Archivio Web Noam Chomsky
Anno 501 la conquista continua (indice)


PARTE PRIMA.
VINO VECCHIO IN BOTTIGLIE NUOVE.


Capitolo 3.
NORD-SUD / EST-OVEST.

2. ALLA RICERCA DI UN NEMICO.

Quando la Russia assorbiva i colpi degli eserciti nazisti, allora Stalin veniva descritto come un alleato, l'ammirato 'zio Joe'; ma sempre relativamente. La strategia di Roosevelt durante la guerra, come egli stesso confidò privatamente a suo figlio, prevedeva che gli Usa rimanessero 'di riserva', in attesa che i russi si dissanguassero nei combattimenti contro i nazisti, per poi intervenire e dar loro il colpo di grazia. Secondo un eminente studioso di Roosevelt, Warren Kimball, "l'aiuto all'Unione Sovietica divenne una priorità presidenziale" nella convinzione che le vittorie dell'Armata Rossa avrebbero permesso al Presidente di tenere i soldati americani fuori dai combattimenti di terra in Europa. Truman andò oltre. Quando la Germania aggredì l'Unione Sovietica nel 1941, osservò: "Se vediamo che vince la Germania dovremo aiutare i russi e se vince la Russia dovremo aiutare i tedeschi, così che si uccidano tra loro quanto più possibile". Su questa linea, nel 1943, i comandi Usa in Italia cominciarono a reinsediare ai loro posti i collaboratori e simpatizzanti fascisti nei territori che man mano liberavano, convinti che una certa tolleranza verso il fascismo poteva costituire un ostacolo a dei mutamenti sociali radicali. Del resto prima della guerra, e persino nel corso delle ostilità, il tema di una possibile aggressione sovietica non fu certo all'ordine del giorno (5).

L'emergere del problema costituito dalla 'mela marcia' sovietica portò a delle strane contorsioni politiche. In un importante studio del luglio del 1945, trasmesso dal ministro della Guerra Stimson al segretario di Stato, gli analisti militari cercarono di mettere in buona luce la decisione Usa di assumere il controllo del mondo e di circondare militarmente la Russia, negandole ogni diritto al di fuori delle sue frontiere. Gli esperti americani ammettevano che sarebbe potuto sembrare illogico "pretendere un controllo militare unilaterale da parte degli Usa o della Gran Bretagna su Panama o Gibilterra, negandone allo stesso tempo uno analogo alla Russia sui Dardanelli", soprattutto perché questi erano per la Russia l'unico sbocco sul Mediterraneo. Ma allo stesso tempo sostennero che tale critica non era plausibile: il piano Usa costituiva in realtà una 'illogicità logica' in quanto in "nessun modo" si poteva pensare che Washington e Londra avessero "ambizioni espansioniste o aggressive", mentre la Russia:

"Non ha ancora dato prova di essere completamente priva di mire espansionistiche... E' inestricabilmente, quasi misticamente, legata all'ideologia del comunismo che, almeno in apparenza, si può associare ad una marea, montante in tutto il mondo, di uomini qualunque che aspirano ad orizzonti migliori e più vasti. Per l'Urss deve essere sicuramente una grande tentazione l'unire forza militare e ideologia, ed estendere la sua influenza su tutta la Terra. Le sue azioni negli ultimi anni non ci danno motivi per non ritenere che essa abbia accarezzato quest'idea".

In breve, spettava ai russi l'onere di provare che non si sarebbero mai mischiati alla 'moltitudine di canaglie' che 'aspira ad orizzonti migliori e più vasti', ai "poveri che hanno sempre voluto saccheggiare i ricchi" (Dulles). Quindi, in attesa che ciò avvenisse, era logico che uomini saggi, non usi a frequentare criminali inclini al saccheggio ed a soffermarsi su pensieri sovversivi quale il desiderio di un futuro migliore, dominassero da soli il mondo. La Russia doveva dimostrare di non essere un pericolo potenziale "per la stessa sopravvivenza dell'ordine capitalistico" (Gaddis). E solo quando avesse ufficialmente accettato il principio che gli 'uomini ricchi' di cui parlava Churchill devono regnare ovunque incontrastati allora, forse, avrebbe avuto il permesso di entrare dalla porta di servizio.

La nozione di 'illogicità logica' è un altro utile e diffuso strumento del bagaglio ideologico dell'intellettuale del sistema.

Durante il mese che precedette la stesura di quel documento William Donovan, il direttore dell'O.S.S. (il servizio segreto che si trasformò poi nella Cia), sottolineò la gravità del 'pericolo sovietico'. In un'Europa "tormentata dalla guerra ed ovunque in miseria", avvertiva, i sovietici "hanno un asso nella manica, la filosofia proletaria del comunismo". Gli Usa ed i loro alleati non hanno invece "alcuna filosofia politica o sociale altrettanto dinamica o allettante". Come abbiamo visto, Eisenhower e Dulles si sarebbero lamentati dello stesso problema dieci anni dopo (e lo stesso sarebbe successo poi in Indocina) (6).

Argomentazioni del genere, risalenti al 1945 ed elaborate secondo la logica del conflitto Nord-Sud, sono riecheggiate per tutto il periodo della guerra fredda. Ragionamenti assai simili sono stati spesso applicati anche sul fronte interno, per esempio dopo la Prima guerra mondiale, quando "non si potevano fare sottili distinzioni tra gli ideali dei radicali e le concrete violazioni delle nostre leggi nazionali" e "non c'era tempo da perdere in cavilli sulle violazioni della libertà" (il procuratore generale Palmer ed il "Washington Post", nel periodo del 'pericolo rosso' agitato dall'amministrazione Wilson). La stessa dottrina fu invocata del resto nel 1986 per giustificare il bombardamento delle città libiche definito dal governo, con il plauso dei devoti sostenitori del diritto internazionale, come una forma di "autodifesa contro future aggressioni" (7).
Non possono essere tollerati "pericoli chiari ed imminenti", anche se in realtà si tratta di una chiarezza piuttosto oscura e di una minaccia assai remota.
La logica è semplice: gli uomini ricchi dominano di diritto il mondo che appartiene loro, e non ci si può aspettare che tollerino potenziali reati contro la 'stabilità'. Il pericolo deve essere eliminato immediatamente sul nascere. Se poi si materializza, si ha la legittimità di fare tutto il necessario per rimettere le cose a posto.

Del resto non erano certo i delitti di Stalin a preoccupare i leader occidentali. Truman scrisse nel suo diario: "Con Stalin posso trattare", perché è "onesto - anche se furbo come una volpe". E molti altri erano d'accordo, tra cui Eisenhower, Leahy, Harriman e Byrnes. Truman, da parte sua, arrivò a dire che quello che succedeva in Russia non lo riguardava. Anzi pensava che la morte di Stalin sarebbe stata una "vera catastrofe". Ma questa sorta di cooperazione, come ebbe modo di chiarire lo stesso Truman, era condizionata dal fatto che gli Usa dovevano averla vinta nell'85% dei casi. Melvyn Leffler - che ha studiato attentamente quel periodo e che ha molto rispetto per le imprese e la lungimiranza dei leader del dopoguerra - rileva che in fondo "Truman aveva simpatia per" Stalin. E sottolinea come nei documenti del tempo manchi qualsiasi "senso di vera compassione e/o di fervore morale". "Questi uomini si preoccupavano essenzialmente del potere e dei loro interessi, non delle persone reali che si trovavano davanti ai drammatici problemi di un mondo che aveva appena attraversato quindici anni di sofferenze economiche, di terrore stalinista e di genocidio nazista" (8).

La vera preoccupazione degli Usa non era costituita dai tremendi crimini di Stalin, ma dagli evidenti successi da lui ottenuti nello sviluppo del paese, dalla loro grande forza d'attrazione per gli altri popoli e dall'eventualità che i russi potessero 'accarezzare l'idea' di dare sostegno alle 'aspirazioni

dell'uomo comune' in Occidente, come anche alle popolazioni soggiogate ed oppresse in tutto il mondo. A queste preoccupazioni si aggiungeva anche quella relativa al rifiuto dell'Europa Orientale di riprendere il suo ruolo tradizionale di fornitrice di generi alimentari e materie prime all'Occidente. Il vero problema per gli Usa non è costituito tanto dai reati commessi da questo o quel leader, come dimostrato da quel che è avvenuto con personaggi come Mussolini, Hitler, Stalin per finire con Saddam Hussein, quanto dall'insubordinazione agli ordini di Washington.

Anche se i politici americani non prevedevano un attacco sovietico all'Occidente, erano preoccupati per la potenza militare dell'Urss soprattutto in vista di una possibile reazione sovietica alla conquista del mondo da parte degli Usa, visto che Mosca non accettava la 'logica' della nostra 'illogicità'. Dal punto di vista dell'Urss, particolarmente inquietante era la ricostruzione ed il riarmo della Germania e del Giappone, due suoi tradizionali e potenti nemici, e la loro integrazione in un sistema di potere come quello degli Usa, che si proponeva di debellare il 'virus' sovietico. I dirigenti americani capivano perfettamente quanto questi sviluppi fossero pericolosi per la sicurezza sovietica, e temevano quindi una reazione di Mosca.

In secondo luogo, l'esistenza della potenza sovietica costituiva un deterrente al libero uso della violenza da parte di Washington per costringere la 'periferia' ad adempiere alle funzioni assegnatele. Inoltre il Cremlino, per rafforzare le sue posizioni, spesso sosteneva le vittime delle attività destabilizzanti degli Usa, cercando di ottenerne il massimo vantaggio. L'esistenza stessa del potere sovietico come contrappeso alla potenza americana creava quindi nel Sud un certo spazio di manovra e aprì la strada al fenomeno del 'non allineamento' che, temevano i dirigenti Usa, avrebbe sottratto al controllo dell'Occidente quei domini necessari al mantenimento dei privilegi e del potere dei paesi industrializzati. Sfruttando questi spiragli, i leader del Terzo Mondo tentarono di ritagliarsi un ruolo indipendente negli affari internazionali. Negli anni '60 l'Onu, che precedentemente era stata un docile strumento degli Usa e quindi molto osannata, cadde sotto la 'tirannia della maggioranza'. L'aumentata influenza alle Nazioni Unite assunta dagli 'elementi immeritevoli' spinse gli Usa a compiere intensi sforzi per distruggere l'allora incontrollabile Onu; tali tentativi proseguirono in seguito sotto varie forme, nonostante l'Onu fosse tornata infine, di nuovo, sotto il controllo statunitense (9).

In breve, l'Urss non solo era colpevole di ultranazionalismo e, con l'effetto mela marcia, minacciava la 'stabilità', ma si macchiava anche di un altro delitto: ostacolava i piani americani ed aiutava le vittime degli Usa a resistere. Un affronto intollerabile che pochi nel Sud hanno osare fare a Washington, con l'eccezione di Cuba che riuscì con il suo intervento a bloccare l'aggressione sudafricana, appoggiata dagli Usa, all'Angola. Quindi non poteva esserci nessun accordo, nessuna distensione. Persino quando l'Unione Sovietica stava ormai crollando, durante gli anni '80, la richiesta rivolta dalla 'stampa liberale' al 'nuovo pensiero' di Gorbaciov fu quella di lasciare libero il passo alla violenza americana; altrimenti, i suoi gesti sarebbero stati non solo privi di significato, ma anzi visti come una nuova sottile forma di aggressività comunista (10).

Per questi motivi, gli Usa non avevano alcun interesse ad uscire dalla guerra fredda, a meno di una completa sottomissione dell'Urss. Anche se i documenti sovietici non sono disponibili, e quindi possiamo solamente ipotizzare il punto di vista dell'Urss, quel che sappiamo ci fa pensare che Stalin ed i suoi successori avrebbero acconsentito ad assumere un ruolo secondario in un sistema mondiale dominato dagli Usa, gestendo la loro torre d'avorio senza ingerenze esterne e cooperando nei tentativi comuni di mantenere la 'stabilità' globale, come fecero negli anni '30, quando i loro eserciti si distinsero negli attacchi alla rivoluzione sociale e popolare in Spagna.

Il punto di vista di Washington fu invece formulato chiaramente nel maggio del 1949 dal segretario di Stato Dean Acheson, nel corso di una riunione della Commissione Esteri del Senato dedicata alla posizione negoziale Usa sulla Germania, alla vigilia dell'incontro dei ministri degli esteri delle potenze vincitrici. L'atteggiamento di Acheson era "così intransigente", scrive Leffler, che i membri della Commissione rimasero "attoniti". Rispondendo alle preoccupazioni di Arthur Vandenberg, secondo il quale in quel modo si sarebbe istituzionalizzata una guerra fredda permanente, Acheson disse che obiettivo degli Usa non era affatto di evitarla, ma piuttosto di consolidare il potere dell'Occidente, naturalmente sotto il controllo americano. "Quando il senatore Claude Pepper esortò Acheson a considerare la possibilità di trattare correttamente i sovietici", egli "scartò con sprezzo l'idea" informando la Commissione che "occorreva inglobare la potenza tedesca nell'Europa Occidentale, dando vita ad una fiorente società che sarebbe servita da calamita ai paesi dell'Europa dell'Est, satelliti del Cremlino"; il risultato sarebbe stato non solo quello di destabilizzare il potere sovietico ma anche di ristabilire con l'Est rapporti quasi coloniali. Quando, come prevedibile, l'incontro dei ministri degli esteri fallì, "Acheson era esultante", continua Leffler. I sovietici "sono di nuovo sulla difensiva", dichiarò il segretario di Stato americano: "Sono visibilmente preoccupati e temono di aver perso la Germania" (11).

Nel 1949, come abbiamo visto, l'evidente interesse sovietico nel trovare un accordo pacifico sull'Europa era sentito non come un'opportunità ma come una minaccia alla 'sicurezza nazionale' degli Usa, da scongiurare attraverso la formazione della Nato. Per le stesse ragioni, gli Usa non presero mai in considerazione le proposte di Stalin per una Germania unita e smilitarizzata con elezioni libere da tenersi nel 1952, e non risposero all'appello di Krusciov per un disarmo bilaterale in seguito ai suoi drastici tagli alle forze militari sovietiche nel periodo 1961-1963 (cosa assai nota all'amministrazione Kennedy, ma scartata come irrilevante). Alla vigilia della sua elezione, Kennedy aveva scritto che la Russia voleva conquistare l'Europa "indirettamente assumendo il controllo della periferia [del mondo, N.d.C.] ricca di materie prime"; il solito riferimento al sostegno sovietico ai paesi non allineati e neutrali. Persino i tentativi di Gorbaciov di uscire dalla guerra fredda alla metà degli anni '80 (con riduzioni unilaterali degli armamenti e le proposte di mettere al bando i test nucleari, di abolire i patti militari e di ritirare le flotte navali dal Mediterraneo) furono ignorati dagli Usa. La riduzione delle tensioni ha poco valore per Washington, se non comporta il ritorno dei miscredenti al loro ruolo di servitori del Nord (12).

L'Unione Sovietica, pur rimanendo sempre molto indietro rispetto all'Occidente, aveva raggiunto l'apice della sua potenza verso la fine degli anni '50. Successivamente, rivela una ricerca del 1980 del "Center for Defense Information" sull'influenza russa nei vari paesi a partire dalla Seconda guerra mondiale, il potere sovietico era andato declinando sino al punto che, nel 1979, "i sovietici influenzavano solo il 6% della popolazione della Terra e solo il 5% del Prodotto nazionale lordo (P.N.L.) mondiale, Urss esclusa". Dalla metà degli anni '60, l'economia dell'Urss entrò in una fase di stagnazione o piuttosto di declino; a ciò si accompagnò anche una grave crisi dell'edilizia abitativa, del commercio e delle aspettative di vita, mentre la mortalità infantile aumentò di un 30% tra il 1970 ed il 1975 (13).

L'estrema vulnerabilità sovietica era già emersa con la crisi dei missili a Cuba del 1962 ed aveva portato ad un notevole aumento delle spese militari dell'Urss, stabilizzatesi solo verso la fine degli anni '70. Allora l'economia era visibilmente in una fase di stagnazione e la nomenclatura non riusciva a controllare la crescente dissidenza. Alla base della crisi vi era il fatto che l''economia di comando' aveva sì portato avanti uno sviluppo industriale di base ma era incapace di progredire a livelli più avanzati e soffriva inoltre per la recessione mondiale che aveva devastato gran parte del Sud del mondo. Negli anni '80 il sistema sovietico arrivò al collasso, ed i paesi del centro, che erano sempre stati molto più ricchi e più potenti, 'vinsero la guerra fredda'. Gran parte dell'impero sovietico probabilmente ritornerà ora al suo tradizionale status di Terzo Mondo, mentre l'antica classe privilegiata del partito comunista (la nomenclatura) assumerà il ruolo tipico delle élite del Sud legate agli interessi internazionali degli affari e della finanza (14).

Una relazione della Banca Mondiale del 1990 così spiega questo risultato: "L'Unione Sovietica e la Repubblica Popolare della Cina sono state, fino a poco tempo fa, tra gli esempi più importanti di paesi che hanno registrato un certo successo staccandosi deliberatamente dall'economia globale", e facendo affidamento sulle loro "vaste dimensioni" per rendere "lo sviluppo interno più fattibile di quanto non sia stato in altri stati", ma "alla fine hanno deciso di cambiare politica e di assumere un ruolo più attivo nell'economia mondiale". In altre parole le loro 'vaste dimensioni' avrebbero dato a quei paesi la possibilità di sopravvivere al rifiuto occidentale di ammetterli nell'economia internazionale se non in una posizione totalmente subordinata al Nord, definita con quel 'assumere un ruolo più attivo nell'economia mondiale' alle condizioni poste al Sud dai padroni del mondo (15).

Durante tutti questi anni, si sono moltiplicati gli sforzi per presentare l'Unione Sovietica come un gigante sul punto di sopraffare gli Stati Uniti. Il documento più importante della guerra fredda, la direttiva 68 del Consiglio per la Sicurezza Nazionale dell'aprile del 1950, cercò ad esempio di nascondere la debolezza sovietica, che emergeva chiarissima dalle analisi degli esperti, per dare la più comoda immagine di uno "stato schiavista" che perseguiva il suo "implacabile obiettivo" di assumere "un potere assoluto" sul mondo, e la cui strada era sbarrata unicamente dagli Stati Uniti, di cui era nota l'immensa nobiltà e perfezione. Il pericolo sovietico era così tremendo che i cittadini americani avrebbero dovuto accettare "la necessità di una giusta repressione", indispensabile caratteristica della "vita democratica". La popolazione doveva quindi sopportare "grossi sacrifici e disciplina", incluso un duro controllo sociale ed il dirottamento dei fondi pubblici destinati all'assistenza sociale verso i settori della "difesa e degli aiuti all'estero" (cioè, sussidi all'industria avanzata ed alla promozione delle esportazioni). In un libro del 1948 il liberale Cord Meyer, un'influente figura della Cia, scrisse che se i sindacati non avessero volontariamente accettato di limitare il ricorso allo sciopero, il governo avrebbe dovuto negare tale diritto viste le superiori "priorità della difesa" del paese. Inoltre, "i cittadini degli Stati Uniti dovranno assuefarsi all'onnipresenza dei potenti servizi segreti necessaria per evitare atti di sabotaggio e di spionaggio". Come ai tempi di Wilson, i metodi fascisti sono necessari per difendersi contro le minacce alla 'stabilità'.

Nel corso degli anni '80, chiunque stesse con gli occhi aperti non poteva ignorare l'evidente "perdita d'egemonia ed il relativo declino economico" delle due superpotenze, "mentre il sistema bipolare del dopoguerra si stava lentamente evolvendo in qualcosa di più complesso" e stava così tramontando quel "sistema della guerra fredda che era stato tanto utile a tutte e due le superpotenze in quanto strumento per controllare i propri alleati e per ottenere un certo consenso a favore degli odiosi, e spesso costosi, metodi usati per imporre 'ordine e stabilità' nei rispettivi domini". Del resto non vi era alcun dubbio sui reali rapporti di forza tra Usa ed Urss, come ben sapevano analisti più seri. Ma, nonostante ciò, quegli anni furono segnati da una crescente isteria per la gigantesca potenza di un sempre più forte sistema sovietico che abbracciava tutto il mondo, sfidava gli Usa e persino ne minacciava la sopravvivenza, stabilendo i suoi capisaldi in Cambogia, Nicaragua, Mozambico ed altri importanti centri strategici (16).

Questi sforzi monomaniacali erano affiancati dalle più sfrenate fantasie sulle spese militari sovietiche. Eppure, per crederci, bisognava proprio essere ingenui, se le stesse cifre pubblicate dal Pentagono nel 1982 dimostravano che le spese militari della Nato (inclusi gli Usa, non certo minacciati da nessuno) tra il 1971 ed il 1980 avevano già superato quelle del Patto di Varsavia (compresa l'Urss, che aveva dispiegato gran parte delle sue forze sulla frontiera con l'agguerrita ed ostile Cina) di ben 250 miliardi di dollari. Senza considerare che queste cifre, come sostiene da alcuni anni a questa parte l'economista Franklyn Holtzman, non sono precise e tendono ad esagerare di molto la forza sovietica. Dopo un'adeguata rettifica, esse rivelano una differenza a favore della Nato di circa 700 miliardi di dollari durante gli anni '70. L'aumento delle spese militari sotto Carter, perseguito ed incrementato da Reagan, e le pressioni sui paesi Nato perché facessero altrettanto, erano "in parte basate su errate valutazioni di un costante aumento nel ritmo di crescita della spesa militare sovietica", osserva Raymond Garthoff, ricordando poi che "'il continuo riarmo' sovietico era frutto più delle errate stime americane che - come molti pretendevano durante gli ultimi anni di Carter - delle 'preoccupanti intenzioni sovietiche'". In effetti "il vantaggio americano nel campo delle bombe e delle testate nucleari strategiche tra il 1970 e il 1980 era aumentato". Holtzman dimostra poi che quegli errori di calcolo dipendevano da "deliberate distorsioni [della Cia]", operate a partire dalla fine degli anni '70 in seguito ad intense pressioni politiche (17).

Esagerare la forza del nemico è una costante del conflitto Nord-Sud; allo stesso modo, in quegli anni, si sentiva dire che i sandinisti stavano per marciare sul Texas, che perfino Grenada era un pericolo per gli Usa, in quanto "si trovava in una posizione strategica" dalla quale, "come sanno bene i cubani", era possibile minacciare gli interessi petroliferi americani (Robert Leiken). Una prassi, questa, antecedente alla guerra fredda. John Thompson, esaminando la "consuetudine" Usa di "esagerare la propria vulnerabilità", ricorda come "già nel penultimo decennio dell'800 i fautori dell'istituzione di una nuova marina militare fossero soliti denunciare una presunta minaccia cilena". Per non parlare di quelle 'orde miste di indiani fuorilegge e di negri' che, con la loro minaccia, ci costrinsero a conquistare la Florida per poterci meglio difendere e di tanti altri esempi, ancor più indietro nel tempo, sin dall'epoca coloniale (18).

L'obiettivo è palese. I manager della cultura devono avere sottomano gli strumenti del mestiere per poter operare le loro falsificazioni. E, a parte i più cinici, i politici devono potersi convincere della giustizia delle azioni, spesso mostruose, che pianificano ed attuano. I possibili pretesti sono solo due: l'autodifesa e l'umanitarismo. Non bisogna pensare che l'uso di tali strumenti sia solo frutto dell'inganno o dell'opportunismo, anche se a volte lo è. In realtà non vi è nulla di più facile che convincersi della giustezza di azioni e politiche utili ai propri interessi. In particolare, devono essere considerate con molta cautela tutte le motivazioni umanitarie: possono essere prese sul serio solo quando le politiche invocate sono contrarie all'interesse di chi le sostiene, una casistica storica praticamente inesistente.

Nel caso della guerra fredda, vi è stato poi un altro elemento che forse ha contribuito ad estendere l'incisività del sistema della disinformazione al di fuori degli ambiti tradizionali: si trattò della stessa propaganda sovietica che presentava l'Urss come un'enorme superpotenza in marcia verso un futuro ancora più grandioso. Quando i due maggiori sistemi mondiali di propaganda si trovano d'accordo su qualche punto, per quanto fantasioso esso sia, non è facile sfuggire alla loro presa.

Un esempio illuminante è costituito dalla diffusa idea che la guerra fredda fosse una lotta tra capitalismo e socialismo. L'Unione Sovietica, dal 1917 in poi, non è stata certo più vicina al socialismo di quanto gli Usa ed i loro alleati lo siano stati al capitalismo ma, ancora una volta, i due maggiori sistemi di propaganda del mondo hanno avuto un interesse comune a sostenere il contrario: l'Occidente per diffamare il socialismo associandolo alla 'tirannia leninista' e l'Urss per ottenere un certo prestigio associandosi agli ideali del socialismo - ideali la cui forza d'attrazione era notevole e diffusa. "Credo che il socialismo sia la più importante teoria mai elaborata, e sono sicuro che un giorno dominerà il mondo", disse Andrew Carnegie al "New York Times" e, quando ciò avverrà, "avremo raggiunto il millennio". Fino ad oggi, quasi la metà della popolazione trova che la frase "da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni" sia una verità così evidente da potersi attribuire alla Costituzione Usa, un testo largamente sconosciuto, ma universalmente inteso come l'equivalente della Sacra Scrittura. L'assurda associazione della tirannia bolscevica alla libertà socialista venne sicuramente rinforzata dall'accordo tra i due maggiori sistemi dottrinali del mondo, anche se per gli intellettuali l'attrazione della deviazione leninista dalla tradizione socialista aveva radici ancor più profonde (19).

All'inizio degli anni '80 cominciò però a diventare impossibile sostenere il mito illusorio della potenza sovietica, ed alcuni anni dopo non se ne parlò più.


Note:

N. 5. Chomsky, "Deterring Democracy", cap. 11. F.D.R., Zeman, "Communist Europe", 172n. Kimball, "Juggler", p. 34. Truman, Garthoff, "Détente", p. 6, citazione del "New York Times", 24 giugno 1941.
N. 6. Leffler, "Preponderance", p. 78. Per l'Indocina, vedi Chomsky, "Rethinking Camelot".
N. 7. Sul 'terrore rosso', Chomsky, "Necessary Illusions", 185n., 272n.; sulla Libia, "Pirates and Emperors", cap. 3.
N. 8 Leffler, "Preponderance", p. 58-9, 15.
N. 9. Leffler dà un resoconto dettagliato e piuttosto 'comprensivo' dei timori e delle loro ragioni. Sull'Onu, vedi riferimenti della nota 10, cap. 2.
N. 10. Chomsky, "Deterring Democracy", p. 103.
N. 11. Leffler, "Preponderance", p. 284-5.
N. 12. Chomsky, "Deterring Democracy", cap. 1. Le mosse di Krusciov furono rivelate da Raymond Garthoff, "International Security", primavera 1990, come un "interessante precedente" di quelle di Gorbaciov, vedi p. 365. Kennedy, "Strategy of Peace", p. 5 (citato in Leacock, "Requiem", p. 7).
N. 13. "Defense Monitor", gennaio 1980. Zeman, "Communist Europe", p. 267-268.
N. 14 Vedi Charles S. Maier, "Why Did Communism Collapse in 1989?", Program on Central and Eastern Europe, Working Paper Series # 7, gennaio 1991
N. 15. Dichiarazione della Banca Mondiale pubblicata in "Tr¢caire Development Review", op. cit., cap. 2, nota 46.
N. 16. Citazioni in Chomsky, "Towards a New Cold War", p. 3, 204. Sulla direttiva N. 68 del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, vedi Chomsky, "Deterring Democracy", cap. 1.1. Meyer, citato in Pisani, "CIA", dal suo "Peace or Anarchy".
N. 17. Holzman, "Challenge", maggio-giugno 1992. Garthoff, "Détente", p. 793-800. In un'aggiunta dell'11 giugno 1992, Holzman nota che una Commissione d'inchiesta di 5 economisti formata dall'House Permanent Select Committee on Intelligence trovò i medesimi problemi tecnici e non fu in grado di ottenere spiegazioni soddisfacenti durante gli incontri personali con gli analisti responsabili della CIA, trovando che mancavano di "sincerità".
N. 18. Leiken, "Foreign Policy", primavera 1981; citato in Schoultz, "National Security", un'utile analisi sulle allucinazioni dei pianificatori, sulla cui veridicità si può solo congetturare. Per ulteriori discussioni, vedi Chomsky, "Deterring Democracy", cap. 3.6. Thompson, "Diplomatic History", inverno 1992.
N. 19. Carnegie, citato in Krause, "Homestead", p. 235. Sondaggio del 1987 citato in Lobel, "Less than Perfect", p. 3. Vedi Chomsky, "American Power and the New Mandarins", cap. 1; 'Intellectuals and the State', ristampato in "Towards a New Cold War".


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