Contributo alla discussione sulle strategie di repressione e prevenzione del conflitto

tratto dalla trasmissione del 12 dicembre 1997 su
RADIONDAROSSA (87.9 Fm)



COMPAGNO UNIVERSITARIO:Non possiamo non ricordare a coloro che ci stanno ascoltando che oggi, a partire da piazza Belli, ci sarà il corteo per il 12 dicembre 1969, la strage di Piazza Fontana; questa iniziativa non vuole avere un carattere commemorativo e soprattutto rifugge dagli stereotipi sull'accanimento emergenziale, irrazionale, da parte di questo stato nei confronti di coloro che sono ancora in carcere,perché tenta di collocare il dato emergenziale, repressivo, all'interno di un discorso più generale. Infatti, uno degli slogan del manifesto che indice il corteo ribadisce che l'emergenza è intrinseca, connaturata allo stato capitalista stesso.. Non possiamo che ritrovarci su questo, che in qualche modo ha costituito anche l'oggetto di riflessioni che abbiamo fallo sul tema dell'emergenza e della repressione in trasmissioni precedenti. Tutto questo per introdurre un collegamento telefonico con Johannes Agnoli, docente di scienza della politica all’università di berlino, che è stato redattore, tra l'altro, della rivista "Critica al diritto" negli anni '70 e che ha affrontato quelli che erano i passaggi di trasformazione istituzionale in Italia e nell'Europa occidentale nel suo complesso anche in "La trasformazione della democrazia" un testo molto importante, uscito alla fine degli anni '60. Vorremmo subito entrare nel merito del discorso che, in quegli anni, facevano alcuni costituzionalisti e giuristi di orientamento marxista sulle trasformazioni che intervenivano in quel momento storico. A partire dagli anni 70, sulla rivista "Critica al diritto", per esempio, si parlò spesso di "germanizzazione", cioè si fece un parallelo tra quelle che erano le politiche repressive attuate dallo stato italiano e quelle che erano state sperimentate precedentemente in Germania, volte a soffocare ogni movimento di protesta. Possiamo partire da questo aspetto, da questo parallelo, che all'epoca si faceva molto da parte dei giuristi che avevano impostazioni alternative.
J. AGNOLI: Intanto io direi che è sbagliato spostare tutto il discorso sul carattere repressive della politica statuale, perché non è la repressione vera e propria che conduce ad un'integrazione totale, cioè alla sussunzione agli interessi dello stato del capitale, agli interessi del capitale stesso, ma è, piuttosto, una politica di pacificazione. La politica di repressione è, per così dire, solo l'ultima ratio di un piano, di una strategia istituzionale molto più vasta, che coinvolge anche i partiti operai, i sindacati e che tende non tanto a reprimere certe manifestazioni di protesta, ma piuttosto tende a portare avanti un'opera di omologazione, di conciliazione generale sociale, molto più pericolosa per l'emancipazione della società; quindi non è tanto la repressione, quanto questa politica di pacificazione sociale, questa politica di contro-conflittualità, che tende ad eliminare la conflittualità sociale. L'esempio tedesco, la famosa "germanizzazione", non consisteva nell'adottare i metodi dello "stato di polizia", che è qualcosa di ben diverso dalla strategia istituzionale di uno stato costituzionale borghese; la repressione può provocare anche una reazione, mentre questa politica, che io definirei subdola, pacifica, basata sui diritti civili, basata sulla cosiddetta democrazia liberale, è quella che tende ad eliminare ogni elemento di conflittualità e quindi di alternativa, di negazione del modo di produzione capitalistico, della società e dello stato borghese.
COMPAGNO UNIVERSITARIO: Dunque, rifacendoci a quello che ha detto lei, sempre in riferimento al dibattito degli anni '70, potremmo appunto vedere come aspetto della "germanizzazione" - se vogliamo usare questa terminologia, ma non è poi così rilevante - la politica del compromesso storico da parte del PCI in quegli anni, nel momento in cui il PCI diceva. "C'è una costituzione bellissima, che è ancora totalmente da attuare ed i limiti invalicabili entro cui si deve muovere la protesta operaia sono in qualche modo definiti da questa costituzione"; quindi una politica di attuazione di alcuni diritti sociali...
J. AGNOLI: Si, in fondo quello che è passato sotto il nome di "compromesso storico" era l'inizio di una socialdemocratizzazione del PCI; è la vecchia concezione della socialdemocrazia tedesca, che la forma-stato non c'entra con la società, soprattutto che non c'entra niente con l'economia, cioè che la struttura istituzionale dello stato borghese è un valore a sé e per sé, che può essere difeso... L'hai detto tu, una bella costituzione, però il fatto è che tutte queste belle costituzioni garantiscono certo un'efficacia, un'efficienza burocratica dello stato, ma bisogna togliersi dalla testa che siano un principio di emancipazione; sono un principio che garantisce i singoli, senza dubbio, questo bisogna constatarlo... Il vero pericolo oggi nel piano globale dell'espansione capitalistica è che perfino la costituzionalità venga meno, perché il capitale fa quello che vuole, non rispetta affatto questi principi. Però questa costituzionalità non è da rifiutare in quanto repressiva; l'importante è constatare che non è un elemento di emancipazione, ma è un elemento che disciplina le masse dipendenti.
COMPAGNO UNIVERSITARIO:Si, infatti possiamo fare riferimento al fatto che il conflitto, secondo la costituzione del '48, doveva passare per la mediazione dei partiti legalmente riconosciuti del movimento operaio e per i sindacati. Chiaramente, il tipo di protesta che si sviluppò a partire dal '~'69 non si voleva totalmente incanalare nell'ambito della mediazione parlamentare.
J. AGNOLI: E' tanto vero che la risposta, di fronte al '68, è stata di reintegrare gli elementi che avevano assunto un carattere negativo ed ovviamente reprimere quegli elementi negativi che non si lasciavano integrare. Senza dubbio questa forma di repressione è l'ultima ratio, che resta sempre a disposizione di chi detiene il potere. Però è da chiarire una cosa: non è che il potere voglia la repressione; il potere è felicissimo se non è obbligato ad usare lo strumento repressivo, cioè se l'omologazione raggiunge un livello tale che non è necessario usare metodi di polizia contro un elemento che non è più negativo. Insomma, il fulcro della strategia istituzionale di uno stato costituzionale borghese, e anche di uno stato che non è costituzionale, è prima far rientrare l'elemento di negazione in certi confini e poi, come ultima ratio, eliminarlo completamente; una società pacificata, dove, per usare un termine un po' forte, gli schiavi si trovano bene, non si accorgono di essere schiavi...
COMPAGNO UNIVERSITARIO: A questo proposito si può fare un riferimento diretto anche alla situazione politica italiana, laddove la negazione del conflitto passa attraverso una pratica concertativa fondata, ad esempio, sulla politica dei sindacati di stato, che poi agiscono nei termini non della mediazione, ma della totale identificazione con quelli che sono gli interessi padronali.
J. AGNOLI: Bisogna anche fare attenzione ad un altro elemento che mi pare importante; questa politica è possibile perché, data la situazione economica, la grande disoccupazione, la potenzialità conflittuale della classe operaia e delle classi dipendenti come tali è diminuita, si è smorzata nel tempo... Però sarebbe del tutto sbagliato cadere nella rassegnazione, quindi adattarsi. Al contrario, se c'è qualcosa che abbiamo imparato dalla caduta del muro di Berlino è che non siamo più in grado di dire cosa succederà domani; quindi, se uno viene a dire: "Non ci sarà più una rivoluzione", sbaglia, come quello che dice che ci sarà senz'altro la rivoluzione. Noi dobbiamo prepararci ad ogni eventualità...
UN COMPAGNO INTERVENUTO NEL DIBATTITO: Un attimo, io volevo un chiarimento, perché non sono eccessivamente d'accordo con tutto quello che è stato detto. La mia impressione è che si vada verso una deriva di tipo plebiscitario. Oggi non c'è un percorso di concertazione in atto, in realtà, ma c'è un percorso di tipo plebiscitario che già si è verificato in alcune situazioni soprattutto nel sud del mondo, ad esempio con il peronismo in Argentina.
J. AGNOLI: Si, se consideriamo il livello globale la situazione è diversa, ma allora io non la prenderei dal punto di vista del se ci sono tendenze plebiscitarie che, in America Latina ci sono sempre state e in Italia, che si trova nel contesto europeo, anche se ci sono, vengono controbattute da altre tendenze. Il problema principale è diverso, si svolge nell'ambito socio-economico, ed è che noi abbiamo miliardi di persone che sono innanzitutto al di fuori del processo produttivo, del mercato, che, come diceva Marx alla fine del I volume del Capitale, sono in realtà superflue per il capitale, cioè per la società borghese. E' questo il problema assillante che sta difronte a noi. E' un problema che, possibilmente, potrà condurre il potere socio-economico attuale del mondo industriale ad assumere una forma-stato, una forma politica, con connotati che non sono più liberali; questo, secondo me, è un pericolo che bisogna vedere e dobbiamo prepararci ad affrontarlo.
COMPAGNO UNIVERSITARIO: In questo rientra il dato di fatto che lo stato sta perdendo progressivamente quello che veniva definito da Schmitt "monopolio della decisione", nel senso che, per esempio, non ha più il monopolio e il controllo integrale di quelli che sono i processi produttivi, poiché questa globalizzazione in atto, poi, consiste in una trasnazionalizzazione dei processi produttivi stessi.
J. AGNOLI: Si, benché la globalizzazione ha un elemento ideologico di interesse economico, perché puntare, come si fa in, Europa, sulla globalizzazione ha anche il dato ideologico di convincere la classe operaia europea, di abituarla alla disoccupazione e a paghe minime. Bisogna stare attenti su questo punto, comunque vedremo...
COMPAGNO UNIVERSITARIO: In ultimo, un'altra cosa; prima ha fatto riferimento allo stato come stato del capitale, secondo la definizione engelsiana, quella che vedeva nello stato un ente che era capace di difendere gli interessi del capitale nel suo complesso, quindi di difenderli non solamente dalla contestazione operaia, ma anche dall"'egoismo" dei singoli capitalisti. Ora, se lo stato perde in gran parte il controllo sui processi economici, c'è un problema rispetto a qual è il luogo di sintesi delle volontà dei capitalisti stessi.
J. AGNOLI: Si, Io avevo accennato prima. Il capitale internazionalizzato o globalizzato, che dir si voglia, sta cercando una nuova forma politica e, a mio avviso, potrebbe essere una forma politica che rifiuta o rinuncia alla finzione liberale, non liberista, si badi, ma liberale. Potrebbe rinunciare a certe clausole, a certe garanzie costituzionali che ancora ci sono negli stati nazionali cosiddetti evoluti. Ma, comunque, il capitale ha bisogno di una forma politica; Marx ha ragione quando dice che in una società capitalista ogni processo sociale ha una propria forma politica, cioè una propria forma di dominio. Per ora il capitale si è liberato o sta liberandosi dai vincoli statuali, nazionali, però, ad un certo punto, anche di fronte a questa massa "superflua", avrà bisogno di un forte potere politico e la tendenza è verso un potere politico sovranazionale che sia forte, che sia al di là di ogni possibilità di controllo cosiddetto democratico. Questa è la mia preoccupazione... non la mia prognosi, ma la mia preoccupazione.
UN COMPAGNO INTERVENUTO NEL DIBATTITO: Anch'io non sono del tutto d'accordo. Questo processo di pacificazione, di omologazione, tendente ad un pensiero unico, cioè ad un pensiero non più capace di reagire in quanto indirizzato, incanalato verso determinate prospettive, aspettative, non è che elimina ogni conflittualità...
J. AGNOLI: E chi dice che l'elimina! Dipende anche da quello che io chiamavo l'elemento negativo. Ma c'è la tendenza ad eliminare ogni conflittualità: questo è un dato di fatto.
UN COMPAGNO INTERVENUTO NEL DIBATTITO: Si, altrettanto dato di fatto è che, per esempio, gli elementi di conflittualità non rientrano più in categorie come lotta di classe o...
J. AGNOLI: Un momento... Non rientrano in questa categoria e proprio per questo dobbiamo ricercare una categorizzazione nuova; dobbiamo vedere dove sono gli elementi di conflittualità oggi, perché ci sono!
UN COMPAGNO INTERVENUTO NEL DIBATTITO: Potrebbe essere, per esempio, solo una conflittualità soggettiva, psicologica...
J. AGNOLI: Ma no, questo no... La conflittualità soggettiva, psicologica, va molto bene per il capitale mondiale perché è una specie di valvola di sicurezza, è quello che loro vogliono... che ogni individuo cerchi di protestare e che tutti siano contenti. L'unica possibilità è di collettivizzare veramente questa protesta, di superare il soggettivismo; non siamo mica ai tempi del Romanticismo...
UN COMPAGNO INTERVENUTO NEL DIBATTITO: Però in questo processo ci sono, secondo me, altri elementi di conflittualità che, non essendo ancora definiti o definibili, non sono controllabili. Quindi, la repressione in questa fase va di pari passo con gli altri tentativi dello stato e potrebbe anche essere semplicemente preventiva, saggiare il terreno, per esempio... A sostegno di questo, è di un mese fa l'entrata in vigore del trattato di Schengen, che è un trattato di polizia e non un trattato finanziario... riguarda tutti i flussi clandestini...
J. AGNOLI: Noi dobbiamo smettere di protestare contro qualcosa che è entrato in vigore. Invece, dobbiamo partire da quello che è entrato in vigore e vedere quale strategia è possibile. Poi, quando tu parli di misure preventive... Secondo me tutta la costituzionalità non è altro che una controrivoluzione preventiva; la controrivoluzione preventiva è proprio l'elemento fondamentale della strategia istituzionale del capitale e della società borghese. Ma già nell'Ancièn regime c'era questo elemento: dato che la storia umana è caratterizzata anche da situazioni di rottura, c'è sempre, da parte del potere, il tentativo - che è sempre un tentativo, qualche volta riesce, qualche volta no - di prevenire questa rottura ed è una cosa del tutto normale... non sono cattivi, non ha senso fare del moralismo, semplicemente si difendono come possono, preventivamente. Però, da parte nostra, dobbiamo vedere questa realtà e partire da questa realtà.

COLLETTIVO POLITICO ANTAGONISTA UNIVERSITARIO