Rete sprigionare su Salvatore

Il Tribunale di Sorveglianza di Roma nell’udienza del 28 novembre scorso ha respinto la proroga della "sospensione della pena per motivi di salute" nei confronti di Salvatore Ricciardi ed ha deciso il suo rientro in carcere.

Una sentenza che contraddice letteralmente e totalmente la perizia dei medici dell’Istituto di Medicina Legale, nominati dallo stesso Tribunale, i quali dopo aver sottoposto Ricciardi a tutte le analisi cliniche necessarie, hanno dichiarato nella perizia del giugno scorso - reiterata in modo identico il 14 novembre - che le condizioni post-operatorie di Ricciardi - sottoposto a sostituzione della valvola aortica con protesi meccanica - non risultano ancora stabilizzate e che lo stesso ha bisogno di controlli clinici con frequenza quindicinale presso il CENTRO TROMBOSI per instabilità della coagulazione del sangue. Il pericolo è quello di emissione di "trombi" e quindi di paralisi o decesso se non vengono rispettate condizioni di vita aliene da stress e affaticamento. Dunque condizioni cliniche che non possono consentire assolutamente il rientro in carcere di Ricciardi. Eppure la sentenza, dimostrando disprezzo per la professionalità dei medici, per le istituzioni sanitarie e per la vita di una persona, oltreché disattenzione preoccupante per lo spirito e la lettera della legge, con un atto di imperio, senza alcuna spiegazione logica, impone il rientro in carcere di Ricciardi.

Una sentenza quindi che consiglia di andare alla ricerca dei veri motivi che l’hanno ispirata: forse un ennesimo tentativo di intimidazione teso a tacitare quelle voci che vogliono pervicacemente riproporre un dibattito sugli anni ‘70 rompendo il plumbeo silenzio imposto dai "poteri forti" di questa società, riproponendo il recupero della memoria degli anni ‘70 e la liberazione dei prigionieri e delle prigioniere politici/e di quel conflitto, snodo politico e culturale importante per decidere quale futuro la gente di questo Paese si troverà di fronte nel momento in cui dovrà lottare per i propri diritti.

Una sentenza che deve essere respinta e ribaltata: perché intorno al problema carcere è in atto in questo Paese uno scontro di grande valore culturale e politico: se il carcere debba diventare un luogo aperto, trasparente e in piena comunicazione con le altre parti della società, oppure terreno di riproduzione e sviluppo delle organizzazioni mafiose e criminali, luogo di differenziazione e individualismo esasperato e quindi di clientelismo e corruzione istituzionale. La lotta dei detenuti, in particolare di quelli di Rebibbia in corso da oltre un mese, testimonia e indica con chiarezza questa alternativa. Radio Onda Rossa con poche altre ha scelto di stare su questo argomento come su altri, dalla parte della libertà dando voce ai senza voce. Non è certo dietrologia pensare che l’intimidazione che ha colpito un suo redattore voglia far tacere una voce libera in questa battaglia.

Dunque una sentenza dal significato di oscura intimidazione, un monito che vuole imporre con il terrore un silenzio omertoso sui temi passati e presenti più scottanti.

Questa sentenza deve trovare un’opposizione chiara e forte da parte di tutti/e quelli/e che ancora credono di poter lottare per una trasformazione sociale.

Roma, 18 dicembre 1997

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