Capitolo 9
Organizzazione della Resistenza
Per combattere il nazifascismo dovevamo creare un nuovo esercito.
Vi erano tanti ufficiali e soldati sbandati, sfiduciati, ma onesti che bisognava
conquistare alla lotta, impedire che si presentassero al servizio obbligatorio
del lavoro istituito dai tedeschi. Si poneva il problema di prendere contatto
con le altre forze politiche, stabilire con esse le iniziative da prendere su
scala locale, le direttive elaborate dai comitati di liberazione di zona, della
provincia, nazionale.
La prima riunione di cellula fu organizzata da Armando Marescialli. nella casa
di Angelo Conti, la seconda fu organizzata da Luigi Passa nella casa dei Fratelli
Lamberto e Giuseppe Ghezzi e via via nelle case furono tenute tutte. Alla fine
di queste riunioni venne costituito un comitato di partito composto dai compagni:
Angelo Monti, Filippo Borelli, Luigi Benedetti, Zenone Giobbi, Armando Marescialli,
Tommaso Secchi, Anacleto Ronca, Luigi Passa, Vittorio Linari, Domenico Catani.
Coadiuvati da altri giovani costituirono il comitato direttivo di partito, mentre
il sottoscritto ricostituiva con Salvatore Capogrossi, segretario, e con Alfio
Mandrella, il comitato di zona. Ci dividemmo il lavoro per prendere contatto
con tutte le organizzazioni di partito dei comuni dei Castelli, per metterle
in grado di affrontare i nuovi compiti e per far sorgere in ogni comune i comitati
di liberazione nazionale.
I primi comitati comunali di liberazione vennero costituiti ad Albano,
a Genzano, ad Ariccia.
Ad Albano ne fanno parte:
I compagni Angelo Monti, Luigi Passa, Vittorio Linari avevano
il compito specifico dell'inquadramento dei soldati sbandati e di giovani che
bisognava sottrarre al servizio del lavoro obbligatorio dei tedeschi.
Verso il 20 settembre Alfredo Giorgi mi venne a trovare alle "Cese>"
e mi disse che ai "Piani Savelli", 4-5 chilometri dal paese, c'era
un gruppo di giovani e qualche soldato sbandato, chiedevano cosa fare. Risposi
che bisognava costituirsi subito in squadra partigiana con l'obiettivo della
lotta contro i Tedeschi, fare opera di convincimento continuo che i giovani
si presentassero ad arruolarsi nei partigiani, perchè solo quella era
la giusta via, anzi l'unica via per riconquistare al nostro paese il posto che
le competeva fra libere nazioni, estendere la propaganda ad altri giovani, toccarne
il massimo possibile, non farli presentare al servizio del lavoro obbligatorio
ed inquadrarli nelle costituende squadre partigiane; organizzare la vita nelle
squadre stesse, in modo che l'unità e la solidarietà di esse si
cementi, si intensifichi; ricercare le armi e le munizioni e farne dei depositi,
trovare il modo di dare da mangiare, da calzare e vestire a tutti i giovani
che ne avessero bisogno. Alfredo sarebbe venuto a rapporto ogni due giorni e
nel caso ve ne fosse bisogno anche tutti i giorni.
Si creò, così, grazie all'iniziativa di questo
coraggiosissimo giovane, il primo centro partigiano di Albano ai piani Savelli
tra i vigneti di Fortuna e Mancianti.
Neanche un giorno o due dopo, si presentò alla "Cese" Vittorio
Donna, accompagnato da Ildebrando Giannini. Portavano entrambi dei "fagotti"
in cui vi erano generi alimentari per gli "sbandati", per i partigiani.
Da qui Vittorio Donna prese l'incarico di approvvigionare tutto il movimento
partigiano di Albano, coadiuvato da tutta una serie di collaboratori e collaboratrici
e precisamente: sua moglie, Giannina Giannini, Elena Nardi, Laura Quattrini,
Alfonsina Nardi. Elena Nardi, esplicò una molteplice attività,
da portatrice di armi, a staffetta, da portatrice di esplosivo per le vie di
Roma fino ai vicini posti di impiego nei Castelli, da vivandiera a ricercatrice
di calzature e di vestiario per rivestire tanti soldati sbandati e partigiani.
In seguito, Vittorio Donna costituì un centro di raccolta, un magazzino nei pressi del vigneto che conduceva Cesare Di Domenico e presso quest'ultimo, che poi divenne il magazziniere dei partigiani, questi andavano a ritirare, con un buono di Vittorio ciò che era necessario alla loro squadra.
Una sera: Augusto D'Agostini, responsabile di partito dl Ariccia,
mi condusse con lui, aveva preparato una riunione del comitato direttivo. Era
stato formato ad Ariccia anche il comitato di Liberazione Comunale, responsabile
ne era il nostro compagno Guerrino Perucca. I compagni mi informarono che varie
squadre erano in via di formazione nella piana di Ariccia, una era diretta militarmente
da Guerrino.
Venne un compagno operaio della S.T.E.F.E.R. di Frascati, voleva che andassi
a tenere una riunione, mi parlò di bombardamento subito dalla cittadina,
essa non esisteva piò , mi disse amaramente. Desiderava che andassi a
Frascati soprattutto a nome di un nostro compagno Angelo Liberati. Vennero pure
nello stesso giorno Marco Trovalusci e Felice Tisci. il primo compagno, il secondo
cattolico comunista: anch'essi volevano che andassi a tenere una riunione a
Marino. Prima ancora che mi muovessi venne, da Frascati, il compagno Liberati
Angelo insistendo perchè andassi a tenere quella famosa riunione a Frascati,
stabilimmo il giorno che sarei andato e per l'occasione Liberati mi avrebbe
fatto preparare altre riunioni di Partito a Monte Porzio e a Montecompatri.
Non mi dovevo preoccupare per il dormire, mi avrebbe preparato un lettuccio
lui, nel suo laboratorio di falegname. Così, il 25 e il 26 settembre
le passai nei comuni sopra citati. Si costituirono i direttivi di Partito e
si presero contatti con le altre forze politiche per la prossima costituzione
dei Comitati di Liberazione. Il comitato di Liberazione Nazionale di Frascati
sarebbe stato presieduto dal compagno socialista Santinelli.
Guglielmo Troiani avrebbe preso la direzione del Comitato Direttivo di Monteporzio. Giovanbattista Fiorelli il compito di inquadramento dei giovani. A Montecompatri la direzione del Partito sarà presa da Massimo Carli.
La notte dal 25 al 26 Angelo Liberati mi preparò "il lettuccio", ma il fatto che esso fosse come in una nicchia attorniato da una dozzina di bare tenute diritte, non dovette farmi una buona impressione se Liberati mi disse subito di non preoccuparmi per le bare, perchè me le avrebbe fatte dimenticare e dopo avrei dormito bene senz'altro. Infatti, poco prima di coricarmi mi fece bere due o tre bicchierini di grappa ad altissima gradazione, sembrava che mi bruciasse le labbra e le viscere, ma aveva ragione lui: non pensai piò alle bare e dormii saporitamente. Altre volte tornai a Frascati e sempre tornai presso questo nostro compagno falegname che fino ad una certa età era stato frate. Era molto intelligente e ci aiutò molto a creare il nostro Partito e i Comitati di Liberazione Nazionale nei tre comuni citati. Morì in uno degli ultimi bombardamenti dilaniato da una bomba al fosforo.
Il 27-30 settembre, Alfredo venne a comunicarmi che i giovani
ai Piani Savelli erano una ventina e che il comandante militare era un notevole
granatiere che già si era battuto contro i tedeschi. Convenimmo perchè
il Commissario politico della squadra sarebbe stato lui, Alfredo. Egli mi comunicò
anche che alle Mole, sotto la direzione di Cesare Passa giovane di cui feci
conoscenza giorni prima ad Albano, presentato da suo fratello Luigi, dicendomi
che aveva chiesto di poter essere ammesso nelle file del Partito si era costituita
un'altra squadra partigiana il cui responsabile militare era Petitta Antonio.
Attorno alla data sopra citata venne a trovarmi alle <<Cese>> Cesare
Di Domenico (Purci) comunicandomi che alla Maddalena si era costituita una squadra
di partigiani. Dopo un pò me lo comunicò anche Basettone che ne
era il capo (Sbordoni Achille) che già si era battuto a fianco dei nostri
soldati contro i tedeschi alla Villa Comunale, unica compagnia della <<Piacenza>>
che combattè.
Comitati Direttivi di Partito vennero costituiti a Rocca di Papa il cui segretario
era Guidi, a Grottaferrata, segretario era Cardinali, a Marino Di Bernardini;
in via di costituzione erano i comitati di Liberazione.
Dopo un mese che eravamo usciti dal carcere mi rividi con Enrico Minio. Stabilii
con lui un recapito fisso presso Alfonsina in via Alba n. 13. Minio mi sarebbe
venuto a trovare anche alle <<Cese>> dove ero con mio fratello.
Lo avrei rivisto anche a Roma dove mi recavo spesso per fare relazioni di quello
che via via veniva fatto nei Castelli a Pompilio Molinari, uno dei responsabili
politici di Roma.
Nei primi di ottobre Alfredo mi fece l'inventano delle varie armi e munizioni
che avevano accumulate, avevano anche requisito un carro e un forte mulo appartenente
all'ex esercito italiano, che se ne servivano per il trasporto in campagna.
Mi disse, inoltre, che un tizio qualificandosi per uno che desiderava combattere
i tedeschi, aveva chiesto ad un nucleo di partigiani di prenderlo con loro,
ma dopo due giorni era sparito. Ricomparve presso un altro gruppo, vicino Monte
Savello, che si stava formando sotto la direzione del compagno Vittorio Linari,
segnalatoci già anche da Angelo Monti. Si stava formando un gruppo di
partigiani a Fontana di Sala, sotto la direzione di Aurelio Del Gobbo. Venne
a dirmi, Vittorio Linari, che il Tizio che si presentò presso un nostro
gruppo di partigiani, volenteroso di divenire tale anche lui, era scomparso
per la seconda volta: ora era a conoscenza dell'esistenza e dell'ubicazione
di due squadre partigiane. Raccomandai a Vittorio di concertare con Alfredo
il modo e la maniera per localizzare il Tizio e non farlo sparire di nuovo senza
aversi fatto precisare, prima, chi egli fosse effettivamente in realtà.
Vittorio Donna mi portò una combinazione, me la fece cucire appositamente,
mi portò anche una macchina da scrivere: era piccola, ma andava bene
lo stesso. Dovevo scrivere tutto a mano: direttive, ordini del giorno, manifestini,
appelli, ecc..., cosú, ora con una macchina da scrivere sarebbe andato
meglio. Ma erano piò di dieci anni che non battevo piò a macchina,
non che prima sapessi battere a macchina, però con due dita avevo acquistato
una certa velocità. In poco tempo avevo battuto un intero opuscolo, ma
ora non potevo certo ricominciare tutto da capo. E cosú Leonina mi procurò
una dattilografa, una sua parente. Avevamo appena incominciato e per poco non
finú in un disastro. Ci eravamo messi a lavorare appartati, chiusi in
una camera del villino del proprietario Macri, lo stesso padrone del vigneto
che lavorava mio fratello a mezzadria, per non fare nè vedere nè
ascoltare ciò che stavamo facendo (stavamo trasmettendo una serie di
direttive ai compagni comunisti delle varie squadre), quando sentii infilare
una chiave, in realtà un grimaldello, nella toppa del portoncino di ingresso.
In men che non si dica, piò rapido di un lampo, presi la macchina da
scrivere con i fogli infilati dentro e scritti quasi per metà e l'altra
carta e cose che erano a fianco della dattilografa e le gettai dalla finestra
non piò alta di due metri e mezzo o tre e andarono a finire in mezzo
alle piante di patate. Non feci in tempo a voltarmi che già inquadrato
sulla soglia della camera vidi l'alta figura di un ufficiale tedesco seguito
da altri militari. Imbarazzo e sorpresa mista ad una buona dose di spavento
della signorina, ma l'ufficiale tedesco guardandoci era ben lungi dal supporre
quello che noi stavamo facendo, pensò che stessimo amoreggiando e ci
chiese scusa per averci sorpresi. Egli era venuto a vedere se il villino si
prestava ad essere abitato dai soldati tedeschi. Dopo, andai a riprendere la
macchina da scrivere, certo il volo benchè non molto alto aveva nuociuto
e bisognava mandarla a riparare.
Mi venne fatto conoscere personalmente da Alfredo il sergente dei granatieri
Ferruccio Trombetti, responsabile militare del gruppo. Era un notevole ragazzone
bolognese, che destò subito simpatia e cordialità. La loro squadra
era molto affiatata. Mi venne comunicato che il Tizio che cercava di localizzare
la ubicazione delle varie squadre partigiane era stato individuato, fermato
ed interrogato. Risultò essere una spia pagata dai nazisti. Ebbe ciò
che si meritava.
Mi rividi con Pompilio Molinari. Ebbi l'impressione che andasse cercando troppe
formalità che nelle condizioni in cui eravamo non potevamo pretendere.
Mi rividi anche con Enrico Minio, non so cosa ci guadagnasse andando in giro
vestito da soldato che ha fatto la Campagna
di Russia. Forse saranno state ragioni particolari che riguardavano il suo
lavoro. Gli dissi che ero disposto a pagargli un pranzo in un ristorante. Strada
facendo, mi comunicò che mi avrebbe fatto leggere un documento segreto
del Comando
P.A.I. (Polizia Africa Italiana), ove si davano disposizione alle forze dei
vari presidi P.A.I. di opporsi con le armi ad eventuali distruzioni di impianti
che sarebbero state fatte da parte dei tedeschi in ritirata. Tutto ad un tratto
osservai che un braccio sconosciuto si posò sulla spalla di Minio, allo
stesso tempo feci un passo in dietro, osservai e sentii che colui che gli aveva
messo la mano sulla spalla disse rivolto a due in divisa che erano con lui di
arrestarlo perchè lui lo conosceva bene, indossava la divisa abusivamente.
Feci in tempo a squagliarmela e dopo una infinità di giri e avuto la
prova che non ero seguito da alcuno andai da Pompilio Molinari a dirgli cosa
era accaduto. C'era solo da sperare che coloro che l'avevano arrestato non fossero
state tanto carogne da consegnarlo ai tedeschi con quel documento cosú
importante della P.A.I. che aveva in tasca!
I compagni di Albano mi presentarono nella trattoria di Augusto Falessi, un
compagno socialista, due giovani che si volevano battere contro i tedeschi.
L'uno era ufficiale di aviazione, parlava bene il tedesco, era laureato in lettere
e filosofia, di Napoli. Ci confessò che aveva combattuto in Spagna come
ufficiale aviatore contro i russi, nel campo fascista, ma ora si era ricreduto
e voleva combattere i tedeschi e i fascisti. Risiedeva attualmente a Frascati
ove aveva una casetta e una piccola proprietà. L'altro era di Castel
Gandolfo, si chiamava Argento Boni i suoi avevano la trattoria all'acqua Ì
cetosa í sul lago di Albano. L'ufficiale di aviazione si chiamava Fabio
Minozzi. Argento Boni era invece sergente di artiglieria. Presi impegni per
collegarli con le organizzazioni locali di partito e con i partigiani.
Verso il 10 ottobre, in una riunione di zona, mi venne affidata œufficialmente”
la responsabilità per il lavoro militare dei Castelli Romani, carica
che in effetti svolgevo dall'8 settembre. Salvatore Capogrossi mi comunicò
che mi avrebbe fatto incontrare con gli ufficiali che aveva mandato il Comitato
di Liberazione Nazionale e che noi potevamo utilizzare nella lotta dei Castelli
Romani.
Verso il 15 di ottobre venne a trovarmi alle <<Cese>> il capitano
dei paracadutisti Giuseppe Colzer con il tenente Giorgio (Maurizio Ferrara).
Si deve dire che allorchè il Colzer venne a trovarmi per discutere su
ciò che noi disponevamo in uomini ed armi ed in base a ciò discutere
il tipo di azioni che avremmo dovuto condurre contro i tedeschi, egli già
si era formata in germe, una concezione che espose nel modo seguente: œNon
essendovi nei Castelli Romani nè montagne coperte di foreste, nè
zone boscose di vasta ampiezza, le azioni di guerriglia da intraprendere si
sarebbero presentate molto difficili. Forse si reputava necessario spostarsi
con uomini ed armi dove avremmo trovato un ambiente piò adatto, esaminare
se i Lepini rappresentassero tale ambiente”. œSe fosse stato necessario
per combattere i tedeschi, saremmo stati noi dei Castelli Romani, in grado di
spostarci con uomini e mezzi?”. Certamente fu la mia risposta. Rimanemmo
cosú d'accordo che mentre io avrei proseguito a curarmi dall'inquadramento
delle squadre, lui sarebbe andato con il tenente Giorgio a fare una ricognizione
nei Lepini per rendersi conto di persona se presentassero un ambiente migliore.
Con la partenza del Colzer subentrò in me una riflessione, sull'eventuale
spostamento di uomini ed armi e se al Colzer non mi ero opposto, era proprio
perchè la sua valutazione doveva essere attentamente studiata. Anzitutto
il Colzer diceva che la guerriglia contro i Tedeschi nei Castelli Romani, si
sarebbe presentata molto difficile, di conseguenza esaminare la possibilità.
di spostarci. Ma che cosa sarebbe stato piò difficile? Mi domandavo,
cominciare con cose da poco nei Castelli Romani, per procedere via via grazie
all'esperienza che ci sarebbe venuta dalla lotta con gli uomini dello stesso
ambiente, che lo conoscevano, che erano conosciuti da esso, che avevano con
lui un'infinità di legami e che da questi legami traevano il fondamentale
per vivere, per calzarsi, per vestirsi, per alloggiare, ma non solo questi legami
che lo legavano al suo ambiente significavano anche una somma di affetti che
egli nutriva ed era da anni nutrito, oppure trasportare questi uomini in un
altro ambiente eliminando in partenza quella infinita somma di vantaggi che
si hanno restando nello stesso luogo che il proprio ambiente? Non solo si sarebbero
eliminati tutti quei vantaggi, ma si sarebbero creati una infinità di
problemi che nello stesso ambiente non avrebbero mai assunto quella proporzione
che essi avevano al di fuori di esso. Delle due questioni poste, per me era
giusta la prima. Del resto, allorchè venne da me il Colzer, qualche squadra
aveva già cominciato a lavorare e i frutti erano positivi. Il Colzer
dopo una decina di giorni fu arrestato con un altro tenente, cosicchè
io non lo rividi che dopo la liberazione, la questione che egli pose allora
di un eventuale nostro spostamento nei Monti Lepini non fu piò posto
da nessuno con me.