stop elettroshock

il manifesto18 marzo 1997

Molto terrorismo poca scienza

Agostino Pirella * Roberto Roberti **

IL MINISTERO della sanità ha recentemente distribuito alle regioni una circolare sula terapia elettroconvusivante (Tec), denominazione aggiornata del vecchio elettroshock. In essa si dà diffusione, con lodevoli forzature in direzione di un incoraggiamento all'uso della terapia elettrica, di un documento scientificamente e deontologicamente molto discutibile approvato dal Consiglio superiore di sanità in cui si afferma sic et simpliciter che le indicazioni terapeutiche della Tec sarebbero: la depressione, la mania, il disturbo schizofreniforme, la schizofrenia, la catatonia, la sindrome maligna da neurolettici, i gravi disturbi mentali in corso di gravidanza, le psicosi puerperali. Cioè la maggior parte dei disturbi di competenza psichiatrica.
Non solo, ma il Consiglio, assumendo la premessa che l'impiego dell'elettroshock sarebbe motivato "dall'obbligo di salvare la vita del paziente e di tutelarne la salute, primo fra gli obblighi deontologici del medico" e dopo essersi chiesto se "sia giusto relegare tale intervento al ruolo di ultima scelta, sottoponendo i pazienti a lunghi periodi di tentativi farmacologici e di inutili sofferenze", conclude affermando che la Tec "rappresenta un presidio terapeutico di provata efficacia, la cui rinuncia aumenterebbe il rischio di peggioramento clinico e di morte del paziente".

Psichiatri in tribunale?


Il documento appare abbastanza terroristico. Né sembri eccessivo tale termine poiché qualunque psichiatra, di fronte a un peggioramento clinico del paziente, potrebbe essere chiamato a risponderne in tribunale dove gli verrebbe contestato di non aver utilizzato la terapia elettroconvulsivante per "mettere in atto un presidio terapeutico di provata efficacia". Tutti i pazienti psichiatrici avrebbero così buone probabilità di essere sottoposti a elettroshock come misura cautelativa per evitare possibili guai giudiziari.

Ma vediamo se i dati scientifici disponibili e le attuali modalità pratiche di uso dell'elettroshock giustificano le affermazioni e le indicazioni della circolare ministeriale. Di fatto le fonti cui attingere sono contenute in due documenti, ambedue editi dall'Associazione degli psichiatri americani (Apa): il primo è la "Consensus conference" del 1986; il secondo sono le "Guidelines" all'uso della terapia elettroconvulsivante del 1990, sempre a cura dell'Apa. Dunque nulla di recente. E sarebbe strano, visto che si sta parlando di una pratica messa a punto nel 1938. Però la modalità utilizzata dal Consiglio superiore di sanità e dalla circolare ministeriale per diffondere alcuni concetti contenuti nei due documenti Apa, appare pretestuosa e scorretta.

Esaminiamone il perché. Per immettere nell'uso clinico un nuovo presidio terapeutico (farmaco, tecnica chirurgica o altro), sono per legge obbligatori studi che ne provino inequivocabilmente l'efficacia e la validità. Tali studi portano il nome di studi clinici controllati perché implicano il confronto tra casi trattati con il presidio sperimentato e casi non trattati. Ciò è assolutamente necessario perché in medicina è ben noto che miglioramenti o guarigioni anche reali possono non avere nulla a che fare con il farmaco o la tecnica terapeutica utilizzata. Tali evenienze sono legate a fenomeni che prendono il nome di "effetto placebo" (legato alla suggestione), "regressione alla media" (ad un aggravamento senza ragione evidente spesso segue un miglioramento con le medesime caratteristiche) e "guarigione spontanea". Quindi, per evitare che si spaccino per rimedi scientificamente provati farmaci o altro che possono solo essere sembrati efficaci, è necessario effettuare preventivamente dei trials rigorosi. E, per quanto riguarda l'elettroshock, in cinquant'anni possiamo contare solo su 6 studi che presentano tali caratteristiche.

Gli esiti degli studi


Nel 1986 è stata pubblicata una rassegna critica di cinque di tali studi di Crow e Johnston. In essi, condotti tra il 1953 e il 1966, veniva confrontato elettroshock vero con elettroshock simulato. I risultati furono i seguenti: a) solo una particolare patologia, la "depressione delirante" e cioè la "depressione psicotica" mostrava un sostanziale miglioramento con la Tec vera rispetto a quella simulata; b) tale miglioramento non permaneva per un periodo superiore a un mese. Dopo di che i pazienti trattati e non trattati tornavano a essere indistinguibili quanto a sintomatologia. A questo studio va aggiunto un trial del 1985 di Gregory, Slawers e Gill che confrontarono 69 pazienti depressi giungendo alle stesse conclusioni. Nella Consensus conference del 1986 si scriveva: "Gli studi clinici controllati sull'efficacia terapeutica della Tec permettono unicamente di provarne l'efficacia e breve termine nella "depressione delirante o psicotica", nella "mania acuta" e in "alcune forme schizofreniche": affermazione discutibile (visto che i trials riguardano la sola depressione) ma, tutto sommato, contenuta. Invece, nelle "Guidelines" del 1990 ci si limita a citare un generico "consenso" degli psichiatri che praticano l'elettroshock. In tal modo le indicazioni vengono allargate a dismisura: depressione, mania, schizofrenia, psicosi puerperale e quant'altro. Ma in cosa il documento del Consiglio, pur riportando le "Guidelines" dell'Apa, è scientificamente scorretto? Perché le "Guidelines" mostrano che gli americani, pur amanti della Tec, non trascurano che si tratta di "consenso" tra gli psichiatri e non di studi controllati e usano espressioni come "si è visto che...", "esistono esperienze in direzione di..." ma mai viene data come verità ciò che, viene ripetuto, è e resta opinione di alcuni.

Di tutto ciò non c'è traccia nel documento del Consiglio superiore di sanità: indicazioni terapeutiche opinabili vengono spacciate per scientificamente provate, di protocolli e procedure neppure l'ombra, così come non si parla di "consenso informato" del paziente, problema centrale nella psichiatria della riforma.

*docente di psichiatria, università di Torino

**primario servizio psichiatrico, osp.S. Filippo Neri di Roma

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