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GUERRA DI SUEZ, GUERRA DEI SEI GIORNI
Dopo la guerra del 1948-49, la «guerra di Suez» (1956) e la
«guerra dei sei giorni» (1967) si iscrivono nella storia del conflitto arabo-israeliano come il secondo e il terzo scontro militare. L'una e l'altra hanno luogo in un contesto internazionale diverso, caratterizzato dalla preminenza del confronto tra
gli Stati Uniti e l’ Urss e della loro egemonia nello schieramento Est-Ovest. L'Urss e i paesi dell'Est, che nello scontro del
1948-49 avevano sostenuto Israele, rivedono il loro atteggiamento e si riavvicinano allo schieramento arabo, percorso
(Algeria, Egitto, Siria) da un moto di riscossa anticoloniale e
«non allineato». Si fanno più stretti i rapporti tra Israele e gli
Stati Uniti.
Nella «guerra di Suez», tuttavia, opera piuttosto un'alleanza
raggiunta in segreto tra Tel Aviv, da un lato, Parigi e Londra,
preoccupate, rispettivamente, per gli sviluppi dell’ insurrezione algerina e per la nazionalizzazione del Canale di Suez, decisa dal presidente egiziano, Gamal Abdel Nasser, dall'altro.
Il 29 luglio, le forze dei tre Paesi sferrano contro l'Egitto una
«guerra lampo» che vede le due potenze europee impegnate in
bombardamenti aerei, mentre gli israeliani avanzano nella
Striscia di Gaza e nel Sinai e li occupano in pochi giorni. Sul
piano internazionale, però, gli equilibri non sono favorevoli
al colpo di mano. Sotto la pressione congiunta degli Stati Uniti e dell’ Urss, gli aggressori devono ritirarsi (gli anglo-americani, in dicembre, dalla zona del Canale, dove sono sbarcati, gli
israeliani nel marzo successivo, dal Sinai e da Gaza).
La «guerra dei sei giorni» si risolve invece, per Israele, in conquiste durevoli. Lo scenario è in parte diverso, perché lo scontro e preceduto da due critici mesi (aprile, maggio) nei quali si
delineano un’ alleanza militare tra Egitto, Siria e Giordania e
una pressione politica e militare su Israele, largamente percepita nella comunità internazionale come una minaccia alla
«sopravvivenza» dello Stato ebraico. La richiesta egiziana di
un allontanamento dei «caschi blu» dell'Onu dal Sinai, dove
essi stazionano nel quadro di accordi presi all’ indomani della
«guerra di Suez», il suo accoglimento e l’ invio di due divisioni
egiziane alla frontiera sembrano accreditare tale ipotesi. Ma,
una volta di più, è Israele a prendere l'iniziativa e a trasformare il confronto in guerra guerreggiata. In sei giorni, a partire
dall'annientamento di sorpresa, nelle prime ore dello scontro,
dell’ intera aviazione egiziana, gli israeliani occupano per la seconda volta il Sinai e per la prima volta i territori palestinesi a
Ovest del Giordano, annessi nel '50 al regno di Giordania. In
altri due giorni, nonostante la tregua proclamata dall'Onu e
accettata dagli Stati arabi, si impadroniscono delle alture del
Golan, territorio siriano.
Più tardi, gli stessi capi militari israeliani (il generale Rabin,
allora capo di stato maggiore, il generale Peled, capo dell'ufficio logistico delle forze armate, il generale Herzog, dei servizi
segreti, il generale Weitzman, capo dell’ ufficio operazioni, lo
stesso generale Dayan, ministro della difesa) e uomini politici
insospettabili, come il futuro primo ministro Menachem Be-
gin, leader della destra, avrebbero ammesso che la presunta
«minaccia di distruzione» era inconsistente, sia dal punto di
vista dei rapporti di forza reali, sia, con ogni probabilità, nelle
intenzioni. L’ intento di Nasser era verosimilmente quello di
sfruttare il nuovo quadro internazionale e i migliorati rapporti di forza per assicurarsi una vittoria politica e psicologica,
che gli consentisse di riaprire il dossier israelo-arabo. Il calcolo
ispiratore della campagna allarmistica era, altrettanto verosi-
milmente, quello di consolidare la protezione statunitense,
reale ma non incondizionata.
Il bottino della «guerra dei sei giorni» era importante. Per la
prima volta, Israele era entrato in possesso dell'intero territorio della Palestina originaria, Gerusalemme Est compresa. La
nuova situazione comportava tuttavia un dilemma, sul terreno della legittimità internazionale: appropriarsi definitivamente di quei territori e colonizzarli, rompendo con il «certificato di nascita» ottenuto, su basi del tutto diverse, dalle Nazioni Unite, o essere disponibili a uno scambio «pace contro territori». Il dibattito politico ha messo in evidenza, in una
prima fase, un certo possibilismo. Ma le emozioni e le percezioni scatenate dalla vittoria militare avrebbero scavato nel
profondo della società, sollecitando una mutazione che si sarebbe espressa, nel '77, con 1'avvento al potere della destra oltranzista. Dopo oltre vent’ anni di occupazione, il dilemma
non trovava ancora risposta e la popolazione palestinese dei
territori occupati si vedeva costretta a prendere in mano il
proprio destino con l'insurrezione. (v. INTIFADA)
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