La protesta si sposta da Seattle a Washington.
Intervista con Noam Chomsky sulla rinascita della lotta per la giustizia economica
e sociale
David Barsmain - The Nation, USA.
Professor Chomsky, parliamo di quello che è successo a Seattle tra la fine di novembre e l'inizio di dicembre durante la conferenza dell'organizzazione mondiale del commercio (Wto) Quali lezioni bisogna ricavarne?
Penso che sia stato un evento molto importante. Ha espresso un'ampia opposizione alla globalizzazione come la intendono le multinazionali, imposta soprattutto dalla leadership statunitense, ma anche da altri grandi paesi industrializzati. La partecipazione è stata ampia e variegata e ha radunato attivisti degli Stati Uniti e di tutto il mondo che in passato erano stati raramente in rapporto tra loro. E lo stesso tipo di coalizione che l'anno prima aveva bloccato l'Accordo multilaterale sugli investimenti (Mai) e che si è opposta ad altri cosiddetti accordi come il Trattato nordamericano di libero scambio (Nafta) e in generale alla politica della Wto.
Una delle lezioni di Seattle è che un attento e prolungato lavoro di educazione e preparazione può dare i suoi risultati. Un altro aspetto è che una parte consistente della popolazione statunitense e mondiale - probabilmente la maggioranza di chi riflette sull'attualità - è come minimo infastidita dagli sviluppi in corso o, nei casi estremi, decisamente contraria. Questi sentimenti sono causati soprattutto dal duro attacco ai diritti democratici e alla libertà di compiere le proprie scelte. Ma anche dalla subordinazione dei problemi generali a interessi particolari; dal primato del profitto; e dalla dominazione che esercita un settore ristrettissimo della popolazione mondiale.
L'economista Thomas Friedman ha definito i manifestanti di Seattle "un'arca di Noè dei sostenitori di idee superate".
Dal punto di vista di Friedman probabilmente è vero. Credo che anche i proprietari di schiavi vedessero così le persone che si opponevano alla schiavitù. Per l'1 per cento della popolazione a cui si rivolge Friedman e che lui rappresenta, chi fa opposizione sostiene idee superate. Perché mai qualcuno dovrebbe opporsi agli sviluppi che abbiamo descritto?
È giusto dire che nelle strade di Seattle insieme ai gas lacrimogeni soffiava anche un vento di democrazia?
Direi di si. Una democrazia che funzioni non dovrebbe manifestarsi nelle strade, ma nelle aule in cui si prendono le decisioni politiche. Questa riflessione sull'erosione della democrazia e sulle reazioni popolari che essa scatena non sono una novità. Nel corso dei secoli c'è stata una lunga battaglia per estendere la portata delle libertà democratiche, e ha ottenuto tantissime vittorie proprio in questo modo: non grazie a concessioni ma attraverso scontri e lotte.
Se in questi casi la reazione popolare assume una forma veramente organizzata e costruttiva, può scardinare e rovesciare la spinta antidemocratica degli accordi economici internazionali imposti al resto del mondo. Accordi veramente antidemocratici. È chiaro che si pensa subito all'attacco contro la sovranità nazionale statunitense, ma nella maggior parte del mondo le cose stanno molto peggio. Più della metà della popolazione mondiale non ha letteralmente nemmeno il controllo teorico sulle politiche economiche nazionali. Si trova in un regime di amministrazione controllata. Le politiche economiche di questi paesi sono dettate da burocrati che lavorano a Washington, in virtù della cosiddetta crisi del debito, che è una costruzione ideologica e non una realtà economica. Questo vuol dire che più di metà della popolazione mondiale non ha alcuna sovranità.
Perché dice che la crisi del debito e' una costruzione ideologica?
C'è un debito. Ma su chi sia il debitore e chi il creditore esiste una disputa ideologica, non economica. Per esempio, esiste un principio del capitalismo- a cui nessuno, naturalmente, vuole prestare attenzione - che dice: se tu mi presti dei soldi io mi assumo la responsabilità di restituirteli, ma tu, come creditore, devi correre il rischio che io non onori il debito. Nessuno, però, concepisce questa possibilità.
Supponiamo, invece, di seguirla nel caso dell'Indonesia. Proprio ora la sua economia è schiacciata da un debito pari a qualcosa come il 140 per cento del Prodotto interno lordo (Pil). Se si risale alle origini di questo debito si scopre che i debitori reali erano duecento esponenti della dittatura militare - che gli Stati Uniti hanno appoggiato - e i loro amici più stretti. I creditori erano le banche internazionali. Gran parte di questo debito ora è stato socializzato attraverso il Fondo monetario internazionale (Fmi), il che significa che ne sono diventati responsabili i contribuenti del mondo ricco.
Che fine hanno fatto i soldi? I debitori si sono arricchiti. Ci sono state esportazioni di capitali e qualche accenno di sviluppo. Ma la gente che aveva preso i soldi in prestito non ne è responsabile. Spetta ai cittadini indonesiani ripagare il debito. E questo significa vivere sotto programmi di drastica austerità, estrema povertà e sofferenza. Ma è una fatica senza speranza ripianare un debito contratto da altri.
Che ne è invece dei creditori? I creditori sono protetti dal rischio. Questa è una delle principali funzioni del Fondo monetario: garantire la mancanza di rischio a chi presta e investe in prestiti a rischio. Ecco perché i creditori ottengono alti rendimenti: perché c'è un rischio altissimo. Il rischio non ricade su di loro, perché è socializzato. Viene trasferito in vari modi ai contribuenti dei paesi industrializzati attraverso l'Fmi e altri meccanismi, come le obbligazioni Brady. L'intero sistema è organizzato in modo che i debitori siano sollevati dalle responsabilità, trasferite alle masse impoverite dei paesi interessati. I creditori invece sono protetti da ogni rischio. Queste sono scelte ideologiche, non economiche.
E non finisce qui. C'è un principio del diritto internazionale che fu concepito dagli Stati Uniti un secolo fa quando "liberarono" Cuba, ovvero la conquistarono per evitare che si liberasse da sola della Spagna, nel 1898. A quell'epoca gli Stati Uniti cancellarono il debito di Cuba con la Spagna sostenendo abbastanza ragionevolmente che il debito era illegittimo, in quanto imposto agli abitanti di Cuba con la forza, in virtù di un rapporto di subordinazione.
In seguito questo principio fu incorporato nel diritto internazionale, sempre su iniziativa statunitense, come il cosiddetto "debito odioso": il debito non è valido se è imposto essenzialmente con la forza. Il debito del Terzo mondo è debito odioso. Questo è stato riconosciuto perfino dalla rappresentante degli Stati Uniti all'Fmi, Karen Lissaker, un'economista di fama internazionale. Un paio di anni fa Lissaker ha messo in evidenza che se applicassimo i principi del debito odioso, la maggior parte del debito del Terzo mondo scomparirebbe.
Il 13 dicembre il settimanale Newsweek ha titolato in copertina La battaglia di Seattle e ha dedicato alcune pagine alle proteste contro la Wto. Una scheda si intitolava Il nuovo anarchismo e descriveva cinque figure in qualche modo rappresentative di questo ipotetico nuovo movimento. Tra loro c'erano i Rage Against the Machine e i Chumbawamba. Non credo che lei li conosca.
Invece si. Non sono così fuori dal mondo.
Sono gruppi rock. L'elenco prosegue con lo scrittore John Zerzan e con Theodore Kaczynski, il famoso Unabomber, poi è la volta del professor Noam Chomsky. Come è entrato in questa costellazione? I redattori di Newsweek l'hanno contattata?
Certo. Mi hanno fatto una lunga intervista [risatina].
Mi sta prendendo in giro?
Lo chieda a loro. Io tutt'al più posso immaginare qualcosa che potrebbe essere successo nella loro redazione, ma la mia immaginazione funziona bene quanto la sua. Il termine "anarchico" ha sempre avuto un significato strano nei circoli dell'élite. Per esempio, nel Boston Globe di oggi c'era un piccolo articolo con un titolo di questo tipo: "Gli anarchici organizzano le proteste per il vertice dell'Fmi di aprile". Chi sono questi anarchici? Public Citizen di Ralph Nader, sindacati e altri gruppi. Alcuni di loro si definiranno anarchici, qualunque cosa voglia dire. Ma l'élite si concentra solo sui significati che possono essere denunciati come irrazionali. E lo stesso tipo di ragionamento di Friedman quando parla di "sostenitori di idee superate".
Vivian Stromberg di Madre. organizzazione non governativa di New York, dice che ci sono molti moti ma nessun movimento.
Non sono d'accordo. Per esempio, quel che è successo a Seattle era certamente un movimento. Alcuni studenti sono stati arrestati perché protestavano contro le università che non hanno adottato le severe sanzioni proposte per le fabbriche che sfruttano la manodopera. Succedono tante altre cose che mi fanno pensare a un movimento. Per molti aspetti quello che è accaduto a Montreal il 29 gennaio, in occasione della riunione per il Protocollo sulla biosicurezza, è perfino più drammatico di Seattle. Qui da noi non se n'è discusso molto, perché i manifestanti erano soprattutto europei. Gli Stati Uniti erano spalleggiati da un paio di altri paesi che sperano di avvantaggiarsi dalle esportazioni di biotecnologie. Ma la battaglia è stata sostanzialmente tra gli Stati Uniti e la maggior parte degli altri paesi del mondo, che si trovano su fronti opposti a proposito del cosiddetto "principio di precauzione". Il principio consiste in questo: un paese, i suoi cittadini, hanno il diritto di dire che non vogliono essere coinvolti in un esperimento condotto da qualcun altro? Ebbene, durante i negoziati di Montreal gli Stati Uniti, che sono il centro delle maggiori industrie biotecnologiche, dell'ingegneria genetica e così via, hanno chiesto che la questione sia disciplinata in base alle regole della Wto. Secondo queste norme i soggetti dell'esperimento devono provare scientificamente che il processo in corso presenta dei rischi, perché altrimenti prevalgono gli oscuri valori dei diritti aziendali. L'Europa e la maggior parte del resto del mondo, invece, hanno insistito - con successo -sul principio di precauzione.
Quindi la posta in gioco è chiara: un attacco contro il diritto dei cittadini di compiere le proprie scelte su questioni semplici come essere o no un soggetto di esperimento. Per non parlare del controllo delle risorse o dell'imposizione di condizioni sugli investimenti stranieri o sul trasferimento della propria economia nelle mani di società d'investimento e di banche straniere. E un grave attacco contro la sovranità popolare per favorire la concentrazione del potere nelle mani di una specie di rete Stato-multinazionali, formata da alcune megamultinazionali e da pochi Stati che promuovono i propri interessi. Per molti versi a Montreal il problema è stato più vistoso e più chiaro che a Seattle.
Pensa che la sicurezra alimentare sia una questione su cui la sinistra può raccogliere consensi più ampi?
Non la vedo come una questione di sinistra. In realtà le questioni di sinistra sono questioni popolari. Se la sinistra significa qualcosa questo qualcosa è preoccuparsi dei bisogni, del benessere e dei diritti dei cittadini. Perciò la sinistra dovrebbe essere la stragrande maggioranza della popolazione, e per certi aspetti penso che lo sia. In questo senso potrebbe essere di sinistra ogni questione popolare.
E il movimento studentesco contro le industrie che sfruttano la monodopera? È diverso dagli altri movimenti che ha conosciuto?
E diverso e simile allo stesso tempo. Per certi versi somiglia al movimento contro l'apartheid, tranne che in questo caso colpisce al cuore dei rapporti di sfruttamento. E un altro esempio di come possono collaborare gruppi differenti. I principali promotori sono stati Charlie Kernaghan del Comitato nazionale dei lavoratori, a New York, e altri gruppi del movimento sindacale. Oggi in molti ambiti è diventata un'importante causa studentesca. I gruppi di studenti stanno facendo fortissime pressioni, tanto che per neutralizzarle il governo statunitense è dovuto arrivare a una specie di accordo, mettendo insieme i leader sindacali e studenteschi in una sorta di coalizione promossa dal governo, a cui molti gruppi studenteschi si oppongono perché dicono che non si spinge abbastanza lontano.
Gli studenti non chiedono di smantellare il sistema di sfruttamento. Forse dovrebbero. Chiedono il rispetto dei diritti dei lavoratori che in teoria sono già garantiti. Se si esaminano le convenzioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), che è responsabile di queste cose, si scopre che vietano la maggior parte delle pratiche -probabilmente tutte - a cui gli studenti si oppongono. Gli Stati Uniti non aderiscono a queste convenzioni. L'ultima volta che mi sono documentato ne avevano ratificate pochissime. Direi che gli Usa sono il paese che offre i peggiori risultati da questo punto di vista, a eccezione forse della Lituania o del Salvador. Certo gli altri paesi non rispettano in pieno le convenzioni, ma almeno le hanno ratificate. Gli Stati Uniti non le accettano per principio.
Nel suo campus, il movimento contro le industrie sfruttatrici si sta mobilitando?
Ci sono gruppi di studenti molto attivi e impegnati in battaglie di giustizia sociale. Non accadeva da anni. Questo si spiega con la realtà concreta: circolano le stesse sensazioni, la stessa consapevolezza e la stessa percezione che ha spinto i cittadini a manifestare per le strade di Seattle.
Cosa dice del proverbio africano "Gli strumenti del padrone non saranno mai usati per demolire la casa del padrone"?
Se significa che non bisogna cercare di migliorare le condizioni di chi soffre,
non sono d'accordo. E vero che il potere centralizzato - di una multinazionale
o di un governo - non è incline al suicidio. Ma questo non significa
che non si debba provare a intaccarlo. Per molte buone ragioni. In primo luogo
perché così si aiutano le persone che soffrono. E questo è
qualcosa che andrebbe sempre fatto, indipendentemente da ogni altra considerazione.
Ma anche dal punto di vista della demolizione della casa se le persone si rendessero
conto del potere che hanno quando collaborano e se potessero sapere a che punto
saranno inevitabilmente fermate, forse con la forza questo potrebbe insegnare
qualcosa di importante su come procedere.
L'alternativa è partecipare a seminari accademici discutendo di quanto
sia spaventoso il sistema.
tratto da "Internazionale" 330, 14 aprile 2000