Archivio Web Noam Chomsky
Anno 501 la conquista continua (indice)


PARTE PRIMA.
VINO VECCHIO IN BOTTIGLIE NUOVE.


Capitolo 2.
I CONFINI DELL'ORDINE MONDIALE.

6. LA NUOVA ERA IMPERIALE.

Alle volte i governanti ed i loro ideologi presentano la realtà con ammirevole schiettezza. Il "Financial Times" di Londra ha così titolato un importante articolo dell'esperto economico del "B.B.C. World Service", James Morgan: "La caduta del blocco sovietico ha lasciato il Fondo Monetario Internazionale ed i G7 a governare il mondo e a creare una nuova era imperiale". Possiamo, alla fine, avvicinarci alla realizzazione della visione di Churchill, senza essere più turbati dalle "nazioni affamate" che "chiedono di più" e quindi compromettono la tranquillità dei ricchi che governano per diritto.

Secondo questo schema, "la costruzione di un nuovo sistema mondiale è coordinata dal gruppo dei 7 [paesi più industrializzati, N.d.C.], dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Mondiale e dal "Gatt" ("General Agreement on Tariffs and Trade")", in "un sistema di dominio indiretto che ha comportato l'integrazione dei leader dei paesi in via di sviluppo nella rete di una nuova classe dirigente" - che, non a caso, risulta essere quella vecchia. I governi-manager nazionali possono partecipare alla divisione della ricchezza finché servono adeguatamente i loro padroni.

Morgan denuncia: "... l'ipocrisia delle nazioni ricche che reclamano l'apertura dei mercati nel Terzo Mondo mentre chiudono i propri". A questo proposito avrebbe potuto ricordare anche la relazione della Banca Mondiale in cui si afferma che le misure protezionistiche dei paesi industriali diminuiscono il reddito nazionale del Sud di circa il doppio del valore degli aiuti inviatigli dal Nord (generalmente tendenti a promuovere le esportazioni), gran parte dei quali vanno inoltre ai settori più ricchi dei 'paesi in via di sviluppo' (meno bisognosi, ma migliori consumatori). O ancora la valutazione dell'"Unctad" (Commissione Onu per il Commercio e lo Sviluppo) che le barriere non-tariffarie (N.T.B.) dei paesi industrializzati riducono le esportazioni dal Terzo Mondo di quasi il 20% nei settori più colpiti quali il tessile, il metallurgico, l'ittico, quello dei foraggi per animali ed altri prodotti agricoli, con perdite annue di miliardi di dollari. Da ricordare anche la valutazione della Banca Mondiale secondo la quale il 31% delle esportazioni manifatturiere del Sud sono soggette a barriere non tariffarie contro il 18% di quelle del Nord, o la relazione del 1992 dello "Human Development Program" dell'Onu che riesamina il divario crescente tra ricchi e poveri (attualmente, l'83% della ricchezza mondiale è nelle mani del miliardo di uomini più benestante, mentre il miliardo dei più indigenti, alla base della scala, ne possiede solamente l'1,4%); il raddoppio di tale divario dal 1960 è attribuito alle direttive del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, ed al fatto che ben 20 su 24 paesi industrializzati sono più protezionisti oggi di quanto lo fossero un decennio fa, compresi gli Usa che celebrarono la rivoluzione reaganiana raddoppiando in proporzione il numero dei prodotti importati sottoposti a misure restrittive. "Il risultato finale di decenni di prestiti per lo sviluppo è che i paesi poveri hanno recentemente trasferito più di 21 miliardi di dollari all'anno nei forzieri dei ricchi", osserva l'"Economist" riassumendo questo triste scenario.

L'analisi dei singoli casi ci fornisce poi interessanti particolari: per esempio l'imposizione da parte di Usa, Gran Bretagna e Francia di quote alle importazioni dal Bangladesh, temibile rivale commerciale, con la scusa che i suoi prodotti tessili danneggiavano le loro industrie locali; secondo il "Financial Times": "Il governo del Bangladesh è stato particolarmente colpito dalla decisione Usa di imporre dazi antidumping [esportazioni sottocosto, N.d.C.] fino al 42% sugli asciugamani" importati dal paese asiatico, "una delle nazioni più povere" del mondo, il cui valore "ammontava alla principesca somma di 2,46 [milioni di dollari]". Oppure l'invio a prezzi stracciati dei sovvenzionatissimi grani e carni statunitensi ed europee nel Mali, nel Burkina Faso e nel Togo, danneggiando così enormemente i produttori locali in zone, come il Sahel, potenzialmente assai competitive. Per non parlare delle apprensioni americane per la minaccia all'industria dell'acciaio Usa costituita dalle importazioni da Trinidad-Tobago (46).

"I ministri [delle Finanze] dei paesi del Terzo Mondo che hanno dolorosamente trascinato i loro bilanci fuori dalle secche dei deficit permanenti sono particolarmente indispettiti per la non volontà delle nazioni industrializzate" di rispettare le regole del gioco, scrive il "Financial Times". "Riecheggiando la disperazione" del Sud, il presidente della Banca Mondiale, Lewis Preston, ha biasimato la condotta delle società più sviluppate che chiedono al Terzo Mondo di "sobbarcarsi il peso dell'aggiustamento [strutturale] dei paesi ricchi oltre che dei propri" e che non hanno mantenuto le loro promesse di ridurre le barriere e di fornire aiuti. Dopo un incontro con funzionari ad alto livello dei paesi donatori, "i dirigenti della Banca Mondiale hanno detto apertamente" - continua il "Financial Times" - che ancora una volta "non manterranno" le promesse fatte. Anche "donatori una volta generosi come la Svezia" stanno tagliando i fondi, mentre "ci si aspetta che paesi meno generosi, come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti... diminuiscano ancora di più" i loro già ridotti aiuti. In un incontro tra varie Organizzazioni non governative (Ong) si è arrivati alla conclusione che "gli aggiustamenti strutturali imposti dalla Banca Mondiale [e dal Fondo Monetario Internazionale] hanno portato alla disperazione i lavoratori poveri di almeno 100 paesi", costretti "ad aprire i loro mercati ad un flusso di importazioni a basso prezzo" mentre gli stati industrializzati rifiutano "di abolire i loro sussidi, le loro quote e le alte tariffe". Il risultato di tutto ciò nei paesi del Sud è "il brutale abbassamento dei salari medi e dei livelli di vita minimi" e l'eliminazione dei progetti sociali; effetti aggravatisi con l'applicazione dei programmi di questi ultimi dieci anni e poco più (47).

Le istituzioni della "nuova classe dirigente" mondiale - continua Morgan - che adesso "governano gran parte del mondo in via di sviluppo e dell'Europa Orientale", incoraggiano i paesi loro clienti ad attuare le "giuste riforme". In pratica essi devono scrupolosamente evitare le politiche economiche che hanno sempre portato allo sviluppo, dall'Inghilterra del '600 sino ai 'piccoli draghi' dell'attuale Asia Orientale, ed attenersi invece a 'quel tipo' di riforme che sono andate ad esclusivo vantaggio di chi domina il mondo e, se mai, di pochi altri. E quando gli strumenti economici non sono sufficienti ad 'incoraggiare' i paesi satelliti a comportarsi bene, si può sempre far di nuovo ricorso ai gendarmi.

Inoltre se la grave crisi economica preoccupa i padroni, questi possono sempre chiamare in loro soccorso il potere dello stato. Quando, nel 1984, la "Continental Illinois Bank and Trust" era prossima al collasso, non chiese forse al governo di intervenire, come poi avvenne, con "la più grande nazionalizzazione nella storia americana"? (Howard Wachtel). Il direttore responsabile di quel disastro finanziario, Roger Anderson, venne punito con una nomina al "Federal Advisory Council", diventando così consigliere ufficiale del direttore della "Federal Reserve" (Banca Centrale), Paul Volker. Quest'ultimo del resto, quando la crisi della "Continental Illinois" si stava sempre più aggravando, si era rifiutato di intervenire usando i suoi poteri disciplinari e di controllo. Se il collasso dell'impero immobiliare "Olympia and York" causerà effettivamente quei 3 miliardi di dollari di perdite previste originariamente dalle banche, i contribuenti saranno nuovamente chiamati a pagare il conto. In tempi di crisi, l'austerità sarà anche il rimedio giusto per i contadini latinoamericani, per i lavoratori polacchi e per i dimenticati di South Central Los Angeles, ma non per la gente che conta (48).

Al governo, del resto, i padroni chiedono anche, quando è necessario, di porre ostacoli alle importazioni straniere: come, ad esempio, nel 1982 quando per permettere all'industria dell'acciaio Usa (sviluppatasi ai suoi inizi proprio grazie al protezionismo) di ricapitalizzarsi, la quota di acciaio importato venne limitata al 20% del mercato. Contemporaneamente, il governo ha anche il dovere di indebolire sempre più i sindacati, in modo che le nuove "imprese a bassi costi e senza impedimenti" possano pagare ai loro operai salari tra la metà ed un terzo di quelli che i lavoratori dell'acciaio si erano conquistati con un secolo di sanguinose lotte e diventare così "scattanti e aggressive" come le definì con ammirazione l'"Economist" di Londra. Al periodico britannico fece subito eco il "New York Times", elogiando i successi di "un decennio di misure protezioniste sulle importazioni dell'acciaio" ed il ricorso alla "forza lavoro non sindacalizzata" per ridurre i costi (49).

Un successo importante della Nuova Era Imperiale è costituito dalla sempre maggiore emarginazione politica, e non solo, della popolazione che rende possibile l'esaltazione retorica dei nostri ideali democratici senza il pericolo che possano essere presi troppo sul serio dalle persone sbagliate. I governanti del mondo possono ora agire con meno limitazioni, più coordinamento, maggiore centralizzazione e minori interferenze da parte della 'plebaglia', la quale non solo non ha alcuna influenza sul processo decisionale dei padroni (il principio base dell'autocrazia capitalista), ma spesso neppure consapevolezza dei suoi meccanismi. Chi conosce le importanti decisioni dei negoziati "Gatt" o del Fondo Monetario Internazionale, con il loro enorme impatto a livello mondiale? O quelle delle multinazionali, delle banche internazionali e delle società di investimenti che regolano la produzione, il commercio e la vita di tanti paesi? Il "Nafta" (Trattato di libero scambio del Nordamerica) dovrebbe avere ad esempio profonde conseguenze sulle nostre società (una manna per gli investitori, molto probabilmente un disastro per i lavoratori e l'ambiente), ma i suoi contenuti sono ignoti ai più. Il testo del trattato non fu consegnato, fino al giorno prima della scadenza del termine stabilito dalla legge, neppure al "Labor Advisory" Committee al quale spetta di esaminare tali decisioni. Il Congresso, da parte sua, ha abdicato ad ogni sua responsabilità. I cittadini non ne sanno nulla (50).

Durante gli ultimi secoli, la teoria democratica delle classi dirigenti ha avuto la tendenza ad oscillare entro uno spettro molto limitato. Ad un estremo, abbiamo il filosofo libertario John Locke secondo il quale i cittadini non hanno il diritto di discutere degli affari pubblici, anche se è loro permesso di venirne a conoscenza; la variante moderna di questa teoria è leggermente più benevola. All'altro estremo abbiamo gli statisti reazionari di tipo reaganiano ('conservatori'), che negano al popolo persino il diritto di sapere cosa stiano facendo i loro leader, creano centri illegali di propaganda, favoriscono operazioni clandestine su larga scala, bloccano la diffusione di informazioni sul governo (anche se si riferiscono ad un passato molto lontano) e proteggono in ogni modo i poteri dello stato da qualsiasi esame critico. La censura nell'era di Reagan raggiunse livelli senza precedenti, spingendosi sino a sopprimere una tale massa di documenti ufficiali da provocare le dimissioni, in segno di protesta, del presidente del consiglio accademico consultivo del Dipartimento di Stato. La Nuova Era Imperiale segna così un ulteriore spostamento verso l'estremo autoritario della democrazia formale (51).

L'opinione pubblica è consapevole di ciò che succede anche se, con il successo delle politiche di isolamento e distruzione delle organizzazioni sociali, la reazione spesso è stramba ed autodistruttiva e si manifesta con l'affidarsi a ridicoli redentori miliardari, il ritorno ai miti di un'innocenza passata e di nobili governanti, il fanatismo religioso e nazionalista, i culti delle congiure, il confuso scetticismo e la delusione - una combinazione che in passato non ha avuto certo conseguenze felici.


Note:

N. 46. Sulla Banca Mondiale, "Tr¢caire Development Review" (Catholic Agency for World Development, Dublino, 1990). Chakravarti Raghavan e Martin Khor, "Third World Economics", Penang, 16-31 marzo 1991. "Economist", 25 aprile 1992. Watkins, "Fixing", p. 75, 49, 64. Frances Williams, "Financial Times", 11 giugno 1992. Kent Jones, "Fletcher Forum", inverno 1992. Sul protezionismo reaganiano vedi Chomsky, "Deterring Democracy", cap. 3. Per maggiori approfondimenti, Bhagwati e Patrick, "Aggressive Unihateralism". Bovard, "Fair Trade Fraud".
N. 47. George Graham, "Financial Times", 25 settembre. Nancy Dunne, "Financial Times", 24 settembre 1992.
N. 48. Wachtel, "Money Mandarins", p. 146. Greider, "Secrets", 521n. "Financial Times", 16-17 maggio 1992.
N. 49. "Economist", 16 maggio. Jonathan Hicks, "New York Times", 31 marzo 1992.
N. 50. Preliminary Report, LAC, 16 settembre 1992.
N. 51. Chomsky, "Deterring Democracy", cap. 12. Wilbur Eidel, 'Diplomatic History - State Department Style', "Political Science Quarterly", 106.4 1991/2.


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