LE TRAPPOLE DEL PENSIERO BUNKER

di: Claudio Albertani e Tito Pulsinelli
Consolato ribelle del Messico, Brescia

1. Con la pubblicazione di un articolo di Rossana Rossanda (15 agosto), seguito da un'altro di Guillermo Almeyra (23 agosto), il Manifesto inizia un dibattito sulle idee e concezioni degli zapatisti messicani. L'iniziativa ci sembra salutare perchè, malgrado il diffuso entusiasmo suscitato dagli scritti del sub comandante Marcos, manca una discussione seria ed approfondita intorno alle idee dei ribelli messicani.

Rossanda e Almeyra intervengono entrambi in merito a un saggio di Marcos (Sette Pezzi Sparsi del Rompicapo Mondiale), scritto per l'edizione latinoamericana di Le Monde Diplomatique, ripreso in agosto dall'edizione francese del prestigioso mensile, però inspiegabilmente eliminato da quella italiana curata dal Manifesto.
É altresì vero che il quotidiano ne ha annunciato la pubblicazione come libretto allegato del giornale (in concomitanza, si spiega, con la manifestazione di Venezia contro il secessionismo), tuttavia il dibattito avrebbe guadagnato in chiarezza se si fosse pubblicato prima il testo in questione e poi le relative critiche ed i commenti.
Cosa dice Marcos nei "Sette Pezzi Sparsi"? Egli riprende ed approfondisce idee già avanzate in occasioni anteriori intorno alla globalizzazione: il neoliberismo come quarta guerra mondiale, la legalizzazione dell'economia criminale, le bombe finanziarie, la distruzione delle culture tradizionali, la resistenza e i nuovi soggetti antagonisti. Va detto che il sub comandante non mira a un pensiero sistematico, bensì propone spunti di riflessione per decifrare i rompicapi del mondo attuale.
Sono altrettanti spezzoni di quella che Pablo González Casanova, in uno scritto recente, chiama "Teoria della Selva, contro il neoliberismo e per l'umanità" (Rivista Latinoamerica, luglio 1997).

2. Rossana Rossanda non trova in tutto ciò nulla di nuovo. Al contrario, ravvisa nel testo del sub comandante i resti di vecchie griglie culturali: "Marcos: un castrista più che un guevarista", tuona con indignazione. Per Rossanda, l'Ezln non è quindi molto differente dall'FMLN salvadoregno, dai sandinisti nicaraguensi o dall'URNG guatemalteca. E neppure dall'EPR messicano. Gli zapatisti, non sono che l'ennesima riedizione di un leninismo tropicale e tardivo. Esiste nel testo di Marcos un riferimento all'affondamento del campo socialista e alla sua dissoluzione come alternativa sociale. É sufficiente per affermare che gli zapatisti aderiscano a quel modello? La teoria e la pratica dei ribelli chiapanechi dicono esattamente il contrario. Raccontano una storia di progressivo e radicale allontanamento dall'esperienza sovietica, da quella cinese, dalla cubana e da tutti i "modelli" esistenti, compresi quelli trotzkisti, anarchici o quant'altro si riferisca alle divisioni del vecchio movimento operaio.

A partire da ciò e grazie all'incontro con la cultura maya e lo zapatismo storico, i neozapatisti sono pervenuti a formulare idee originali intorno alle contraddizioni della globalizzazione, alla problematica del potere ed alla costruzione di una democrazia plurale con giustizia e dignità che, come dice González Casanova nell'articolo citato, deve andare oltre le etnie, insieme ad esse. E, soprattutto, con la loro pratica ribelle, essi hanno rimesso all'ordine del giorno la questione sociale, spazzando via la sindrome moscovita di cui pativano in molti. Tutto ciò senza dimenticare Marx, nè i suoi continuatori, ma rinunciando tuttavia a tre centralità: quella operaia, quella occidentale e quella del partito. Rossanda si scandalizza perchè, nella lista dei nuovi soggetti rivoluzionari di Marcos, i lavoratori figurano all'ultimo posto, dopo gli omosessuali, le lesbiche e i sieropositivi. Da castrista, il sub comandante si trasforma quindi in marcusiano negatore del ruolo egemone della classe operaia.

A noi pare che in questo come in altri testi neozapatisti si ripeta semplicemente che la fabbrica sociale di cui tutti noi siamo partecipi, ognuno nella specificità del proprio ruolo, possa essere negata e combattuta da ognuna delle mille parti in cui è frantumato il fronte degli sfruttati, oppressi, alienati, espropriati della dignità, o come si vogliano chiamare gli abitanti di questo pianeta di naufraghi.

In realtà, Marcos allude più volte alla rivoluzione tecnologica in atto, ed alle nuove composizioni di classe. Chi è più leninista? Il sub comandante che, marxianamente, studia le contraddizioni del capitalismo realmente esistente o Rossanda che ci ripropone vecchie ortodossie intorno al ruolo egemone dei salariati? 3. Le cose si ingarbugliano vieppiù nel caso di Almeyra in quanto non si capisce dove questi voglia andare a parare. Difesa a oltranza del marxismo-leninismo? Sua demolizione? Egli esordisce manifestando il proprio accordo con Rossanda intorno alle pretese illusioni "socialiste" del sub comandante. Subito dopo però, Almeyra ci informa che quello di Marcos è soprattutto un "pensiero anfibio", formato nel brodo del marxismo-leninismo europeo, però stagionato al calore della cultura india. La mondializzazione -continua- è molto più complicata di quanto non creda Marcos: in primo luogo non causa solo disastri (!) e poi la IV Guerra mondiale, non è in realtà una guerra, bensì una storia di ordinaria amministrazione capitalista. Le affermazioni di Almeyra fanno qui pensare a un pensiero-bunker che nessuna ribellione della realtà potrà mai "arrotondare".
Senza peccare di adulazione nei confronti del sub comandante, possiamo affermare che egli non ignora l'accumulazione originaria, nè il "funzionamento normale del capitalismo".
Tuttavia Almeyra va oltre. Egli ci informa che l'abolizione del welfare aiuta a sottrarre consenso agli stati-nazione e che la mondializzazione sopprime ostacoli ed aiuta la ripresa della lotta di classe. Invece di navigare nel "Canal Grande del marxismo" come vorrebbe, Almeyra si incaglia nei pantani del vecchio determinismo economico: il capitalismo fa tutto, anche la rivoluzione. Non sarà allora che convenga dargli una mano visto che sta generando la classe che lo affosserà?

Almeyra, rifriggendo vecchi dualismi, allude poi all'esistenza di "migliaia di movimenti autonomi" che arriveranno a conformare degli imprecisati "partiti-movimenti democratici" i quali, a loro volta, daranno vigenza a un "doppio potere che permetta di puntare a un futuro cambio del potere".
Non entriamo nel merito di tali contorsioni cerebrali, tuttavia Almeyra bacchetta anche la locuzione maya tojolabal "comandare obbedendo". "In una democrazia", ci spiega l'ineffabile professore, "nessuno comanda e nessuno obbedisce, ma tutti codirigono". Grande intuizione. Ma quale democrazia funziona così?

La formula tojolabal si riferisce alla realtà storica della democrazia indigena, fondata sul consenso e su una concezione dell'autorità come servizio piuttosto che come esercizio del potere. Nelle loro comunità l'autorità suprema è l'assemblea e i funzionari eletti "mandan obedeciendo" (comandano obbedendo), in altre parole agiscono unicamente praticando lo spirito e la lettera del mandato ricevuto. Gli zapatisti sono i primi a sottolineare come il loro modello non sia generalizzabile, ma il risultato di una situazione storica particolare. Essi rivendicano tuttavia il principio di controllo dal basso, un principio conosciuto in occidente come democrazia diretta, praticato nel corso delle rivoluzioni sconfitte del nostro secolo.
Dulcis in fundo, la recente vittoria dell'opposizione cardenista in Messico è presentata come chiave di volta per comprendere la diminuzione della pressione militare contro gli zapatisti. In primo luogo, la pressione militare non è affatto diminuita. Inoltre, le alchimie elettorali non sono automatismi che traducono in fatti la cosiddetta volontà popolare. Se è vero che in Messico, il quadro politico è in parte cambiato dopo il 6 di luglio, la situazione in Chiapas rimane purtroppo immutata nella sua drammaticità, come non si stancano di ripetere, gli stessi zapatisti, la CONAI e le organizzazioni di difesa dei diritti umani.

4. Da parte nostra osserviamo come, nel caso europeo, i governi di sinistra non si siano finora discostati granché da quelli conservatori nell'applicazione entusiasta dei dogmi neoliberali sul taglio alle spese sociali e il finanziamento alle imprese. In Italia, per esempio, l'Ulivo sovvenziona la multinazionale FIAT.
Dopo aver fallito l'operazione di dare un volto umano al socialismo, la sinistra istituzionale sembra oggi impegnata in un'operazione di chirurgia plastica per abbellire il ghigno neoliberale.

L'unica strategia per opporsi al capitale nella fase attuale è partire dall'autoorganizzazione per la difesa immediata di interessi primari, specifici, locali e coniugarli poi con una difesa dei diritti umani, dei diritti dei popoli originari e della natura in una logica di inclusione che porti ad estendere e radicalizzare le lotte esistenti. É ciò che qualcuno ha chiamato globalizzazione dal basso. I lavoratori salariati sono anch'essi parte di questo grande fiume ribelle, come si è visto l'anno scorso con i portuali di Liverpool o quest'anno in Corea e nel recente sciopero di carattere offensivo - e non semplicemente difensivo - dell'UPS negli Usa. Questo è oggi il movimento reale che si oppone al neoliberismo e tende a sopprimere lo stato di cose presenti. Auspichiamo che il dibattito continui e si estenda alle realtà di base e di movimento.

Brescia, 28 agosto 1997


Chiapas Home Page TM Crew Home Page
Any contact and suggestions to tmcrew@mail.nexus.it
TM Crew c/o Radio Onda Rossa - Via dei Volsci 56, 00185 Roma (Italy)
Tel. + 39 6 491750/4469102 Fax. + 39 6 4463616