IL MINISTERO della sanità ha recentemente distribuito alle regioni
una circolare sula terapia elettroconvusivante (Tec), denominazione aggiornata
del vecchio elettroshock. In essa si dà diffusione, con lodevoli
forzature in direzione di un incoraggiamento all'uso della terapia elettrica,
di un documento scientificamente e deontologicamente molto discutibile approvato
dal Consiglio superiore di sanità in cui si afferma sic et simpliciter
che le indicazioni terapeutiche della Tec sarebbero: la depressione, la
mania, il disturbo schizofreniforme, la schizofrenia, la catatonia, la sindrome
maligna da neurolettici, i gravi disturbi mentali in corso di gravidanza,
le psicosi puerperali. Cioè la maggior parte dei disturbi di competenza
psichiatrica.
Non solo, ma il Consiglio, assumendo la premessa che l'impiego dell'elettroshock
sarebbe motivato "dall'obbligo di salvare la vita del paziente e di
tutelarne la salute, primo fra gli obblighi deontologici del medico"
e dopo essersi chiesto se "sia giusto relegare tale intervento al ruolo
di ultima scelta, sottoponendo i pazienti a lunghi periodi di tentativi
farmacologici e di inutili sofferenze", conclude affermando che la
Tec "rappresenta un presidio terapeutico di provata efficacia, la cui
rinuncia aumenterebbe il rischio di peggioramento clinico e di morte del
paziente".
Il documento appare abbastanza terroristico. Né sembri eccessivo
tale termine poiché qualunque psichiatra, di fronte a un peggioramento
clinico del paziente, potrebbe essere chiamato a risponderne in tribunale
dove gli verrebbe contestato di non aver utilizzato la terapia elettroconvulsivante
per "mettere in atto un presidio terapeutico di provata efficacia".
Tutti i pazienti psichiatrici avrebbero così buone probabilità
di essere sottoposti a elettroshock come misura cautelativa per evitare
possibili guai giudiziari.
Ma vediamo se i dati scientifici disponibili e le attuali modalità
pratiche di uso dell'elettroshock giustificano le affermazioni e le indicazioni
della circolare ministeriale. Di fatto le fonti cui attingere sono contenute
in due documenti, ambedue editi dall'Associazione degli psichiatri americani
(Apa): il primo è la "Consensus conference" del 1986; il
secondo sono le "Guidelines" all'uso della terapia elettroconvulsivante
del 1990, sempre a cura dell'Apa. Dunque nulla di recente. E sarebbe strano,
visto che si sta parlando di una pratica messa a punto nel 1938. Però
la modalità utilizzata dal Consiglio superiore di sanità e
dalla circolare ministeriale per diffondere alcuni concetti contenuti nei
due documenti Apa, appare pretestuosa e scorretta.
Esaminiamone il perché. Per immettere nell'uso clinico un nuovo presidio
terapeutico (farmaco, tecnica chirurgica o altro), sono per legge obbligatori
studi che ne provino inequivocabilmente l'efficacia e la validità.
Tali studi portano il nome di studi clinici controllati perché implicano
il confronto tra casi trattati con il presidio sperimentato e casi non trattati.
Ciò è assolutamente necessario perché in medicina è
ben noto che miglioramenti o guarigioni anche reali possono non avere nulla
a che fare con il farmaco o la tecnica terapeutica utilizzata. Tali evenienze
sono legate a fenomeni che prendono il nome di "effetto placebo"
(legato alla suggestione), "regressione alla media" (ad un aggravamento
senza ragione evidente spesso segue un miglioramento con le medesime caratteristiche)
e "guarigione spontanea". Quindi, per evitare che si spaccino
per rimedi scientificamente provati farmaci o altro che possono solo essere
sembrati efficaci, è necessario effettuare preventivamente dei trials
rigorosi. E, per quanto riguarda l'elettroshock, in cinquant'anni possiamo
contare solo su 6 studi che presentano tali caratteristiche.
Nel 1986 è stata pubblicata una rassegna critica di cinque di tali
studi di Crow e Johnston. In essi, condotti tra il 1953 e il 1966, veniva
confrontato elettroshock vero con elettroshock simulato. I risultati furono
i seguenti: a) solo una particolare patologia, la "depressione delirante"
e cioè la "depressione psicotica" mostrava un sostanziale
miglioramento con la Tec vera rispetto a quella simulata; b) tale miglioramento
non permaneva per un periodo superiore a un mese. Dopo di che i pazienti
trattati e non trattati tornavano a essere indistinguibili quanto a sintomatologia.
A questo studio va aggiunto un trial del 1985 di Gregory, Slawers e Gill
che confrontarono 69 pazienti depressi giungendo alle stesse conclusioni.
Nella Consensus conference del 1986 si scriveva: "Gli studi clinici
controllati sull'efficacia terapeutica della Tec permettono unicamente di
provarne l'efficacia e breve termine nella "depressione delirante o
psicotica", nella "mania acuta" e in "alcune forme schizofreniche":
affermazione discutibile (visto che i trials riguardano la sola depressione)
ma, tutto sommato, contenuta. Invece, nelle "Guidelines" del 1990
ci si limita a citare un generico "consenso" degli psichiatri
che praticano l'elettroshock. In tal modo le indicazioni vengono allargate
a dismisura: depressione, mania, schizofrenia, psicosi puerperale e quant'altro.
Ma in cosa il documento del Consiglio, pur riportando le "Guidelines"
dell'Apa, è scientificamente scorretto? Perché le "Guidelines"
mostrano che gli americani, pur amanti della Tec, non trascurano che si
tratta di "consenso" tra gli psichiatri e non di studi controllati
e usano espressioni come "si è visto che...", "esistono
esperienze in direzione di..." ma mai viene data come verità
ciò che, viene ripetuto, è e resta opinione di alcuni.
Di tutto ciò non c'è traccia nel documento del Consiglio superiore
di sanità: indicazioni terapeutiche opinabili vengono spacciate per
scientificamente provate, di protocolli e procedure neppure l'ombra, così
come non si parla di "consenso informato" del paziente, problema
centrale nella psichiatria della riforma.
*docente di psichiatria, università di Torino
**primario servizio psichiatrico, osp.S. Filippo Neri di Roma