Decreto Martelli 1992


Nel luglio 1992, cercando di fornire una risposta tranquillizzante al diffondersi di un senso di insicurezza nell'opinione pubblica, furono proposte e approvate delle misure restrittive che ancora oggi, con involontaria ironia, vengono ricordate come "Il decreto Martelli" in omaggio al Ministro di Grazia e Giustizia dell'epoca che negli anni successivi ha dovuto affrontare alcuni non piccoli problemi giudiziari.
Come accade troppo spesso nel nostro paese, dinanzi a fatti particolarmente drammatici, che di volta in volta rappresentano l'apice raggiunto da quei fenomeni che vengono correntemente definiti di "grande criminalità organizzata", anche in quel periodo gli uomini politici italiani si "piegarono" alle leggi della politica-spettacolo, e anzi collaborarono ad un'ignobile e forcaiola campagna di stampa che ebbe l'effetto di criminalizzare la popolazione di intere regioni meridionali.
Con notevole disinvoltura, essi "dimenticarono" quelle caratteristiche economico-sociali e politico-amministrative che sono universalmente riconosciute come le concause principali del continuo sviluppo estensivo e intensivo di quei particolari comportamenti delinquenziali che ebbero origine nei secoli scorsi nel nostro meridione. E il risultato fuche alcune misure di carattere esclusivamente repressivo vennero spacciate come il toccasana per superare uno dei problemi più importanti d'Italia, la cosiddetta "mafia".
Quanto tutto ciò fosse "fumo negli occhi" è facile capire per chi abbia la pazienza di leggere i dati annuali riguardanti il consumo e il traffico di droga, di armi, ecc.
A nostro avviso, il dramma principale della società meridionale non è la criminalità ma appunto una miscela micidiale di storici problemi di carattere economico, istituzionale e finanche culturale.
Ovviamente, noi non ci illudiamo che tutti questi problemi possano essere avviati a soluzione nel breve periodo, ma alcuni possono certamente essere affrontati in maniera diversa da come lo sono stati nel passato.
Da questo punto di vista, la responsabilità del futuro non è soltanto nelle mani delle Istituzioni, ma in primo luogo del popolo meridionale. Esso sa bene che ciò che viene definito "mafia e criminalità" è anche una conseguenza dell'incapacità e della corruzione delle strutture istituzionali e amministrative, che spesso o non hanno affrontato i problemi, lasciandoli marcire per decenni, o se li hanno affrontati li hanno paurosamente aggravati. La popolazione meridionale sa bene che è semplicemente illusorio pensare di poter fronteggiare con la repressione questa situazione, essa è cosciente che ciò che occorre non è l'esercito per le strade delle sue città, bensì un serio programma di sviluppo economico per il futuro che permetta di superare almeno alcune tra le più gravi cause sociali dei comportamenti illegali diffusi. Allo stesso tempo, c'è bisogno del coraggio politico necessario per porre fine a quel tipo di politiche nazionali, come ad esempio il proibizionismo, che hanno dimostrato il loro completo fallimento, consentendo l'espandersi del problema droga.
Ci permettiamo allora soltanto un accenno al fatto che, sul piano internazionale e nazionale, le politiche tradizionali sulla droga hanno fallito e i loro effetti sono appunto un indiscutibile aumento della produzione, del traffico e del consumo di droga. Cosi come aumenta inevitabilmente anche il potere delle organizzazioni alle quali è stato di fatto delegato il monopolio del commercio delle droghe, ponendole cosi in condizione di realizzare enormi profitti che gli permettono di "infiltrare" le istituzioni economiche, finanziarie e politiche dei vari paesi.
Noi riteniamo che a questo punto sia doveroso elaborare ed applicare finalmente una politica progressivamente liberalizzatrice che consentirebbe, in primo luogo, un azzeramento di fatto dei profitti illegali realizzati nel grande traffico internazionale, e quindi anche un azzeramento di fatto dei reati più gravi ad esso connessi, compresa la corruzione di una parte di quelle stesse forze che istituzionalmente avrebbero il compito della prevenzione.
In secondo luogo, tale politica liberalizzatrice faciliterebbe con tutta probabilità una riduzione del consumo di droghe e della tossicodipendenza, e certamente si ridurrebbero i morti per overdose, la diffusione dell'A.I.D.S., e soprattutto si renderebbero vicini allo zero tutti quei reati di cosiddetta microcriminalità connessi con lo stato di tossicodipendenza.
Al contrario di ciò, è, invece, ancora oggi predominante una visione molto gretta, che proprio non riesce a superare i limiti di una politica che ha trasformato le continue "emergenze" in un vero e proprio metodo di governo dei problemi sociali. Ed è anche questa arretrata cultura che impedisce di aprirsi ad esperienze di progressiva liberalizzazione.
Ma la recente storia italiana insegna che, se la cultura dell'emergenza non è mai risolutrice dei problemi che vorrebbe affrontare, quando essa si traduce in una pratica esclusivamente repressiva non è mai indolore neanche per i diritti individuali e collettivi. Riprova ne è anche l'andamento di certi maxi processi, e soprattutto ciò che avviene dentro quel barbaro circuito delle carceri speciali ove ancora oggi sono rinchiusi migliaia di uomini e alcune centinaia di donne.
Recuperando e aggravando le varie proposte di stampo negativo che furono avanzate nel periodo marzo-novembre del 1990, è stata di fatto cancellata la già discutibile legge "Gozzini" per una parte consistente della popolazione detenuta. E questa volta, le stesse forze che all'epoca si opposero ad alcune innovazioni restrittive, non hanno avuto neanche il coraggio di battersi contro la più macroscopica caratteristica reazionaria di tali misure: la RETROATTIVITA' nella loro applicazione, ossia la facoltà di " condannare " nuovamente persone che al momento dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni si trovavano già in galera.
Questo decreto e le successive modifiche introducono l'articolo 4 bis dell'O.P., che esclude dai benefici i condannati per alcune categorie di reati, a meno che non collaborino.
* 416 bis del codice penale (associazione di stampo mafioso);
* 630 del codice penale (sequestro di persona a scopo di estorsione);
* 74 del "testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti" (associazione non mafiosa, finalizzata al traffico illecito di stupefacenti o sostanze psicotrope).
Altre categorie sono ammesse ai benefici solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la cosiddetta criminalità organizzata. In questi casi vi sono però limitazioni particolari, ossia i permessi premio ad esempio possono essere concessi soltanto dopo l'espiazione di almeno metà della pena, e comunque di non oltre dieci anni. Il lavoro all'esterno dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena, e comunque di non oltre cinque anni, e la semilibertà dopo l'espiazione di almeno due terzi della pena.
Questo decreto, inoltre, introduce il secondo comma dell'articolo 41 bis dell'O.P., che dà al Ministro di Grazia e Giustizia la facoltà di sospendere per questi casi, in tutto o in parte, l'applicazione delle normali regole di trattamento che possono porsi in contrasto con vere o presunte " esigenze di ordine e sicurezza".
Il tipo di detenzione che risulta dall'applicazione dell'articolo 41 bis è durissimo e inaccettabile.
Questa parte della popolazione detenuta è definita a priori "irrecuperabile". In base al tipo di reato viene doppiamente criminalizzata, differenziata, esclusa ed isolata. Collaborazione e pentimento sono le condizioni per la riconquista della normalità: chi l'accetta è sincero e recuperabile, chi non l'accetta è irriducibile.
In realtà con questo trattamento si cerca di mettere in ginocchio e umiliare quei detenuti, mentre per essi quel trattamento significa concretamente spingerli verso una particolare forma di mercificazione. Nulla a che vedere quindi con "la rieducazione", "la risocializzazione", "il reinserimento" e quanto altro viene di volta in volta sbandierato come sinonimo di civiltà e progresso.
A noi sembra che il rifiuto di questo ricatto sia più che legittimo! E' legittimo il rifiuto di accettare un atteggiamento, quello della delazione, che per le più elementari regole e costumi di ogni comunità viene considerato un atto odioso e squalificante perché permette di barattare la propria libertà con quella degli altri. Qui non si vuole contestare il "cristiano" ravvedimento, ma ciò che è inaccettabile è la sua mercificazione che di "pentimento" e di "cristiano" ha ben poco.

A noi sembra siano ormai maturi i tempi affinché questo barbaro decreto venga progressivamente abolito, a partire dalla sua caratteristica più marcatamente reazionaria, qual è appunto la retroattività. Auspichiamo inoltre che già nell'immediato il nuovo Governo prenda provvedimenti per permettere anche ai detenuti sottoposti al 41bis di poter iniziare ad accedere a quel trattamento previsto dalla legge "Gozzini".



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