Con centinaia di arresti e decine di denunce: basta firmare la petizione che chiede l'introduzione del kurdo nel curriculum per essere arrestato e accusato di separatismo.
L'Europa, che pure aveva chiesto alla Turchia di mettere in moto riforme in direzione di un maggior rispetto dei diritti umani e della libertà di pensiero e opinione, dopo qualche timida protesta verso il governo di Bulent Ecevit per gli studenti arrestati, ha scelto il silenzio. Anche di fronte alle centinaia di detenuti politici ancora in sciopero della fame. Anche di fronte alla importante decisione del Pkk di cambiare nome e modificare la sua strategia e le sue strutture in Turchia e in Europa. Puntuale invece il commento sulla scelta del partito di Ocalan è arrivato dai maggiori quotidiani turchi che "subodorano l'inganno". In un editoriale il moderato Cumhuryet scrive infatti che il Pkk ha cambiato nome d'accordo con l'Unione europea che proprio per questo non l'avrebbe inserito tra le organizzazioni terroristiche.
Alla vigilia del viaggio l'agenzia kurda Meha lo ha intervistato
Secondo il diffuso quotidiano turco "Hurriyet" la sua decisione di recarsi in Turchia ed a Diyarbakir è parte di una campagna antiturca connessa alla petizione sulla lingua kurda, che ha condotto finora all'arresto di duemila dei quindicimila studenti firmatari e che sarebbe organizzata dal Pkk...
Nulla di più lontano dalla verità. Non ho avuto alcun contatto con il Pkk né con gli studenti kurdi, la cui rivendicazione... considero peraltro assolutamente legittima anche ai sensi della Costituzione turca e da sostenere con forza. Del resto mi stupisco dello stupore. E' mio diritto e dovere assistere ad un processo basato su un'operazione infame. E' sotto accusa una comunicazione universitaria in cui mi riferivo alle relazioni turco-americane e in particolare al sostegno Usa alla repressione dei kurdi, negli stessi termini usati dalle organizzazioni internazionali di tutela dei diritti umani e dai più attendibili osservatori - ad esempio quel Jonathan Randal, corrispondente del Washington Post, il cui lavoro è al bando in Turchia al pari del mio. Una volta in Turchia, terrò conferenze ed incontri né più ne meno di quanto faccio negli Usa, in India e in Pakistan o nella mia prossima visita in Brasile.
Lei ha viaggiato molto. Si è sentito accusare altrove di fare propaganda antinazionale?
Certo che è capitato: nell'Unione sovietica le mie ricerche anche in campo linguistico erano vietate, così come in Argentina ai tempi dei generali neonazisti. Spesso mi si attacca sulla stampa di paesi retti da governi autoritari o su fogli dell'estrema destra. Ma persino nei paesi retti dalle dittature più brutali resta inteso che il visitatore straniero ha diritto di dire ciò che pensa e scrive. Solo chi non ha alcuna nozione della democrazia può parlare di "propaganda sovversiva".
Si è scritto che il suo viaggio vuol essere un test del grado di libertà in Turchia...
Chi l'ha scritto ha un triste concetto della Turchia e della libertà, e offende i suoi cittadini... I soli criteri di giudizio che conosco sono quelli fondati nell'epoca dei Lumi e affinati nelle società democratiche. Non vado a Diyarbakir per giudicare la Turchia, ma perché questa città riveste per me lo stesso interesse che dovrebbe avere per qualunque cittadino americano preoccupato per le politiche di cui siamo corresponsabili, e per qualsiasi persona che abbia a cuore i diritti umani.
* Dall'agenzia "Meha"
Traduzione Dino Frisullo
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