Mi arrischio a pensare che non è fallita l'imboscata che hanno teso nel
municipio di Tila ai vescovi di San Cristóbal di Las Casas, Samuel Ruiz
García e Raúl Vera López. Se coloro che li attendevano si fossero proposti
di eliminarli, lo avrebbero fatto: svuotare due o tre caricatori per ogni
arma sarebbe stato sufficiente per eliminare sia i vescovi che i loro
accompagnatori. Però quelli che hanno teso l'imboscata non si proponevano di
eliminarli, si proponevano solo di mandare con chiarezza un segnale, un
avvertimento.
Non dobbiamo ora sbagliarci sulla natura di questo segnale e di questo
avvertimento. Non dobbiamo sottovalutare la sua dimensione nè ridurre le sue
implicazioni. I consiglieri della Presidenza e del Ministero degli Interni
devono svegliarsi dalla loro sonnolenza ed aiutare il Potere affinché
intenda che il segnale è per lui. Che non è il momento di credere che un
attentato cerchi solo di spaventare i vescovi e di colpire la loro forza
d'intermediazione nel negoziato per la pace. Che non è il momento di
affermare che il Chiapas del 1994 è sparito e che quei conflitti competono
solo alle loro minuscole regioni.
È il momento di riconoscere l'irresponsabilità con cui il Potere sta
attuando in Chiapas puntando alla stanchezza e non alla soluzione politica.
Mantenere l'accerchiamento militare nella selva e favorire le lotte
interetniche nel nord dello stato è una buona mescolanza d'ingredienti
esplosivi che può solo provocare una violenza maggiore. Il Potere non deve
rimanere così cieco e sordo di fronte ai segnali ed al rumore che la morte
sta producendo. Questa imboscata è stata un grave episodio all'interno del
crescente progresso della violenza che nel nord del Chiapas non è già più
controllata nè dal governo dello stato nè dai suoi corpi di polizia, però al
suo inizio è stata proprio incoraggiata, autorizzata e permessa da loro.
Le lotte interetniche che sono incarnate da gruppi come Paz e Justicia o i
Chinchulines costituiscono un procedimento perfezionato molto tempo fa in
Chiapas e che ora si sta impiegando un'altra volta.
Se l'imboscata si fosse riproposta non d'inviare un segnale, ma solo di
consumare l'aggressione, le conseguenze sociali e politiche nel paese
sarebbero state totalmente diverse da quelle che hanno seguito gli omicidi
politici del cardinale Juan Jesús Posadas Ocampo, o di Luis Donaldo Colosio
o di José Francisco Ruiz Massieu. È tempo che il Potere intenda che la
ricerca della pace in Chiapas non può essere responsabilità solamente della
Conai. È, invece soprattutto, responsabilità proprio dello stesso Potere.
Il Potere ha ancora l'opportunità di vedere in Chiapas un segnale, una luce
rossa d'allarme. Se l'imboscata avesse avuto altri propositi, il Potere
starebbe già vedendo (e con lui l'intero paese) non una luce, ma invece un
incendio. E in questo incendio brucerebbe pure il Potere, soffocherebbe pure
lui. È ora che si svegli e che inizi a farsi l'idea che il conflitto del
Chiapas non solamente è del Chiapas. Che negoziare la pace non è cedere nè
perdere; che la pace ora è un problema centrale per il paese, non un
negoziato congiunturale fra piccoli gruppi di un potere di partito che si
sta estinguendo.
(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)
La violenza di una imboscata di solito è letale. In una qualsivoglia vallata
del Chiapas o del Guerrero un'imboscata non è un incidente, non è un
imprevisto e nemmeno è cieca. L'imboscata è una forza che sta sempre allerta
e che attua con precisione. Se la preda che si sta aspettando è un gruppo
armato, quelli che hanno preparato l'imboscata sono i primi a sparare,
perché l'attacco di sorpresa diventa un'arma infallibile. Ma se il gruppo
che s'avvicina è disarmato non avrà nessuna possibilità di sopravvivere.