PARTE TERZA.
LA STESSA VECCHIA STORIA.
Capitolo 9.
NUOVI FARDELLI PER L'UOMO BIANCO.
All'indomani della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti si accinsero ad "assumere, a proprio beneficio, la responsabilità del benessere del sistema capitalistico mondiale" e pensarono bene di estendere ad altri paesi gli "esperimenti pragmatici" già eseguiti nei loro precedenti domini al fine di "accelerare la crescita nazionale ed evitare ogni spreco" (Gerald Haines, Ulysses Weatherby). Una delle caratteristiche dei "metodi scientifici di sviluppo" creati per i nostri protetti è ciò che Hans Schmidt chiama il "disprezzo irrazionale per l'esperienza dei contadini locali". Questa è stata la causa di "una serie di disastrosi fallimenti" dovuti ai tentativi degli esperti Usa di applicare ad Haiti, una delle zone preferite per i nostri esperimenti, "gli ultimi sviluppi scientifici in agricoltura" - credendo sinceramente, come sempre, di fare del bene anche se questo (casualmente) coincideva con gli interessi delle società americane. Una ricerca del 1929, citata da Schmidt, sosteneva che "i contadini haitiani ottenevano nella coltivazione del cotone risultati migliori di quelli delle piantagioni americane dove venivano impiegati gli ultimi ritrovati della scienza". Il più autorevole agronomo americano riferì al Dipartimento di Stato che le imprese Usa "avevano fallito perché i loro esperti non erano disposti ad esaminare le tecniche impiegate dalla gente locale che aveva, attraverso l'esperienza di generazioni, sviluppato metodi di coltivazione adatti a quei luoghi" che mettevano gli indigeni in grado di coltivare il cotone con maggior successo delle piantagioni 'gestite scientificamente' (1).
Lo stesso avvenne anche dopo che il governo passò nelle mani di sovrintendenti haitiani. Nel 1941, fu istituita la Compagnia Haitiano-Americana per lo Sviluppo Agricolo ("Shada"), un progetto di assistenza sotto la guida di agronomi Usa, i quali ignorarono con il solito disprezzo i consigli e le proteste degli esperti locali. Con milioni di dollari di crediti governativi, la "Shada" iniziò la coltivazione dell'agave e della gomma, allora necessarie a scopi bellici. La società acquistò il 5% delle migliori terre agricole haitiane, estromettendo 40 mila famiglie di contadini i quali, se erano fortunati, potevano farsi assumere come lavoratori giornalieri. Dopo quattro anni di lavoro la produzione complessiva fu di sole cinque tonnellate di gomma. In seguito il progetto fu abbandonato, anche perché non c'era più un mercato per questo prodotto. Alcuni contadini tornarono alle loro terre, ma non poterono coltivarle perché erano state rovinate dal progetto della "Shada". Molti non riuscirono neanche a ritrovare i propri campi: gli alberi, le colline ed i cespugli erano stati rasi al suolo dai bulldozer.
"Le obiezioni haitiane ai progetti di assistenza americana sembrano paranoiche", sostiene Amy Wilentz dopo un esame di queste, purtroppo frequenti, circostanze (2). A volte capita che l'importuno venuto a lamentarsi venga persino cacciato da qualcuno armato d'ascia.
Nel 1978, gli Stati Uniti pensarono che la peste suina diffusasi nella Repubblica Dominicana avrebbe potuto compromettere anche la loro industria per la lavorazione delle carni. Dettero quindi vita ad un progetto del costo di 23 milioni di dollari per lo sterminio (al quale doveva seguire la reintroduzione di nuove razze) di tutti i maiali haitiani, 1,3 milioni di capi, uno dei beni più importanti per i contadini che li consideravano come un 'libretto di risparmio' per i tempi di penuria. Tutto ciò senza considerare che, malgrado alcuni maiali dell'isola fossero stati infettati, pochi erano morti; probabilmente, come hanno sostenuto alcuni esperti veterinari, per la loro notevole resistenza alla malattia. I contadini accolsero il piano Usa con forte scetticismo, pensando che si trattasse di una messinscena tendente a far sì che "gli americani possano realizzare lauti guadagni dalla vendita dei loro maiali". Il progetto venne realizzato a partire dal 1982, dopo che ogni traccia della malattia era scomparsa. Due anni dopo, ad Haiti non c'era più un maiale.
I contadini considerarono la vicenda come "l'ultimo flagello che ancora non li avesse colpiti". Secondo un economista haitiano questo programma fu "la peggiore calamità che potesse mai abbattersi sui contadini" locali, a parte il valore del bestiame ucciso oscillante intorno ai 600 milioni di dollari: "La perdita subita è in realtà incalcolabile... [L'economia locale] ancora risente della scomparsa dei maiali. Un intero sistema di vita è stato distrutto in quell'economia di sopravvivenza". Basti pensare come le iscrizioni scolastiche calarono del 40-50%, il commercio al minuto crollò e l'economia locale andò in rovina. Poi un progetto dell'Osa-Usaid inviò ad Haiti nuovi maiali dallo stato americano dell'Iowa - confermando così i sospetti di molti contadini. Gli animali, inoltre, venivano dati solo a chi poteva dimostrare di avere il capitale necessario per nutrirli e le attrezzature per alloggiarli secondo precise regole. Diversamente dai maiali indigeni haitiani, quelli dell'Iowa si ammalavano più facilmente e potevano sopravvivere solo con un'alimentazione molto costosa: circa 250 dollari l'anno, una somma enorme per i contadini poveri locali. Come si poteva facilmente prevedere, questo fu un buon affare solo per i Duvalier ed i loro successori che si erano subito impadroniti del mercato haitiano del mangime. Un progetto di sviluppo portato avanti da alcune organizzazioni religiose, che aveva tentato di risolvere il problema, fu presto abbandonato perché era diventato "una perdita di tempo". "Questi maiali non si acclimateranno mai ad Haiti... La prossima volta ci chiederanno di installare per loro un generatore e l'aria condizionata" (3).
Altri esperimenti hanno spesso prodotto analoghi risultati. Nella sua ricerca su un'altra 'area di sperimentazione' Usa, la Liberia, l'antropologo Gordon Thomasson ha scoperto lo stesso 'insensato disprezzo' per le conoscenze degli indigeni e gli stessi ingenti costi - a carico della gente locale. Nel corso dei secoli, la popolazione Kpelle aveva sviluppato centinaia di varietà di riso perfettamente adattatesi ai microambienti di ecosistemi particolari; in un piccolo campo si potevano piantare dozzine di semi diversi con raccolti estremamente abbondanti. Gli agronomi americani proposero invece tecniche di coltivazione ad alta intensità di capitale, la cosiddetta 'rivoluzione verde', con l'impiego di prodotti petrolchimici i quali, a parte il costo eccessivo per un paese povero, portano raccolti inferiori e la perdita sia delle conoscenze tradizionali sia della grande varietà di semi che sono stati generati, selezionati, diversificati e mantenuti per secoli. Secondo Thomasson la produzione agricola si dimezzerà se il ricco patrimonio genetico di varietà di riso, "risultato di secoli di attente produzioni e selezioni", andrà perduto e sostituito da importazioni straniere: "Molte zone della Liberia rurale cesseranno in pratica di esistere, e molte delle culture indigene liberiane subiranno una sorte analoga".
Il disprezzo degli esperti era probabilmente ancora maggiore per il fatto di trovarsi davanti ad un 'sapere gestito dalle donne', trasmesso dalle anziane alle ragazze, che dedicano molto del loro tempo ad imparare le tecniche e le conoscenze di base in questo campo. Atteggiamenti di disprezzo nei confronti di questo genere di saperi sono assai diffusi. Max Allen, direttore di uno dei principali musei di tessuti del mondo, osserva che "nella maggior parte delle società tradizionali dell'emisfero settentrionale, i manufatti più straordinari non sono stati fabbricati da uomini, ma da donne", e questi sono i prodotti tessili, "certamente "artistici"", anche se non sono considerati tali nella tradizione occidentale e vengono quindi relegati nella categoria dell'artigianato. Il fatto che queste tradizioni artistiche, risalenti a migliaia di anni fa, siano 'lavori di donne' forse contribuisce, secondo lo stesso Allen, a questa dubbia classificazione (4).
Coloro che sono giustamente 'sospettosi' non mancheranno di notare che, per quanto rovinosi per la Liberia, i 'metodi scientifici di sviluppo' sono molto vantaggiosi per vari settori dell'economia occidentale, ben oltre gli usuali beneficiari, come l'industria agricola e la petrolchimica. Riducendosi la varietà dei raccolti e diffondendosi nuove malattie e pestilenze, presto si chiederà all'ingegneria genetica di creare artificialmente nuove varietà di raccolti più resistenti aprendo allettanti prospettive di crescita e di profitto per le emergenti industrie del settore.
Seguendo la dottrina ufficiale, gli esperti Usa consigliarono alla Liberia di convertire le terre agricole, destinate a sfamare la popolazione, in piantagioni per i raccolti da esportazione (con grandi vantaggi per le società americane); poi, in seguito alle gravi carenze sul piano alimentare che ne seguirono, l'"Usaid" spinse per lo sviluppo di risaie nelle zone paludose, ignorando gli sforzi dell'Organizzazione Mondiale della Sanità di tenere lontana la gente da queste zone estremamente malsane.
I Kpelle inoltre avevano anche sviluppato sofisticate tecnologie metallurgiche, producendo utensili molto ingegnosi. Ma anche in questo settore, scrive Thomasson, la loro produzione fu "stroncata dal colonialismo e dal capitalismo monopolistico, non perché quegli utensili fossero in alcun modo inferiori o troppo costosi", ma piuttosto per i finanziamenti dati ai mercanti della costa (attraverso i quali passavano le importazioni, N.d.C.) ed altre distorsioni del mercato create dagli esperti economici ed imposte dai governi controllati dagli Usa che "al fine distrussero l'economia, la valuta e l'industria indigena". Ancora una volta ci fu chi da tutto ciò trasse benefici: le società minerarie multinazionali, i produttori stranieri che rifornivano i mercanti e le banche estere nelle quali venivano trasferiti i loro profitti (5).
Registriamo così un'altra vittoria dei valori del 'libero mercato'. Alcuni potrebbero considerare poco idonei gli esempi della Liberia e di Haiti. Come spiegò il segretario di Stato del presidente Wilson, Robert Lansing:
"L'esperienza della Liberia e di Haiti dimostra che alla razza africana manca qualsiasi capacità di organizzazione politica e di ingegno per il governo. Senza dubbio hanno una insita tendenza a tornare allo stato selvaggio ed a disfarsi degli impedimenti della civiltà che irritano la loro natura fisica. Naturalmente ci sono molte eccezioni a questa debolezza di razza, ma ciò rimane vero per la gran massa degli abitanti, come sappiamo per l'esperienza fatta. Per questa ragione il problema negro è praticamente irrisolvibile" (6).
E forse proprio queste debolezze della razza nera potrebbero spiegare gli effetti degli esperimenti Usa in Liberia e ad Haiti - che si sono ripetuti ovunque nelle aree sotto il dominio americano.
Questi aspetti tipici della Conquista, in atto ormai da più di 500 anni, assumeranno sempre maggiore importanza negli anni a venire man mano che le insostenibili conseguenze ecologiche di un'agricoltura ad alta intensità di capitale saranno tali che non potranno più essere ignorate neanche dai paesi ricchi. A quel punto, entreranno a far parte dell'ordine del giorno, come il buco nell'ozono, diventato un problema 'importante' quando si è capito che poteva costituire un pericolo anche per i bianchi benestanti. Intanto, continueremo a compiere i nostri esperimenti nelle apposite zone del Sud.
Note:
N. 1. Schmidt, "U.S. Occupation", p. 16, 181.
N. 2. Wilentz, "Rainy Season", p. 271-2.
N. 3. Farmer, "AIDS", 37n.n.
N. 4. Allen, "Birth Symbol".
N. 5. Thomasson, "Cultural Survival Quarterly", estate 1991.
N. 6. Citato in Schmidt, "U.S. Occupation", p. 62-3.