Coca-Cola:
e la chiamano scintilla della vita
«A quel punto, non ci
fu più sindacato né della Coca Cola, né di nessun'altra fabbrica.
Era prevalsa la soluzione più radicale, finale. La fine del
sindacato della Coca Cola era costata 8 dirigenti morti, due
scomparsi e sei feriti... In Guatemala, ora che dicono sia tornata
la democrazia, quei delitti sono ancora impuniti. In compenso si
continua a bere la famosa bibita» La bevanda americana sponsorizza
le Olimpiadi, anche a Torino. Forse è il caso di ricordare qualche
vecchia vicenda che la riguarda: per esempio, nel 1976 in
Guatemala...
Testata: Il Manifesto
Versione originale: http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/25-Gennaio-2006/pagina18.htm
Autore: Dante Liano*
Data: 25 Gennaio 2006
Tutto iniziò con una
stoltezza. Ciò che venne dopo, gli scambi di persona, i coltelli,
le armi, i 27 morti, la rabbia, il terrore, i funerali e le
vendette, tutto derivò da quella stupidità. L'insensatezza è
pericolosa perché, se si insiste, diventa malvagità. Questa è una
storia lunga e scabrosa e va raccontata sin dall'inizio, quando
nessuno avrebbe pensato che si sarebbe arrivati a tanto, per finire
poi in nulla o addirittura in oblio.
La stupidità fu quella di John C. Trotter, titolare della
concessione della Coca Cola in Guatemala. Chi volesse capire cos'è
una multinazionale, dovrebbe provare a fare la pubblicità per una
compagnia come la Coca Cola in un piccolo paese del Terzo mondo. Il
famoso logo della bibita gasata ha un colore rosso acceso: se un
giornale pubblica un inserto con quel logo e il colore non è
esattamente quello voluto dalla prestigiosa compagnia nordamericana,
non viene pagato, perché il marchio deve essere quel rosso e non
uno simile. Ma queste sono sciocchezze in confronto a quello che
stiamo per raccontare.
I lavoratori della Coca Cola in Guatemala non avevano un sindacato e
Trotter odiava quel tipo di organizzazioni, perché gli sembravano
retaggio del comunismo, dottrina che il padrone odiava con tutta la
sua anima. Ma una sua idea fece nascere il sindacato e in questa
vicenda si può constatare come un'azione capziosa può rivoltarsi
contro il furbo che la propone.
Troppa anzianità
Il signor Trotter riteneva che ormai i suoi
dipendenti avessero accumulato troppa anzianità e che, in caso di
licenziamento, avrebbero avuto diritto a troppi soldi, quindi decise
di licenziare in tronco tutti i suoi dipendenti e il giorno dopo li
riassunse. Con questa mossa, quella volpe di Trotter aveva azzerato
l'anzianità di tutti. Ma commise l'errore di non prendere in
considerazione il fatto che la sopportazione della gente arriva fino
a un certo punto. Il conflitto infatti esplode spesso per
motivazioni banali. I lavoratori avevano deciso infatti di formare
un sindacato e di proporre alla multinazionale un negoziato: «Un
negoziato? Ma cosa si credono questi analfabeti?», reagì Trotter,
e li mandò tutti al diavolo. Il tira e molla fra padrone e operai
durò due anni; alla fine, nel 1976, la fabbrica venne occupata e i
titolari decisero di chiamare la polizia che intervenne con
decisione: quattordici operai finirono in ospedale e dodici in
galera. Era solo l'inizio. Questi atti di resistenza finivano sempre
con un episodio violento. Sembravano fatti isolati, sporadici, e
invece erano legati l'uno all'altro, in una catena che sarebbe stata
senza fine.
Gli autisti, i facchini, i venditori ambulanti non mollarono e a
quel punto i dirigenti della Coca Cola decisero di passare alle
maniere forti e di rivolgersi direttamente al capo della polizia, il
colonnello Germán Chupina Barahona, famoso per cinismo e crudeltà.
Alcuni membri delle forze di sicurezza dello stato furono allora
nominati capo del personale, capo magazziniere e capo controllo
della fabbrica, trasformando l'industria in una grande caserma. I
lavoratori si spaventarono, ma insistettero ugualmente nelle loro
rivendicazioni. D'altro canto, cosa potevano fare, se non ribadire
di avere ragione?
Fu così che si giunse al primo attentato. Il 10 febbraio 1977, due
membri del sindacato, Àngel Villegas e Oscar Sarti vennero colpiti
da una sventagliata di mitra mentre andavano verso la fabbrica.
Salvarono la pelle, ma rimasero feriti. Pochi giorni dopo, il 2
marzo, i consulenti giuridici del sindacato, Gloria de la Vega e
Enrique Torres, furono feriti in un secondo attentato. Dopo
l'avvertimento decisero di rifugiarsi in esilio.
La schizofrenia della situazione era notevole: mentre all'interno
della fabbrica si minacciava, si sparava, si viveva nel terrore,
all'esterno la Coca Cola ostentava un'immagine idilliaca,
continuando a vendere e a pubblicizzare il prodotto come se fosse
altra cosa e non la causa scatenante del conflitto. Nella
pubblicità bellissimi ragazzi di tutto il mondo cantavano motivi
orecchiabili («We are the world...»), basi musicali degli slogan
felici della bibita gassata: «La chispa de la vida» («la
scintilla della vita»). E come si poteva bere un buon Cuba Libre
senza Coca Cola?
Nel febbraio del 1978 si arrivò alla firma del patto collettivo, ma
questa vittoria apparente si tramutò, in realtà, in una sconfitta.
Il terzo attentato infatti fu mortale: il 12 dicembre 1978 Pedro
Quevedo, il primo segretario del sindacato, venne assassinato.
Ignoti armati lo uccisero mentre, nella cabina del suo camion
distributore di bibite, attendeva un altro collega per scaricare la
merce. Era un chiaro segnale, ma ci fu un coraggioso che accettò di
succedere nell'incarico a Quevedo.
Si chiamava Israel Márquez e dimostrò di avere più vite di un
gatto: scampò senza un graffio ad una prima imboscata e dovette
vivere in semiclandestinità, perché gli squadroni della morte lo
braccavano per farlo fuori. Dormiva ogni sera in case diverse e in
un secondo attentato un altro compagno, di nome Moscoso, morì al
suo posto. La moglie, Gladys Castillo, rimase gravemente ferita e a
quel punto, poiché degli innocenti incominciavano a pagare per lui,
Márquez decise di andare in esilio. Gli successe Manuel López
Balam.
Il sesto attentato (Márquez ne aveva subiti due) fu messo in atto
il 5 aprile 1979. Come Márquez e Quevedo, López Balam era
l'autista di un camion. Fu sgozzato sul posto di guida e al suo
corpo furono inferte 17 coltellate. A quel punto era chiaro che
essere segretario del sindacato della Coca Cola significava
automaticamente diventare un uomo morto. Ma ci sono momenti in cui,
quando qualcuno viene chiamato a rappresentare gli altri, anche se
ciò può costare la vita, si sceglie ugualmente di accettare questo
rischio, perché il tirarsi indietro è lontano dalla propria
natura. Così Marlon Mendizábal accettò di essere eletto
successore di López Balam.
A quel punto si perse il conto degli attentati: il 1ý maggio 1980,
furono sequestrati Ricardo García e Arnulfo Gómez. Il cadavere di
Ricardo apparve poco dopo a 100 chilometri dalla capitale
orrendamente mutilato insieme a quello di Arnulfo, trovato non molto
lontano dal suo amico. Nello stesso mese, uguale sorte toccò a
René Reyes, un altro sindacalista. Il terrore ormai incombeva sui
lavoratori della fabbrica.
45 pallottole in corpo
L'attentato contro Marlon Mendizábal, il nuovo segretario del
sindacato, fu solo uno dei tanti: il 27 maggio 1980 Mendizábal
uscì dal lavoro per prendere l'autobus quando una raffica di mitra
lo crivellò sul marciapiede con 45 pallottole in corpo. Fu eletto
suo successore Mercedes Gómez. Naturalmente, anche lui aveva i
giorni contati, ma si salvò per un banale scambio di cappelli.
Gómez, infatti, aveva regalato il suo a un amico, Edgar Aldana, che
fu catturato, torturato e ucciso al suo posto. Uno scambio di
sombreri lo aveva risparmiato.
Quel giorno crudele era un sabato. Quando vennero a sapere del
rapimento di Aldana, i dirigenti sindacali a livello nazionale
decisero di riunirsi nel pomeriggio. Quello che stava succedendo
alla Coca Cola era troppo, anche se, va ricordato, il resto del
paese non se la stava passando meglio. Quel 27 maggio `80 si
riunirono i 27 membri della Confederazione nazionale del lavoro per
discutere il caso: furono sequestrati tutti, torturati e uccisi.
A quel punto, non ci fu più sindacato né della Coca Cola, né di
nessun'altra fabbrica. Era prevalsa la soluzione più radicale, la
soluzione finale. La fine del sindacato della Coca Cola, senza
contare i 27 leader nazionali, era costata 8 dirigenti morti, due
scomparsi e sei feriti, anche se bisogna ricordare anche che i
guerriglieri delle Far avevano ucciso per vendetta il capo del
personale e un militare in pensione di nome Francisco Javier Rodas.
Nel frattempo in Guatemala, ora che dicono sia tornata la
democrazia, questi delitti sono ancora impuniti. In compenso si
continua a bere la famosa bibita, la cui formula è conservata nel
più rigoroso segreto. Si dice che la Coca Cola sia capace di
sciogliere una monetina se la si immerge per una notte in un
bicchiere di questa bibita, oppure che contenga qualche misteriosa
droga. Certo fa dei bellissimi spot pubblicitari, con l'accattivante
slogan: «La scintilla della vita!». Come ironia macabra non c'è
male.
* Questa testimonianza di Dante Liano, guatemalteco, docente di
letteratura ispanoamericana all'Università Cattolica di Milano, è
stata pubblicata tre anni fa nel numero 81 di Latinoamerica che,
considerate le recenti polemiche e la smemoratezza di tanta gente,
la ripubblicherà nel numero 93 che uscirà alla fine di gennaio.
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