PARTE PRIMA.
VINO VECCHIO IN BOTTIGLIE NUOVE.
Capitolo 2.
I CONFINI DELL'ORDINE MONDIALE.
In questi anni l'economia mondiale non è più tornata ai ritmi di crescita dell'era di Bretton Woods, mentre il declino del Sud, accelerato dalle dottrine economiche neoliberiste dettate dai padroni del mondo, è stato particolarmente marcato in Africa e nell'America Latina, dove si è accompagnato ad un crescente terrore di stato. La Commissione economica dell'Onu per l'Africa scoprì che i paesi che applicavano le direttive del Fondo Monetario Internazionale avevano ritmi di crescita inferiori a quegli stati che si basavano sul settore pubblico per soddisfare i fondamentali fabbisogni della popolazione. A questo proposito particolarmente disastroso è stato l'impatto delle politiche neoliberiste nell'America Latina (34).
A volte le società sviluppate prendono sul serio la propria retorica e dimenticano di proteggersi dall'impatto distruttivo che possono avere su di loro i mercati non più regolamentati. Gli effetti, anche se non così letali come al Sud, sono gli stessi avutisi nei tradizionali domini coloniali. L'Australia degli anni '80 ne è un esempio eloquente. Alla fine del decennio gli esperimenti di libero mercato intrapresi dal governo laburista riuscirono a diminuire il reddito nazionale del 5% annuo. I salari reali calarono, le imprese australiane caddero in mani straniere ed il paese rischiò di diventare una mera fonte di materie prime per la regione controllata dal capitalismo statale giapponese, il quale aveva mantenuto la sua crescita (e si era originariamente sviluppato) grazie ad un deciso rifiuto dei dogmi neoliberisti. Anche in Gran Bretagna, dopo un decennio di thatcherismo, "le prospettive rimangono precarie per via di insufficienti reinvestimenti nell'economia nazionale" osserva il direttore di una società finanziaria Usa, facendo eco ad un collega giapponese secondo il quale: "Ci vorrà molto tempo prima che l'economia della Gran Bretagna possa riprendersi sul serio" (35).
Come abbiamo visto, anche le ricche società industriali stanno assumendo alcuni aspetti da Terzo Mondo con le loro isole di ricchezza e privilegio in un crescente mare di povertà e disperazione. Ciò è particolarmente vero negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna, dopo le cure di Reagan e della Thatcher. L'Europa continentale però è sulla stessa strada, malgrado vi sia ancora un certo potere contrattuale dei lavoratori e resista una sorta di patto sociale; e malgrado l'abilità tutta europea di 'esportare le sue bidonville' sfruttando i 'lavoratori immigrati' temporanei che lasciano le famiglie nei paesi d'origine. Inoltre il collasso dell'impero sovietico offre nuove possibilità di tracciare una divisione Nord-Sud anche all'interno delle società più ricche. Durante lo sciopero dei dipendenti pubblici in Germania, nel maggio del 1992, il presidente della "Daimler-Benz" avvertì che la società avrebbe potuto rispondere alle astensioni dal lavoro trasferendo altrove le linee di produzione delle Mercedes, magari in Russia con il suo vasto serbatoio di lavoratori specializzati, istruiti, sani e (si spera) docili. Il presidente della "General Motors" potrebbe anche formulare simili minacce citando il Messico ed altre zone del Terzo Mondo. O dell'Europa Orientale. Come riporta il "Financial Times", mentre la G.M. si propone di chiudere 21 fabbriche negli Stati Uniti e nel Canada, ha aperto nel frattempo un impianto di assemblagio da 690 milioni di dollari nella Germania dell'Est con grandi aspettative, rafforzate dal fatto che, grazie ad un tasso di disoccupazione non ufficiale del 43%, i lavoratori della ex Repubblica Democratica Tedesca sono disposti a "lavorare più a lungo dei loro colleghi viziati della Germania Occidentale" con un salario inferiore del 60% e poche indennità. Il capitale si muove facilmente, ma le persone non possono, o viene loro impedito di farlo da chi plaude sì alle dottrine di Adam Smith, ma solo quando sono a suo vantaggio.
Del resto la "Daimler-Benz" non risente poi tanto, come dicono i suoi dirigenti, per il costo del lavoro. Due settimane dopo la minaccia di spostare la produzione della Mercedes in Russia, lo stesso dirigente, Edzard Reuter, annunciò gli "eccellenti risultati" del primo trimestre del 1992 particolarmente positivo con un aumento dei profitti del 14% e delle vendite del 17%, per lo più all'estero; i lavoratori tedeschi non sono del resto il mercato preferito dalla divisione Mercedes, la più redditizia del gruppo, e che, come aggiunse Reuter, avrebbe tagliato 10 mila posti di lavoro nel 1992 ed altri 10 mila in seguito. Questi dati di fatto, però, non colpiscono la stampa americana; al contrario i commentatori hanno duramente aggredito i lavoratori tedeschi in sciopero, accusandoli di condurre una "dolce vita", con lunghe vacanze, e più in generale di non aver compreso il loro ruolo di semplici mezzi di produzione al servizio dei ricchi e dei potenti. Quei lavoratori avrebbero dovuto imparare la lezione impartita più o meno nello stesso periodo ai dipendenti americani dalla "Caterpillar": aumento dei profitti e della produttività, riduzione dei salari, annullamento del diritto di sciopero con il libero ricorso ai crumiri (36).
Questi sono i frutti di una lunghissima e dura campagna organizzata dalle imprese non appena i lavoratori americani, alla metà degli anni '30, ottennero il diritto di organizzarsi, dopo anni ed anni di lotta e repressione violenta senza pari nel mondo industriale. Forse torneremo ai giorni in cui lo stimato filantropo Andrew Carnegie, subito dopo aver represso brutalmente il sindacato dei siderurgici ad Homestead, predicava le virtù della "onesta, industriosa, riservata povertà" alle vittime della grande depressione del 1896 e rendeva noto che i lavoratori sconfitti gli avevano mandato questo telegramma: "Gentile padrone, ci spieghi cosa desidera che noi facciamo e noi lo faremo per voi". Egli simpatizzava con i ricchi, come disse una volta, condividendo il loro triste destino nei suoi lussuosi palazzi, proprio perché sapeva bene "quanto siano dolci, felici e pure le case dell'onesta povertà" (37).
Così, secondo la 'spregevole regola dei padroni', dovrebbe funzionare una società ben ordinata.
E' naturale quindi che quando i sindacati, malconci, alla fine riconoscono l'esistenza di una permanente guerra di classe combattuta contro di loro dal padronato (assai consapevole dello scontro tra gli opposti interessi in gioco), la stampa economica si meravigli del fatto che alcune organizzazioni dei lavoratori si aggrappino ancora ad una 'sorpassata' "ideologia della lotta di classe" e ad un "punto di vista marxista" secondo il quale: "Gli operai formano una classe di cittadini dagli interessi comuni distinta da coloro che sono i proprietari e che controllano l'economia"; e che esibiscano persino alcune 'anomalie' come i bassi stipendi dei capi sindacali, trattati alla pari degli altri. I padroni, invece, continuano fermamente a credere nel 'sorpassato punto di vista marxista', spesso espresso in una volgare retorica - naturalmente con i valori rovesciati (38).
Nelle condizioni attuali di organizzazione della società e di concentrazione del potere, è poco verosimile che il libero (in senso selettivo) scambio aumenti il benessere generale, come potrebbe fare in una diversa struttura sociale. Coloro che si dichiarano seguaci di Adam Smith si guardano bene dal seguire alla lettera le sue parole: i principi del liberismo economico potrebbero avere degli effetti positivi se venissero applicati rispettando i diritti umani fondamentali. Quando sono modellati invece dalla 'selvaggia ingiustizia degli europei' e dall'obbedienza cieca alla 'spregevole regola', possono favorire solamente gli 'architetti' di quelle politiche e pochi altri.
L'esperienza del trattato di libero scambio tra Usa e Canada illustra questo processo. In due anni, il Canada ha perso centinaia di migliaia di posti di lavoro, in gran parte a favore di regioni degli Stati Uniti in cui le leggi praticamente vietano le organizzazioni sindacali (la terminologia orwelliana ufficiale parla di 'diritto al lavoro', che in pratica significa 'divieto di organizzarsi collettivamente'). Leggi di questo tipo, tipiche degli Usa, una società gestita dagli interessi economici privati nella quale la maggioranza della popolazione è marginalizzata, lasciano i lavoratori senza protezione e quindi più sfruttabili che in Canada, dove c'è un forte movimento sindacale ed un clima culturale improntato alla solidarietà. Il trattato di libero scambio tra Usa e Canada è stato utilizzato anche per obbligare quest'ultimo ad abbandonare le misure di protezione del salmone del Pacifico, a riallineare le sue leggi sull'uso dei pesticidi ai più permissivi standard americani, ad astenersi dai tentativi di ridurre le emissioni nocive prodotte dalle lavorazioni di piombo, zinco e rame, a bloccare i sussidi per la riforestazione ed a cancellare un piano assicurativo nell'Ontario modellato sul sistema previdenziale canadese che, se attuato, sarebbe costato alle società di assicurazioni americane centinaia di milioni di dollari. Tutte queste pratiche sono state considerate come ostacoli illegali al libero scambio. Con un ragionamento simile, gli Usa si oppongono alla norma del "Gatt" che permette ai paesi, nei momenti di necessità, di limitare le esportazioni alimentari, pretendendo invece che le grandi imprese agricole americane controllino il mercato delle materie prime, qualunque ne sia il costo in termini di vite umane.
Contemporaneamente il Canada, esportatore di amianto, ha accusato formalmente gli Stati Uniti di imporre eccessivi limiti (stabiliti dall'"Epa") sull'uso di questa sostanza in violazione sia degli accordi commerciali tra i due paesi che dei risultati della ricerca scientifica internazionale sui relativi rischi per la salute. Il Canada sostiene che l'"Epa" ha stabilito dei livelli troppo bassi rispetto a quelli dovuti, danneggiando le sue esportazioni. Contemporaneamente ai negoziati "Gatt", gli Usa appoggiano le proposte delle imprese di limitare la protezione dell'ambiente e dei consumatori solo nei casi convalidati da 'prove scientifiche' e giudicati da un'agenzia composta da funzionari del governo e dirigenti di industrie chimiche ed alimentari (39).
Uno dei più interessanti esempi del cinico perseguimento della 'spregevole regola' nel commercio internazionale è costituito dalle pressioni che Washington esercita sui paesi del Terzo Mondo per obbligarli ad accettare le esportazioni Usa di tabacco, la sostanza che tra tutte le droghe letali provoca nel mondo il maggior numero di morti. L'amministrazione Bush lanciò la sua ipocrita 'guerra alla droga' (giusto in tempo per creare l'atmosfera adatta all'invasione di Panama) proprio mentre stava varando dei provvedimenti per costringere i paesi del Terzo Mondo ad importare il pericoloso tabacco e consentire campagne pubblicitarie a favore del fumo rivolte a nuove fette di mercato, in particolare donne e bambini. Il "Gatt" ha appoggiato questi sforzi Usa. I media, mentre salivano con tanto di fanfara sul treno della 'guerra alla droga', favorirono ancor più l'Amministrazione tacendo sulle manovre a favore del tabacco, la droga più diffusa. Sulla stampa non sono apparsi titoli del tipo 'Gli Usa vogliono diventare il maggiore narcotrafficante del mondo', e neanche una riga nelle ultime pagine (a parte qualche insignificante eccezione).
Del resto in seguito al ritorno dell'Europa dell'Est nel Terzo Mondo, i narcotrafficanti del tabacco sono stati i primi ad investire in quei paesi. "Fabbricanti di sigarette accorrono in massa verso l'Europa Orientale", titolava un articolo entusiasta sulla prima pagina del "Boston Globe": "Mentre molte imprese americane sono state criticate per la loro eccessiva cautela nell'investire nell'Europa dell'Est, le società produttrici di sigarette si sono rivelate all'avanguardia". Un dirigente di questo settore spiega: "In Ungheria c'è poca consapevolezza sui problemi della salute e dell'ambiente. Abbiamo davanti a noi dieci anni di gioco senza regole" - dieci anni di profitti, prima che i 'fascisti di sinistra' comincino ad interferire nel lucroso omicidio di massa. "Su trenta paesi sviluppati", continua l'articolo, "gli europei dell'Est hanno l'aspettativa di vita più breve". Le società americane tenteranno ancora di migliorare questo record, da vere e proprie 'apripista del capitalismo', godendosi anche gli applausi dei media.
E' interessante notare che quando si tratta di mettere in luce i mali del comunismo, paesi come la Romania, la Bulgaria, la Russia, la ex Jugoslavia, eccetera, vengano considerate 'nazioni sviluppate' e paragonate con gli standard di vita in Europa Occidentale - ma mai con il Brasile, il Guatemala, le Filippine ed altri domini quasi coloniali a cui assomigliavano prima di separarsi dal Terzo Mondo tradizionale. Una pratica costante questa dell'ideologia contemporanea. L'onestà su questo cruciale argomento è severamente proibita (40).
Un altro articolo del "Boston Globe" ci ricorda quanto può essere flessibile la dottrina economica. Il giornalista esalta gli ottimi risultati conseguiti dallo stato del New Hampshire nella gestione dei suoi problemi fiscali. Il segreto era stato quello di incoraggiare un'impresa di successo che ben presto divenne "secondo i funzionari statali il maggiore venditore al dettaglio di vino e liquori del mondo", con 62 milioni di dollari di profitti su 200 milioni di vendite nel 1991 ed un aumento dei profitti di 5 milioni di dollari in un anno, attribuito in parte alla maggiore pubblicità fatta per gli alcolici (che per la loro capacità di uccidere vengono subito dopo il tabacco). L'impresa di cui parliamo è un monopolio dello stato. I suoi profitti permettono così al governo più conservatore dell'unione di attenersi alle dottrine del libero mercato, così riverito dai politici locali, e di evitare l'imposizione di tasse che colpirebbero i ricchi a favore dell'assistenza pubblica. Un altro trionfo del libero mercato, passato inosservato (41).
In teoria, i dispositivi del libero scambio dovrebbero diminuire i salari nei paesi dove sono più alti e aumentarli nelle zone più povere in cui si sposta il capitale, aumentando l'equità mondiale. Ma, nelle condizioni attuali, il risultato è assai differente. L'importante economista del Dipartimento per l'ambiente della Banca Mondiale, Herman Daly, fa rilevare che la vasta e crescente offerta di sottoccupati nel Terzo Mondo assicurerà "un'ampia riserva di manodopera, rendendo impossibile un rilevante aumento dei salari". Se poi è necessario, la repressione ed il terrore aiutano a raggiungere questo risultato. Ne deriveranno quindi enormi profitti, l'abolizione degli alti salari e delle conquiste sociali, comprese le leggi contro il lavoro minorile, sull'orario di lavoro e la protezione dell'ambiente. "Qualsiasi fattore che aumenti i costi è destinato ad essere ridotto al minimo comun denominatore nel libero scambio internazionale", pronostica Daly - esattamente come si voleva (42).
Visti gli attuali rapporti di forza a livello internazionale, il libero scambio 'selettivo' tenderà a far peggiorare sempre più le condizioni di vita e di lavoro di chi è 'spettatore', non partecipe delle decisioni che lo riguardano direttamente. Andrew Reding spiega con chiarezza questo processo: "Incapace di imporre le sue posizioni ad un Congresso 'bloccato' che, per quanto in maniera imperfetta, ancora risponde alla società civile ('gli speciali gruppi d'interesse'), l'amministrazione Bush si sta alleando con le élite dominanti a livello internazionale, a lui ideologicamente affini, nel tentativo di aggirarlo e legiferare senza di esso... costruendo una specie di governo internazionale, in una forma particolare, in cui solo i rappresentanti delle imprese e del commercio hanno voce in capitolo"; "sotto la copertura del libero scambio, i governi stranieri e le grandi imprese hanno acquisito un effettivo diritto di veto sulle legislazioni nazionali, statali e locali a favore del welfare". Non vi è, comunque, nulla di veramente 'nuovo' nell'applicazione della 'spregevole regola' dei padroni, in versione moderna (43).
La formulazione della regola 'tutto per i padroni' richiederebbe una piccola aggiunta, 'subito'. Il futuro a lungo termine è per loro irrilevante, quanto le persone. Così, in un articolo di prima pagina, il "Wall Street Journal" esalta lo "straordinario successo" messo a segno da George Bush alla Conferenza di Rio del giugno del 1992 nel costringere il mondo intero ad abbandonare i piani per un significativo accordo sui gas che contribuiscono ad aumentare l'effetto serra. Qualcuno, più abile di me, potrebbe scrivere un meraviglioso racconto o un delizioso fumetto in cui, proprio mentre le acque del mare, innalzatesi, lambiscono ormai la sede del giornale, l'ultimo numero del "Wall Street Journal" va in stampa con un appassionato editoriale dal quale si evince che il riscaldamento della Terra è un imbroglio della sinistra (44).
In linea generale, gli anni '80 hanno aumentato il divario tra una piccola élite molto privilegiata ed una massa crescente di persone che soffrono la privazione e la miseria. Anche se non funzionali alla produzione di ricchezza o al consumo, che sono le uniche attività umane riconosciute dall'ideologia e dalle istituzioni dominanti, i governi devono in qualche modo occuparsi di queste persone. L'attuale politica sociale degli Usa è di ingabbiarle nei centri urbani dove possano divorarsi a vicenda; oppure di rinchiuderle nelle prigioni, un utile corollario della guerra alla droga (vedi cap. 4, par. 3).
L'internazionalizzazione del capitale, acceleratasi dal 1971, conferisce un nuovo carattere alla concorrenza tra gli stati. Ad esempio, mentre la quota Usa delle esportazioni manifatturiere mondiali è diminuita del 3,5% tra il 1966 e il 1984, quella delle multinazionali americane è leggermente cresciuta. Inoltre le tendenze del commercio internazionale offrono un'immagine molto diversa se si considerano le importazioni dalle filiali estere come produzione nazionale. Le affiliate estere hanno aumentato la loro quota sul totale delle esportazioni manifatturiere delle società americane da meno del 18% nel 1957 al 41% nel 1984. "Secondo alcune proiezioni del Dipartimento del Commercio, se si potesse riportare negli Stati Uniti questa produzione estera", osserva George Du Boff, "le esportazioni nazionali raddoppierebbero". Una ricerca della Banca Mondiale del 1992 riferisce che "lo scambio interaziendale tra le 350 maggiori multinazionali costituisce il 40% del commercio totale. In particolare, più di un terzo del commercio americano avviene tra le consociate estere e le casemadri negli Usa". Più della metà delle esportazioni malesi verso gli Usa provengono da consociate americane; le cinque maggiori esportatrici di prodotti elettronici da Taiwan sono società Usa; il 47% delle esportazioni di Singapore nel 1982 proveniva da imprese di proprietà americana. "Allo stesso modo, le esportazioni dei produttori giapponesi in Corea hanno avuto molto a che fare con la crescita di questo paese nel settore dell'elettronica mondiale". "Quindi tutte le teorie accademiche sul 'vantaggio comparato' [la produzione totale può aumentare se ciascun paese si specializza nel produrre quei beni in relazione ai quali ha il massimo vantaggio relativo, N.d.C.] e sulle virtù dei sistemi di scambio aperti e senza attrito sono sciocchezze", osserva Doug Henwood, notando che le cifre attuali sono probabilmente ancor più alte di queste relative ai primi anni '80. "Alcune centinaia di imprese molto forti sia economicamente che politicamente, con una presenza a livello mondiale, dominano i commerci sulla base dei loro interessi e allo stesso tempo 'consigliano' i loro governi sulle strategie commerciali da adottare".
I prodotti commerciali rispecchiano essi stessi queste tendenze; per fare un esempio, quasi un terzo del prezzo di mercato di una Pontiac LeMans della "General Motors" va ai produttori nella Corea del Sud, più di un sesto al Giappone, più o meno lo stesso ad un insieme di società tedesche, di Singapore, della Gran Bretagna, delle Barbados, ed altri. Il paese e la maggior parte della sua popolazione possono anche entrare in crisi come entità sociale, ma gli imperi economici delle imprese giocano un'altra partita, basata sulla dottrina divina secondo la quale i padroni hanno il diritto di decidere dove investire, senza preoccuparsi dei problemi dei loro servitori nei luoghi di lavoro e della loro comunità nazionale. Mentre riflettiamo sull'Anno 501 non possiamo trascurare fattori di sempre maggiore importanza come quello che tra un quarto e la metà del commercio mondiale si svolge già tra le compagnie multinazionali del Nord (45).
Note:
N. 34. Vedi più avanti, cap. 7; Chomsky, "Deterring Democracy",
cap. 7. Nancy Wright, "Multinational Monitor", aprile 1990, citato
in Gar Alperovitz e Kai Bird, "Diplomatic History", primavera 1992.
Vedi anche James Petras, "Monthly Review", maggio 1992.
N. 35. Fitzgerald, "Between". Foreign staff, 'US and Japan shy from
investing in UK', "Financial Times", 25 settemhre 1992.
N. 36. Marc Fisher, 'Why Are German Workers Striking? To Preserve Their Soft
Life', servizio del "Washington Post", "International Herald
Tribune", 4 maggio. Andrew Fisher, "Financial Times", 20 maggio.
Christopher Parkes, "Financial Times". Kevine Done, "Financial
Times", 24 settembre (per la G.M.). "Financial Times", 4 giugno
1992. Elaine Bernard, 'The Defeat at Caterpillar', m.s., Harvard Trade Union
Program, maggio 1992.
N. 37. Sexton, "War on Labor", 83n. Vedi anche la fine del cap. 11.
N. 38. Barnaby Feder, "New York Times", 25 maggio 1992.
N. 39. Jim Stanford, 'Going South: Cheap Labour as an Unfair Subsidy in North
American Free Trade', Canadian Center for Policy Alternatives, dicembre 1991.
Andrew Reding, "World Policy Journal", estate 1992. Edward Goldsmith,
Mark Ritchie, "The Ecologist", novembre-dicembre 1990. Watkins, "Fixing",
p. 103-4. Brief amicus curiae del governo canadese, Corte d'Appello Usa, 'Corrosion
Proof Fittings, et al., vs. EPA and William K. Riley', 22 maggio 1990. Vedi
cap. 3, n. 43.
N. 40. Per la 'guerra alla droga' ed i media, vedi Chomsky, "Deterring
Democracy", cap. 4; per una ricerca comparata, cap. 7. Jonathan Kaufman,
"Boston Globe", 26 maggio 1992.
N. 41. Bob Hohler, "Boston Globe", 26 maggio 1992.
N. 42. 'Interview', "Multinational Monitor", maggio 1992.
N. 43. Reding, op. cit.
N. 44. Rose Gutfeld, "The Wall Street Journal", 27 maggio 1992.
N. 45. Arthur MacEwan, "Socialist Review", luglio-dicembre 1991. Du
Boff, "Accumulation". World Bank, "Global Economic Prospects
and the Developing Countries 1992", citato in Doug Henwood, "Left
Business Observer", N. 54, 4 agosto 1992. Watkins, "Fixing",
p. 5, 24.