IL CARCERE IN ITALIA


La situazione nel XVI e XVII secolo

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La produzione manifatturiera subisce una forte contrazione nel XVII secolo, dopo un lungo periodo di espansione nel secolo precedente; le profonde differenze economiche-sociali tra nord e sud; la presenza della Chiesa cattolica e del suo potere temporale e quello di molti principati, spesso ancora a carattere feudale; tutti questi fattori impediscono l’avvio di un ampio processo di industrializzazione e di rinnovamento politico. L’Italia è caratterizzata in questo periodo dalla presenza di estesi fenomeni di vagabondaggio, brigantaggio e mendicità a causa dell’esproprio delle terre e della decadenza del sistema manifatturiero.
Nella seconda metà del XVII secolo si realizza una delle prime esperienze carcerarie moderne: a Firenze all’interno dell’Ospizio del S. Filippo Neri per giovani abbandonati viene istituita una sezione destinata fondamentalmente a giovani di buona famiglia con problemi di disadattamento. E’ il primo caso di isolamento cellulare a scopo correzionale: la sezione era infatti composta da otto cellette singole in cui i giovani erano rinchiusi in isolamento giorno e notte.

A Milano alla fine del XVII secolo vengono realizzati una "Casa di Correzione" e un "Ergastolo", nella prima vi vengono rinchiusi i colpevoli di reati minori, sono tenuti in regime di separazione cellulare; nel secondo i condannati per gravi reati; questi non vivono in isolamento (diverrà obbligatorio in seguito) e vengono utilizzati in lavori di pubblica utilità.
A Napoli è in funzione la Vicaria; vi sono rinchiusi un migliaio di prigionieri in condizioni terribili, molto al di sotto dei livelli di sopravvivenza; altrettanto aberranti sono le condizioni della Casa dei poveri, il cosidetto "Serraglio". A Roma nel 1770 viene realizzato il carcere cellulare del San Michele (prigione vaticana).
Nei secoli XVIII e XIX le trasformazioni della proprietà fondiaria e l’estensione della produzione capitalistica furono accompagnate da una forte cam-pagna di pressione fiscale che ag-gravò le condizioni della forza lavoro, sopratutto bracciantile, che in parte andò ad ingrossare il feno-meno del brigantaggio sociale. Le pene quindi si inasprirono anche contro chi in qualsiasi modo aiuta-va i "banditi". Ma chi erano questi briganti:

fuorilegge rurali ritenuti criminali dall’Autorità statale, ma che restano all’inter-no della società contadina e sono considerati dalla loro gente come eroi, campioni, vendicatori, combattenti per la giustizia, persino capi di movimenti di liberazione e comunque uomini degni di ammirazione, aiuto e appoggio. (Hobsbawm 71)

Nel 1811 in tutti i paesi italiani sottomessi alla dominazione napoleonica, viene introdotto il codice penale francese del 1810 il cui nucleo fondamentale è rappresentato dalla difesa della proprietà privata e dell’autorità dello Stato. Si diffondono anche nel nostro paese i principi della pena detentiva e del lavoro forzato. Principi che però erano già in voga nella Lombardia sotto la dominazione austriaca; è qui difatti che si sviluppano quelle speculazioni di politica criminale contenute nel famoso "Dei delitti e delle pene" (notoriamente attribuita a Cesare Beccaria, anche se molti studiosi ritengono più probabile farne risalire la paternità a Pietro Verri) molto aderenti ad una concezione liberale del diritto penale:
qui si nega alla pena una valenza di risposta morale al delitto (come era fino ad allora), la sua giustificazione non sta tanto nella sanzione verso chi ha trasgredito l’autorità ed i valori sociali dominanti, quanto nel reagire al danno inferto ai singoli ed alla collettività. Dunque la pena dev’essere retributiva e deterrente, deve colpire i diritti del reo nella misura in cui il reato ha colpito i diritti altrui.

Con la sconfitta di Napoleone e il Congresso di Vienna del 1815, anche nell’Italia della Restaurazione si ritorna all’uso di strumenti definiti barbari come la tortura, ma ciò per un breve periodo. Nel 1839 vengono approvati, in vari Stati italiani, nuovi codici penali e riforme dell’istituzione carceraria maggiormente rispondenti al momento storico di un paese che si avvia all’unificazione, ad una presenza considerevole di proletariato e sottoproletariato la cui potenzialità di ribellione alle regole della borghesia capitalistica spinge il potere statuale a realizzare una gestione del carcere di tipo terroristico-ideologico come strumento per il controllo sociale. Anche perchè la vita comunitaria tipica della manifattura ad alto impiego di forza-lavoro, aveva consentito lo sviluppo di una cultura e di una coscienza di classe che, pur se in forme ancora primitive, spezzettate e mutualistiche, favoriva il nascere di organizzazioni operaie che erano viste dalla borghesia pericolosamente destabilizzanti.


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