Capitolo 2

I primi arresti:
associazione comunista e propaganda sovversiva

Avrei dovuto secondo accordi presi, come membro del Comitato di Zona, di rivedermi con Camillo Spinetti per concertare un piano di lavoro per tutta la zona dei Castelli, ma ciò non fu possibile perchè egli fu arrestato con molti altri compagni. Questi arresti si produssero e si conclusero in un lungo arco di tempo che va dall'agosto 1927 all'aprile - maggio 1928. Furono operati a decine, non solo a Genzano ma anche a Frascati, Grottaferrata e Nemi, gli altri compagni dei Castelli, compreso Albano, non ne subirono. Nel corso delle indagini molti degli arrestati furono rilasciati, quattordici invece furono deferiti al Tribunale speciale per la difesa dello Stato con l'accusa: "Di far parte di associazione comunista e di propaganda sovversiva". Il processo ebbe luogo nell'ottobre 1928 e fu il primo dei Comunisti nei Castelli Romani (26).

Fino a che punto gli arresti ci avevano colpito a Genzano, che rappresentava il centro propulsore dell'organizzazione dei Castelli? A questo interrogativo nel mese di maggio, allorch’ avvennero gli ultimi arresti, non potevamo ancora rispondere. D'altra parte nessuno dei compagni di Genzano venne a darci notizia; per rendersene conto bisognava recarsi colì. Non era tanto semplice la questione, occorreva muoversi con molta cautela altrimenti avremmo potuto compromettere il lavoro di mesi. Solo dopo qualche tempo dagli ultimi arresti, vale a dire verso la fine di giugno, mi ci recai. Riuscii a vedere Salvatore Gabbarini, che avevo conosciuto il giorno in cui Elvezio Pennazza mi presentò come il compagno designato dai comunisti di Albano a far parte del Comitato di zona. Questo avvenne in una importante riunione delle varie organizzazioni dei Castelli, tenuta in una capanna nei pressi di Genzano, presente anche un funzionario del centro interno del partito. Anche Salvatore Gabbarini era stato arrestato come tanti altri, ma non avendo trovato nulla sul suo conto dovettero rilasciarlo. Egli mi spiegò come potevano essersi prodotti gli arresti; i carabinieri partendo da una vecchia traccia erano riusciti ad individuare qua e là qualche compagno che già prima delle leggi eccezionali esplicava qualche attività del Partito e a seguirla fino a che ad un determinato momento hanno iniziato negli altri comuni gli arresti dell'agosto 1927 concludendoli poi, a Genzano, nell'aprile-maggio 1928.

L'organizzazione di Genzano era stata la piò colpita, non solo per il numero dei compagni, ma soprattutto perchè era stata privata di altri dirigenti capaci. Tuttavia la volontà di proseguire la lotta dei compagni non era stata affatto intaccata e questo, era l'essenziale. Gabbarini ed io, decidemmo di andare avanti col nostro lavoro proponendoci un maggiore contatto fra noi ed una grande cautela nel futuro lavoro.
Nell'aprile 1928, era partito per il servizio di leva, Angelo Monti. Egli, però, ha lasciato un buon ricordo di s’. Nei pochi mesi che ha militato qui ad Albano, nella gioventà comunista ha condotto nell'organizzazione tutto quel gruppo di giovani che gravitava intorno a lui: Salvatore Ghezzi, Luigi Di Baldo, Luigi Bucciarelli, Mariano Vilmercati, Oberdan Bruschi, Antonio Vanni, Pietro Bellucci, Dionisio Candi, Giovanni Spaccatrosi. Questi mantengono con Monti un legame, già una volta si sono riuniti per fare una colletta per aiutare il loro compagno soldato. Ma quello che piò va sottolineato di questo gruppo è che ben cinque di essi diverranno dei capicellule. Per questo non è il solo gruppo dei nuovi giovani creato da dopo il settembre 1927, ve ne sono degli altri. Vi è il gruppo Luigi Benedetti e Cesare Fabbri formato con Fernando Pasquali, Giovanni Velletrani, Mario Tanchella, Pio Bellardinelli, Luigi Moriggi, Borelli Filippo, Giulio Fabbri; quello di Guerrino Litardi il cui capocellula sarà designato Gaetano Gasperini (Lucrezia), con Giovanni Nardi, Ferruccio Spaccatrosi, ecc...; c'è, infine, il gruppo che si sta formando attorno a Guglielmo Linari con suo fratello Vittorio, Armando Bizzoni, Nino Savini, Vincenzo Bonamici, Pietrella, ecc...

A fianco di questi gruppi venuti dopo le Leggi Eccezionali, c'è un altro gruppo che era nella gioventà comunista e nel partito prima delle Leggi Eccezionali e questi emano: Vincenzo Gasbarri, Elvezio Pennazza, Domenico Catani, Armando Fabbri, Augusto Secchi, Vittorio Raffaelli, Giovanni Bellardinelli, Angelo Bellardinelli, Umberto Pezzi, Aurelio Del Gobbo, che il compagno Domenico Catani mi ha poi presentato e che mi ha fatto un'ottima impressione.

I nuovi compagni, quelli reclutati alla federazione giovanile e al Partito Comunista dopo la promulgazione delle Leggi Eccezionali, erano ormai una quarantina e ciò imponeva tutto un lavoro serio non solo di organizzazione e disciplina cospirativa, ma un continuo lavoro di conquista consapevole dei giovani all'ideale della classe operaia, all'ideale del comunismo.

Ora, per quanto concerne le questioni di organizzazione, sin dall'inizio la direttiva era quella della costituzione delle cellule, che potevano essere composte dai cinque ai sette compagni e questi non dovevano conoscere chi erano i compagni organizzati nelle altre cellule. Questo era anche chiaro, e tutti lo comprendevano. Per quanto concerne la conquista ideologica dei compagni la questione era un pò piò complessa, chi ci trasse da un grande impaccio in proposito, fu uno dei libretti che i compagni mi procurarono: " Dalla seconda alla Terza Internazionale ". Da questo libretto trassi argomenti per tante riunioni di cellula per spiegare ai compagni quello che io avevo compreso delle varie questioni. Che io poi sia riuscito a rendere chiare tali questioni e fino a qual punto ai compagni, questa è un'altra cosa. Per gli altri due libri che i compagni mi diedero, non riuscii a combinare nulla in quel tempo. Il compendio di Cafiero del Capitale non era comprensibile ancora per me, solo piò tardi e con la guida di un collettivo, sono riuscito a comprenderlo. Lo stesso dicasi del " Manifesto dei Comunisti ", a leggerlo lo comprendevo, o meglio, credevo di comprenderlo, ma l'intimo significato, il nocciolo vero sentivo che mi sfuggiva. Intere pagine ho fatto prima ad impararle a memoria che ad afferrarne il concetto.

Ai primi di marzo 1929 Domenico Catani ed io fummo convocati a Genzano da Gabbarini. Sul luogo di riunione, in una nicchia alquanto buia di una grotta dove stavano caricando il vino, dopo un pò venne Tiberio Ducci. Si trattava di "discutere" le decisioni che avremmo dovuto adottare di fronte alle elezioni plebiscitarie il 24 marzo 1929, indette dopo la firma dei Patti Lateranensi. Era la prima volta che vedevo Tiberio Ducci, quando cominciò a parlare, ebbi subito l'impressione che fosse alquanto deciso. Egli ci tenne un discorso che mi sembrò giusto, ma che conteneva invece un punto di vista politico opportunista. Però io non lo compresi e per maggior disgrazia, non lo compresero neanche gli altri due compagni che erano presenti: Gabbarini e Catani.
Io credevo, in realtà, che Tiberio ci esponesse quale linea il Partito volesse adottare per le elezioni, mentre egli ci esponeva quello che egli o i compagni di Genzano supponevano che fosse la linea del partito. Il discorso che ci tenne Tiberio fu il seguente: "Solo partecipare alle elezioni plebiscitarie indette dal fascismo, a prescindere dal voto positivo o negativo, significa approvare le elezioni plebiscitarie fasciste, quindi la nostra linea era non parteciparvi, non solo, ma dovevamo fare in modo che la gente non vi partecipasse, si astenesse e fare di tutto per sabotarle".
Ora, la linea del partito, non era affatto questa; ma al contrario, era quella di parteciparvi e votare no e fare votare no al piò grande numero possibile di elettori. Dove avesse preso questa ispirazione Tiberio per suggerire quel comportamento non so, fatto sta che nessuno di noi tre fece obiezione ad una simile direttiva e la giustezza o meno di tale questione non poteva ancora essere compresa da me. Ora sappiamo come sono andate le cose.

I fascisti, in modo particolare nei piccoli paesi, andavano casa per casa a scovare i restii e tutti coloro che erano sospetti di essere contrari al regime fascista, guai a chi rifiutava, solo i compagni piò conosciuti ebbero il coraggio di non andare, ma molti di essi che furono costretti a recarsi e che avrebbero votato no, si sono visti beffare dai fascisti che gli hanno tolto di mano la scheda ed hanno votato si per lui. Malgrado tutte le angherie e i soprusi, malgrado le direttive non giuste date, pure i no furono 136.198 e i si 8.506.576.

Nell'aprile-maggio 1929 tornò dal confino Alfio Mandrella, portò con s’ un opuscolo fotografato del partito ove vi erano riportati i discorsi degli uomini piò noti dell'Internazionale Comunista tra cui, quello del compagno Togliatti.

Si stabilì con Gabbarini di tenere una riunione al piò presto una sera a casa mia, ove sarebbe stato presente, Alfio Mandrella, Domenico Catani ed io. Ci vedemmo così, una sera del mese di giugno 1929. Esaminammo lo stato dell'organizzazione e stabilimmo di portare alla conoscenza di tutti i compagni il discorso che Togliatti aveva tenuto a Mosca. In esso vi era tutta una analisi della situazione inquadrata nel contesto internazionale e i compiti dei comunisti. Bisognava ricopiare subito il discorso per averne una copia in piò e siccome la domenica successiva avremmo tenuto una riunione molto larga a Velletri, il discorso l'avrei ricopiato io, mi sarei tenuto la copia per servirmene e avrei portato il testo a Velletri. Sulle questioni di organizzazione stabilimmo di riprendere i contatti con i compagni delle organizzazioni degli altri Comuni dei Castelli, insistere per far costituire in ogni luogo delle cellule dai cinque e al massimo, di sette compagni, fare rispettare le regole della cospirazione e soprattutto, reclutare nuovi compagni rivolgendo lo sguardo verso i giovani.

La riunione di Velletri fu preparata da Vicario in accordo con Salvatore Gabbarini. Ci riunimmo nei pressi di S. Maria dell'Orto, in una capanna sita in un vigneto che lavorava lo stesso Vicario. Da Genzano, Gabbarini, Mandrella ed io camminammo due ore e mezzo prima di arrivarvi. Dopo un'ora di cammino trovammo in un luogo Vicario che era ad attenderci, aveva un ombrellone a tracolla a guisa dei pastori, lui ci condusse sul posto. Nella capanna c'erano una ventina di compagni tra cui Spartaco Mancini, padrone di una piccola tipografia. Facemmo quello che avevamo stabilito di fare. Il discorso di Togliatti fu letto commentato e discusso. Stabilii con Mancini e Vicario dei legami, sarei ritornato presto tra loro. Al ritorno, mentre Gabbarini e Mandrella scendevano dal tram a Genzano, furono invitati dai poliziotti al commissariato. Volevano sapere dove erano stati e chi era quel forestiero che era stato visto con loro nella campagna di Genzano. Dopo pochi giorni Gabbarini fu rilasciato, ma Mandrella fu rispedito per qualche altro anno al confino. Lo rividi dopo quindici anni.

Ai primi di luglio, ripresi i contatti con Anzio, con il compagno Ulderico Casale ed altri compagni. Ad Ulderico Casale affidai l'incarico di procurarmi notizie precise per Nettuno; dato che lui conosceva i compagni di quella organizzazione, poi me ne avrebbe riferito la prossima volta.

Agli ultimi di luglio con Dandolo Imbastari, tentai di riprendere i contatti con i compagni di Marino e Frascati. Era molto tempo che non si aveva piò nessun contatto con i compagni di questi due comuni. Io non conoscevo nessun compagno, e neanche Dandolo sapeva il nome di nessuno di essi, però Dandolo qualche anno indietro, aveva partecipato a riunioni che erano state tenute sia a Marino che a Frascati e ricordava qualche faccia che ora speravamo ardentemente di ritrovare e speravamo anche che nel frattempo non fossero cambiati. Fummo fortunati. Proprio nella sala d'aspetto di Marino, Dandolo riconobbe un compagno con il quale si salutò e così, ripresero i contatti. Pochi giorni dopo tali contatti si saldarono, rintracciammo il marinese, che ci aveva segnalato Mandrella, che era stato al confino come repubblicano, Di Bernardini Olindo (era stato sorpreso a scrivere frasi inneggianti alla Repubblica e se n'era ritornato dal confino, comunista). Tramite lui, non solo rafforzammo di molto i legami con Marino, ma li creammo anche con suo fratello Marinello che aveva il deschetto di ciabattino nella piazza principale di Castel Gandolfo. Fummo fortunati quel giorno anche a Frascati. Passeggiamo per il Comune fino a che Dandolo non ravvisò in uno che stava vendendo fette di cocomero, uno dei compagni che aveva partecipato ad una riunione alla quale aveva assistito anche lui. Ci avvicinammo, comperammo una fetta di cocomero ciascuno, poi fu facile a Dandolo, in un momento in cui eravamo soli, avviare il colloquio e fu così stabilito anche il contatto con Frascati. Eravamo riusciti a stabilire i contatti con i principali Comuni dei Castelli, si trattava, ora, di rafforzare questi legami creando dei forti capisaldi e contemporaneamente intessere tutta una rete capillare organizzativa mediante un profondo lavoro politico ideologico.

Negli ultimi giorni dell'anno 1929 e precisamente il 7 dicembre, accadde un fatto strano, che Salvatore Gabbarini, che era allora il compagno piò qualificato che ci era rimasto a Genzano dopo Tiberio Ducci, mi invitò ad assistere ad una riunione che avrebbe avuto luogo nella notte del 7-8 dicembre, cioè piò precisamente, per le ore tre del giorno 8 dicembre, a Genzano. Non ricordo quale fosse l'ordine del giorno della riunione, non so neanche dire se io lo chiesi a Gabbarini oppure egli me lo avesse comunicato, infine non poteva essere che una questione inerente alla nostra attività di comunisti. Per essere certo di potermi svegliare per tempo, mi feci prestare la sveglia da mia zia Ersilia, presso la quale mangiavo. Misi la suoneria per le due e venti, calcolando di poter uscire di casa alle due e trenta e con mezz'ora, di buon passo, ce l'avrei fatta a raggiungere Genzano. Alle due e venti, allorch’ il campanello mi svegliò, veniva già un temporale infernale, l'ombrello non lo possedevo. Indossai, dopo essermi vestito l'impermeabile, strinsi la cinta alla vita, alzai il bavero, a coprirmi oltre il collo anche le orecchie e mi avviai. Mi presi una bella inzuppatura fino ad Ariccia, qui cessò quasi di piovere ed andai avanti fino a Galloro: fin qui non mi era stato difficile percorrere la strada, questa piò o meno la distinguevo, ma dopo Galloro non distinguevo piò nulla. Era buio pesto, andai avanti ancora incerto di qualche passo, quando ad un tratto mi sento una grande vampata di alito caldo in faccia, emetto inconsapevolmente un grido di spavento e nello stesso tempo traggo con forza le mani in avanti e sbatto violentemente le mani sul muso di una mucca che riesco piò a intuire che a distinguere, andando piò avanti ho avuto qualche barlume che mi ha aiutato a giungere fino alla "Catena", da qui qualche lampada era accesa e sono potuto arrivare sul posto.
In fondo a via Livia - ora Italo Belardi - vedo un uomo sotto un ombrello, penso che sia un compagno ad attendermi. E invece no! Gli domando se conosce l'ora e mi risponde in forte dialetto genzanese: "Non hai inteso? L'orologio ha suonato ora le tre". Ringrazio e proseguo a camminare, ma dei compagni non si vede nessuno. Intanto è ricominciato a piovere ed io non posso continuare a passeggiare nella notte, sono bagnato e comincio a sentire un freddo che mi penetra nelle ossa vorrei trovare un posto piò riparato ed infine mi infilo in un portone. Rimango lì un'ora buona, senza dubbio di piò fino a che passa un compagno sotto un grande ombrello, guarda dalla mia parte, mi scruta e crede di riconoscermi, si avvicina e mi domanda perplesso cosa diamine stia a fare in quel luogo a quell'ora. Gli racconto il fatto e ne rimane meravigliatissimo. mi conduce con lui in un tinello dove fa abbastanza caldo; vi sono delle balle di fieno o di paglia ove ci si può sedere e va a chiamare i compagni. Mano a mano ne arrivano una dozzina e per ultimo Salvatore Gabbarini, abbastanza umiliato da consigliarmi a non dire nulla sull'argomento e non chiedere perchè ero stato convocato, mi sono comportato come se non fosse accaduto nulla. Abbiamo parlato delle nostre cose, degli ultimi sviluppi della situazione e che ora io avrei potuto dedicare quasi la totalità del mio tempo disponibile alla cura dell'organizzazione della zona essendo ritornato Angelo Monti dal servizio di leva, che mi potrà sostituire per la cura dell'organizzazione di Albano. Sono già le sei e mezzo quando lascio i compagni di Genzano, mi devo affrettare a ritornare ad Albano perchè il mio lavoro di sarto inizia alle sette, tanto piò che ho fatto un patto con il principale: io gli farò cinque giacche la settimana e sono padrone di andare e venire nella sartoria quando mi pare, fermo restando che io devo mettere le giacche in prova nelle ore e nei giorni che stabilisce lui con i clienti. Col ritorno di Angelo Monti dal servizio militare, aumentano le nostre possibilità di lavoro. Si può ora dedicare piò energia e cura nell'organizzazione di Albano sia reclutando nuovi giovani e inquadrandoli nelle cellule, sia riunendoli, non solo per riscuotere le due lire di quote mensili, importanti per affrontare le spese per andare avanti, ma irrinunciabile principio politico organizzativo per l'appartenenza al partito comunista; ma anche per discutere delle nostre cose in quanto comunisti: il nostro programma, i modi e la maniera per la realizzazione del programma, i compiti di ogni comunista, i problemi che si ponevano in Unione Sovietica ecc. Si può dedicare ora anche piò attività in direzione di altri comuni dei Castelli Romani e non esitiamo di uscire anche da essi per prendere contatti con altri comuni non solo della provincia di Roma, ma anche al di fuori di essa, fino a che nel luglio 1930 i compagni di Genzano, tramite Italo Belardi che faceva lo stagnino a Roma, sono riusciti a stabilire un legame con il funzionario inviato dal Centro del Partito. Italo Belardi stabilì un incontro con tale funzionario per la sera del 22 luglio. Vengo accompagnato a Roma da Dandolo Imbastari che ha un appuntamento fissato già con il Belardi, il quale dopo circa un'ora ci condusse a Piazza delle Carrette in fondo a Via Cavour. In tale piazza, al tavolo di un bar ci incontrammo col funzionario del centro del Partito: Giulio Chiarelli di Sondrio, col quale fui lasciato solo da Belardi ed Imbastari che se ne ritornarono a Genzano. Mi trattengo col Chiarelli per un'ora e forse piò , lo metto al corrente della situazione dell'organizzazione dei Castelli Romani con i quali abbiamo ristabilito un buon numero di contatti. Ultimamente abbiamo costituito una cellula di compagni della S.T.E.F.E.R. i quali ci mantengono in continuo e rapido contatto con un buon numero di Comuni. Decidiamo con il Chiarelli di rivederci dopo cinque giorni. Nel frattempo gli preparerò una riunione per la sera del 26 luglio. La tale sera ci saremmo rivisti nei pressi della Casa del Passeggero, egli avrebbe portato un sacco di stampa che era l'ultima prodotta dal Partito. In quei cinque giorni ci mettemmo d'accordo, Catani, Aurelio Del Gobbo ed io, di tenere la riunione alla Castelluccia, ove Aurelio ci avrebbe messo a disposizione un locale nei pressi della sua abitazione. Ci avremmo fatto pervenire sette o otto compagni di Albano e di Genzano. Così, infatti, avvenne. Mentre la sera del 26, alle ore 21 mi incontravo col Chiarelli, nel luogo fissato e prendevamo il tram diretto a Velletri, partivano nello stesso tempo i compagni di Albano e di Genzano invitati, diretti alla Castelluccia. Giunti ad Ercolano, Chiarelli ed io scendemmo, consegnammo il pacco di stampa ad Angelo Monti, che era ad attenderci con Luigi Di Baldo, indi ci dirigemmo verso la casa di Del Gobbo. Alle ore 22,30 allorchè giungemmo nel luogo della riunione tutti i compagni che erano stati invitati, erano presenti. Il Chiarelli ci fece una lunga relazione che si protrasse per circa quattro ore. Era la svolta del '36 che doveva essere spiegata e fatta comprendere al Partito. " Per dare una svolta a tutto il lavoro nel campo organizzativo, politico ed ideologico, il Partito ha ritenuto necessario impegnare tutto il PartiIgnazio Siloneto sul lavoro illegale di esso in Italia a fianco e alla testa della classe operaia, perciò era indispensabile ricostituire una centro interno in Italia". "Ma proprio su questa questione si produce una frattura del gruppo dirigente del partito, tra la maggioranza e i tre compagni Pietro Tresso (Blasco), Leonetti e Ravazzoli. Il comitato centrale prende delle misure contro di essi ed infine li espelle. Nello stesso tempo anche Ignazio Silone (Pasquini) viene espulso dal Partito così pure nello stesso anno viene espulso anche Bordiga, perchè la sua attività è incompatibile con l'appartenenza al Partito. I tre erano contrari alla ricostruzione del centro interno del Partito, perchè, dicevano che era un errore lottare in Italia nelle condizioni di Leggi Eccezionali, che era un errore mandare allo sbaraglio tanti compagni".

Ma non fare lottare il Partito nelle condizioni di illegalità in Italia, avrebbe significato distacco dal Partito della classe operaia con tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate. Parlò del fascismo, della sua natura del suo carattere, della sua essenza, come esso sia la piò tipica espressione del capitale finanziario, la sua dittatura e come uno dei suoi atti piò caratteristici sia l'attrezzatura e la riorganizzazione dell'apparato di guerra borghese per fare per l'appunto la guerra, da qui la necessità di smascherare questo tratto del fascismo. Il Partito Comunista Italiano patrocinava l'iniziativa di indire il 1 agosto: "giornata contro la guerra ".

In questa giornata avrebbero dovuto essere diffusi ovunque volantini e giornali illegali che ponessero all'ordine del giorno la lotta contro il pericolo di guerra. Parlò dell'Unione Sovietica, dei successi dei primi anni del primo piano quinquennale; parlò della questione di organizzazione che sarebbe stato giusto creare subito: due organismi distinti, uno per i giovani, uno per gli adulti. Ci separammo da Chiarelli verso le quattro del mattino, con il proposito di rivederci la mattina del 2 agosto alle ore 9, allo stesso posto della volta precedente. L'attesi piò di un'ora nei pressi, ma egli non venne e se non era venuto doveva essergli successo qualcosa. Infatti, era stato arrestato insieme ad un gruppo di compagni romani (27).

Quale fu la causa dell'arresto di Chiarelli e degli altri compagni?
Sicuramente, la polizia romana aveva confidenti che erano riusciti ad infiltrarsi nelle file dei nostri compagni. Nell'ambiente di Roma sul quale operava la polizia bisognava essere molto cauti. Qualche settimana dopo gli arresti, sempre tramite i compagni di Genzano, fui messo in contatto con Giulio Mazzocchi, che aveva una bancarella d'abbacchiaro a Piazza Vittorio. Questo Mazzocchi aveva già subito nel 1928 una condanna di 2 anni al Tribunale Speciale perchè "sospettato di aver tenuto per 2 anni collegamenti tra gli operai comunisti di alcune fabbriche romane". Ora, la prudenza consigliava di stare lontano da questo compagno, perchè la polizia aveva tutto l'interesse ad esercitare su di lui una stretta sorveglianza e cercare di conoscere tutti coloro che venivano in contatto con lui. Penso che nessuno avrebbe dovuto essergli presentato. Mazzocchi un giorno, mi presentò un giovane compagno di nome Mario, figlio mi diceva, di un noto scrittore anarchico fuggito nel Paraguay o nell'Uruguay, non ricordo bene. Ad un determinato momento iniziò tra loro due, Mario e Giulio, una conversazione su una piccola somma che gli sarebbe occorsa per mettere in moto una piccola tipografia che doveva essere utile al Partito. Della cosa ne riparlai a Giacomino Pesoli: "se questi hanno veramente la possibilità di stampare il materiale che ci permetterebbe di condurre un'azione di agitazione e di propaganda sarebbe un delitto non dargli questa somma che noi abbiamo".

Giacomino ne convenne e decidemmo quindi di dargli la somma. Andai a Roma e parlai con Mazzocchi dicendogli che se veramente ci assicurava che erano in grado di stampare, noi dei Castelli Romani avremmo dato la somma di 3.000 lire necessarie. Entro una settimana avremmo dovuto avere i primi volantini. Al giorno stabilito invece della stampa lo trovai alle prese con due giovani molto eleganti, i quali sfoggiavano una parlantina a tutta prova e vantavano, di fronte a Giulio, la loro abilità di giornalisti. Ebbi nettissima la sensazione che non giornalisti fossero ma furfanti matricolati; l'avrei voluto dire subito a Giulio, ma egli tagliò corto adducendo motivi pressanti e s'allontanò con i due invitandomi a dire a Mario, che giungeva in quel momento, quello che avrei voluto dire a lui. Non avevo nessuna voglia di dire a Mario la mia impressione su quei personaggi; speravo solo, ma intuivo già che la mia era purtroppo una vana speranza. di avere presto la stampa promessa. Mazzocchi per piò volte rimandò la data della consegna della stampa, fino a che mi mandò a dire per Mario che sia i "forti collaboratori di penna" sia Bielli, il giovanottone che Mazzocchi mandò a Genzano per ritirare le tremila lire, se l'erano squagliata con i denari. Quando lo seppe, Giacomino Pesoli non riusciva a darsi pace.

Nei contatti con Mazzocchi ebbi modo di conoscere altri due compagni romani: Giacomo Pipoli, un operaio edile della Maranella, e Guglielmo Germani, operaio fabbro del Pigneto.

Con Guglielmo Germani simpatizzai dopo un paio di incontri. Era fatto tutto di un pezzo, per cavargli una parola di bocca occorrevano le tenaglie e per questo lo chiamai il "Muto". Era a contatto con il compagno Izzo, barbiere, che era stato arrestato insieme al Chiarelli. Quale fosse la causa della caduta del gruppo, Germani non lo sapeva, tanto meno lo sapevo io. Però c'era un fatto: il Mazzocchi era in contatto con un gruppo di veri furfanti che aveva presentato ai compagni, da questi furfanti si era fatto raggirare come un allocco, gli aveva fatto vedere lucciole per lanterne e all'organizzazione avevano fatto rubare tremila lire. Ma solo questo? Non c'erano cose ancora piò gravi sotto? Dopo una decina di giorni che Mazzocchi mi aveva fatto dire da Mario che "i due forti collaboratori di penna" insieme a Bielli erano fuggiti con le tremila lire, Germani si recò a casa di Bielli e trovò la mamma in lacrime perchè il figlio con gli altri due li avevano arrestati, perchè avevano cercato di espatriare clandestinamente. Cosa avranno raccontato alla polizia? Questi erano stati messi a contatto con una serie di compagni da Giulio Mazzocchi e per questo Germani ed io cominciammo a nutrire nei suoi confronti delle prevenzioni, tanto piò che solo allora venni a sapere del carcere che egli aveva scontato. Diradammo i rapporti con lui, non gli facemmo sapere piò nulla del nostro lavoro. Il Germani da allora chiese il mio intervento per tenere riunioni dapprima con un nucleo di compagni di San Lorenzo tra i quali Di Berto, poi via via fui chiamato sempre piò di frequente da questi due compagni. Le riunioni venivano preparate sia dal Germani che dal Di Berto. Essi erano collegati con gruppi di compagni di San Lorenzo, del Pigneto, Fornaci, Trionfale, Trastevere ed Esquilino.

Con la costituzione dei nuovi legami, l'attività del Partito nei Castelli ebbe un impulso nuovo. Tale legame fu costituito gli ultimi mesi del 1930 o ai primi del 1931. Fu fatto in accordo con Vincenzo Gasbarri, perchè il luogo di recapito, per i funzionari del Centro del Partito che sarebbero venuti, sarebbe stato il luogo di lavoro dello stesso Gasbarri. Contavamo, allora, quattordici cellule giovanili e tre di adulti, in complesso diciassette cellule, ognuna delle quali, aveva da un minimo di cinque ad un massimo di sette compagni. Molte riunioni le tenne il compagno Giancarlo Paietta nell'aprile 1931; ancora di piò ne fece il funzionario che venne dopo di lui. Entrambi questi funzionari del Partito parlarono a decine e decine di compagni di Albano e dei Castelli Romani.

Le riunioni si svolgevano in una caverna lungo un sentiero che portava a Palazzolo.

L'avevamo trovata, per caso io e Angelo Monti e li, in quella caverna Giancarlo Paietta, appena ventenne; parlò a tanti giovani di Albano sulla giustezza della via da essi scelta e i compiti che comportava tale scelta. Il funzionario che venne dopo di lui, non solo ribadì ad un numero ancora maggiore di giovani ciò che egli aveva già detto, ma in quella caverna vi passò pure la notte. L'indomani mattina alle cinque, andai al caffè della sora Paolina, ove mi feci dare un recipiente con quattro cinque caffè e glieli portai. Restai insieme a lui tutta la giornata: sapevo che mi doveva dare delle istruzioni. Infatti mi disse, che dovevo partire entro pochi giorni, da Albano e dall"Italia.