Archivio Web Noam Chomsky
Anno 501 la conquista continua (indice)


PARTE PRIMA.
VINO VECCHIO IN BOTTIGLIE NUOVE.


Capitolo 2.
I CONFINI DELL'ORDINE MONDIALE.

4. LA FINE DELLA RICCA ALLEANZA.

Gli elementi base del quadro politico tendono a perpetuarsi finché le istituzioni del potere e del comando sono stabili, in grado di deviare le minacce e di conciliare o di spiazzare le forze concorrenti. Questo è quel che hanno fatto gli Stati Uniti nel dopoguerra ma, in realtà, anche molto prima. Tuttavia, in ogni caso, la politica deve adattarsi alle nuove contingenze.
Nell'agosto del 1971 venne ufficializzata una modifica nell'Ordine Mondiale dalle profonde conseguenze. In quel mese Richard Nixon annunciò la sua 'nuova politica economica', che prevedeva lo smantellamento dell'ordine economico internazionale creato dopo la Seconda guerra mondiale (il sistema di Bretton Woods), nel quale gli Stati Uniti agivano essenzialmente come i banchieri del mondo, con il dollaro come unica divisa internazionale, convertibile in oro a 35 dollari l'oncia. Con il 1971, "l'alleanza dei ricchi era giunta al capolinea" e, come osservava l'economista Susan Strange, "il disordine stava diventando troppo grave per essere curato con le aspirine". L'Europa a guida tedesca ed il Giappone si erano riprese dalle distruzioni belliche, e gli Usa dovevano far fronte ai non previsti costi della guerra in Vietnam. L'economia mondiale stava entrando in un'era di 'tripolarità' - e anche di stasi e di declino dei profitti del capitale (27).

Prevedibile conseguenza di quel terremoto fu un'intensificazione della lotta di classe promossa con decisione dalle imprese, dai loro agenti politici e servitori ideologici. Gli anni che seguirono videro un duro attacco ai salari reali, ai servizi sociali ed ai sindacati - in realtà a qualsiasi tipo di struttura democratica funzionante - al fine di superare la preoccupante 'crisi della democrazia' provocata dagli arbitrari tentativi della popolazione di porre i suoi interessi al centro dell'arena politica. La componente ideologica dell'offensiva voleva rinforzare l'autorità e l'abitudine all'obbedienza, diminuire la coscienza sociale, stroncare quelle debolezze umane come la solidarietà, e convincere i giovani del loro assoluto narcisismo. Un altro obiettivo fu quello di stabilire un governo mondiale di fatto, lontano dalla coscienza o dalle pressioni popolari, dedito a garantire la piena disponibilità delle risorse umane e materiali del mondo per le multinazionali e le banche internazionali, che dovevano dirigere il sistema mondiale.

Per quanto in declino rispetto ai loro maggiori rivali, che peraltro non sono senza problemi, gli Stati Uniti costituiscono ancora il più grande sistema economico del mondo. In ogni caso i problemi cui devono far fronte gli Usa sono di nuovo troppo gravi 'per essere curati con le aspirine', sebbene esistano poche alternative, a causa dei trionfi politici e dottrinali della destra che hanno ridotto la possibilità di costruttivi programmi sociali a favore della 'superflua' maggioranza della popolazione; un'altra conseguenza della creazione reaganiana del debito.

Come afferma l'economista Richard Du Boff, la risposta di Nixon al declino dell'egemonia economica Usa fu abbastanza chiara: "Quando perdi, cambia le regole del gioco". Nixon sospese la convertibilità del dollaro in oro, rovesciando il sistema monetario internazionale, impose controlli provvisori sui prezzi e sui salari ed una soprattassa generale sulle importazioni, diede vita a misure fiscali che indirizzarono l'intervento dello stato, ben più di quanto non fosse avvenuto in precedenza, a favore del welfare dei ricchi: riduzione delle tasse federali e della spesa pubblica, ad eccezione dei finanziamenti al settore privato. Da allora, queste sono state le politiche dominanti. Il processo subì un'accelerazione durante gli anni dell'amministrazione Reagan, anche se in gran parte si trattava di politiche della precedente amministrazione Carter, rimodellate dai più ideologici reaganiani al fine di produrre una crescita mostruosa del debito ad ogni livello (federale, statale, locale, societario), con scarsi risultati nel campo degli investimenti produttivi. Non va poi dimenticato l'inestimabile debito costituito dai trascurati bisogni sociali e dalle loro conseguenze; un crescente fardello imposto alla maggioranza della popolazione ed alle generazioni future.

Le iniziative di Nixon sono state "una specie di rivoluzione mercantilista in politica interna ed estera", osservava alcuni anni dopo l'economista politico David Calleo. Il sistema internazionale diventò più caotico, "con l'erosione delle regole, il potere assunse maggiore importanza". Vi era un minore "controllo sulla vita economica nazionale" e quindi maggiori vantaggi per gli affari e le banche internazionali, libere dai controlli sui capitali e dalle restrizioni governative, e sicure di poter contare sull'aiuto dello stato se qualcosa non avesse funzionato. I mercati internazionali dei capitali così si espansero rapidamente grazie all'affievolirsi di ogni regola e controllo, all'enorme flusso di petrodollari in seguito all'aumento del prezzo dell'oro nero nel 1973-74 ed alla rivoluzione dell'informatica e delle telecomunicazioni che facilitò i movimenti di capitali. Le energiche iniziative delle banche per stimolare nuovi prestiti contribuirono poi alla crisi del debito del Terzo Mondo ed all'attuale instabilità dello stesso sistema bancario (28).

L'aumento dei prezzi dell'oro nero (preceduto da quelli del carbone, dell'uranio e delle esportazioni agricole Usa) recò temporanei benefici alle economie americana ed inglese, portando alle stelle i profitti delle compagnie petrolifere (quasi tutte con sedi negli Usa ed in Gran Bretagna) e spingendole ad avviare la produzione del petrolio ad alto costo (Alaska, Mare del Nord), fino a quel momento tenuto fuori dal mercato. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, l'aumento dei prezzi energetici venne sostanzialmente compensato dalle esportazioni militari e di altro tipo verso i paesi mediorientali produttori di petrolio e dalle grandi commesse ottenute nell'area. Inoltre i profitti petroliferi tornarono in gran parte negli Usa per l'acquisto di titoli ed obbligazioni del Tesoro americano; il sostegno all'economia statunitense e britannica è da tempo uno dei principali compiti della 'versione araba' dei rappresentanti locali del sistema americano (29).

Nei medesimi anni si registrò la stagnazione economica, ed il collasso, dell'impero sovietico che fino a poco tempo prima aveva interferito in cruciali aspetti della pianificazione dell'Ordine Mondiale (cap. 3). Il potere degli stati più industrializzati aumentò inoltre ulteriormente grazie alla catastrofe economica che infuriò nel corso degli anni '80 in gran parte dei loro domini del Sud. Ed è ora tangibile in tutto il Terzo Mondo la sensazione di nuove future tempeste.

Il Giappone e l'Europa, anche se non hanno più raggiunto i precedenti tassi di crescita, sono stati in grado di riprendersi dalla recessione dei primi anni '80. La ripresa americana, da parte sua, ha comportato massicci prestiti ed interventi statali, per lo più sotto forma di finanziamenti pubblici, promossi dal Pentagono, all'industria ad alta tecnologia, insieme ad un brusco aumento delle misure protezioniste e ad una crescita dei tassi d'interesse. Ciò ha contribuito in maniera determinante alla crisi del Sud dal momento che, mentre gli interessi sui debiti aumentavano, gli investimenti e gli aiuti calavano drasticamente, e le classi abbienti locali trasferivano le loro ricchezze in Occidente. In quel periodo vi fu, con effetti generalmente disastrosi, un enorme flusso di capitali dal Sud al Nord, ad eccezione dei paesi di nuova industrializzazione dell'Asia Orientale, dove lo stato era abbastanza potente da poter controllare le fughe di capitali e dirigere efficacemente l'economia. Il crollo del capitalismo negli anni '80 ha avuto un impatto anche nell'Europa dell'Est, contribuendo allo sfascio dell'impero sovietico e alla scomparsa della Russia dalla scena mondiale (30).

Negli anni precedenti, i paesi non-allineati avevano tentato di ottenere un parziale controllo sul proprio destino. Tramite l'"Unctad" ("U.N. Conference on Trade and Development", la Conferenza Onu sul Commercio e lo Sviluppo) erano state prese alcune iniziative per creare un 'nuovo ordine economico internazionale' con programmi di sostegno e stabilizzazione dei prezzi delle materie prime. Ciò nella speranza di limitare il peggioramento delle ragioni di scambio e di controllare le ampie fluttuazioni dei prezzi, dall'effetto devastante su economie dipendenti dall'export di poche materie prime. L'Unesco, da parte sua, fece anche tentativi analoghi per dare ai paesi del Terzo Mondo accesso alle comunicazioni internazionali, monopolio delle società industriali avanzate.

Naturalmente queste iniziative provocarono una forte ostilità da parte dei padroni del mondo e con gli anni '80 non se ne fece più nulla. Gli Usa in quel periodo portarono avanti un duro attacco contro le Nazioni Unite riuscendo a neutralizzarle come forza indipendente sulla scena mondiale. L'Unesco poi, a causa del suo orientamento terzomondista e della minaccia che essa poneva alla dominazione ideologica del mondo, suscitava un odio particolare. L'operazione di demolizione delle Nazioni Unite ed il loro ritorno sotto il controllo Usa sono state celebrate nel nostro paese come una restaurazione degli ideali dei padri fondatori, non senza ragione. L'intera operazione ha richiesto uno straordinario sforzo per nascondere il fatto che erano stati gli Usa, seguiti dalla Gran Bretagna, a bloccare con il veto le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e generalmente ad impedire alle Nazioni Unite, per oltre vent'anni, di assolvere ai loro compiti. Tutto ciò mentre Stati Uniti e Gran Bretagna sostenevano la comoda tesi che a paralizzare l'organismo internazionale fosse 'l'ostruzionismo sovietico' ed 'il forte anti-americanismo del Terzo Mondo'. L'altrettanto straordinaria operazione di disinformazione che ha accompagnato la campagna dei media governativi per eliminare le eresie sostenute dall'Unesco è stata denunciata, dati alla mano, da numerose ed autorevoli ricerche che, è inutile dirlo, non hanno avuto alcun effetto sulle dilaganti menzogne del sistema dottrinario ufficiale (31).

Analoga è la vicenda, negli Stati Uniti, dell'isterica campagna sulla necessita di mantenere una presunta 'correttezza politica' nel dibattito ideologico, in particolare nelle università. L'ampiezza di questo fenomeno è rilevante ed è testimoniata da una sequela di best seller ricchi di aneddoti, in gran parte inventati, sulle presunte intolleranze nelle università, da animati discorsi, da un fiume di articoli pubblicati dalle prime pagine sino a quelle sportive, dalla fioritura, quasi a comando, di fogli d'opinione; una ricerca effettuata nell'arco di sei mesi ha riscontrato nel "Los Angeles Times" più di un riferimento al giorno alla 'correttezza politica'. Ma, intendiamoci, lo sdegno ha una sua base reale dal momento che vi sono moltissime persone contrarie all'oppressione razzista e sessista, che rispettano le culture altrui e non approvano alcun torto commesso pur se per una 'giusta causa'. Inoltre gli abusi che sembrano suscitare tanto orrore tra i fedeli delle verità ideologiche del sistema non sono del tutto inventati; anche la 'propaganda più gretta' di solito si basa su qualcosa di reale. Ma, come nel caso dei 'nemici ufficiali' degli Stati Uniti all'estero, i veri abusi, se mai ve ne sono stati, hanno ben poco a che fare con l'operazione propagandistica che vi è stata costruita attorno e che ha ben altri obiettivi.

Questa campagna sulla presunta 'correttezza politica' è partita da lontano. Componente cruciale della lotta di classe nell'epoca del post-benessere è stata la conquista del sistema ideologico da parte della destra, con la proliferazione di centri studi a questa legati, di campagne per estendere ancor di più il controllo dei conservatori sui settori ideologicamente più importanti delle università, sempre più affollate di cattedre sulla libera impresa, di riviste studentesche di estrema destra ben finanziate, e via di seguito; inoltre si è cercato con vari mezzi di restringere il più possibile i confini del pensiero e della discussione all'estremo più reazionario di uno spettro politico già molto ristretto. Si è arrivati al punto in cui un eminente esperto liberale di politica estera ha potuto definire, senza alcuna ironia, il quotidiano conservatore e filogovernativo "New York Times" come la "sinistra dell'establishment" (Charles Maynes). All'interno del sistema politico, l'aggettivo 'liberal' si è aggiunto a quello di 'socialista' tra le parole che mettono paura; nel 1992, il Partito democratico non ha avuto bisogno neppure di compiere quei gesti simbolici rivolti alle circoscrizioni elettorali più popolari che una volta sosteneva di rappresentare. Gore Vidal non esagera molto quando descrive la politica americana come un sistema a partito unico con due destre e nessuna sinistra. Un aspetto di questo trionfo ideologico è stata la vasta diffusione di una retorica 'orwelliana' e delle norme della 'correttezza politica', stabilite dal sistema ideologico dominante, cui è necessario aderire per poter partecipare ai dibattiti ufficiali. Nella corrente maggioritaria ogni deviazione da questo tipo di retorica e di convenzioni ideologiche è praticamente impensabile (32).

Il capitolo che segue non stupirà chi conosce i meccanismi della gestione politica della cultura. Dopo un periodo di lotta ideologica intensa ed unilaterale, nella quale gli interessi economici privati e la destra hanno riportato un'importante vittoria all'interno delle istituzioni accademiche e politiche, non c'è nulla di più naturale di una campagna propagandistica che accusi i presunti 'fascisti di sinistra' di aver scalato le vette del potere e di controllare l'intera cultura, imponendo ovunque le loro dure regole. La situazione sarebbe peggiore di 25 anni fa, quando gli appelli alla distruzione dell'università "risuonarono attraverso i campus degli Stati Uniti, le biblioteche furono bruciate e i campus vennero semidistrutti" ed "era impossibile immaginare qualcosa di più viscido, disgustoso e soffocante di quel clima morale" in atenei dove gli studenti di colore erano "una maledizione" finché finalmente il "pus" non fu "spremuto fuori dall'università", per citare solo alcune espressioni comuni alla destra britannica (33). Sentiamo così riecheggiare le suppliche di soccorso in favore dei superstiti che ancora resistono all'assalto implacabile della sinistra, innalzando coraggiosamente lo stendardo della verità storica e della cultura occidentale in qualche assediato giornale o isolato college statale dell'Idaho centrale. Cosa ci potrebbe essere di meglio di questa offensiva ideologica per reprimere le imbarazzanti domande sul controllo culturale da parte del sistema, e su chi gestisce realmente il potere?

Le lamentele di coloro che continuano a mantenere il loro incontrastato ferreo controllo ideologico e culturale non sono prive di risvolti comici. Per ogni cento articoli che rimproverano ai 'fascisti di sinistra' di controllare il mondo universitario e della cultura, ce ne potrà essere al massimo uno che flebilmente ricordi come il predominio della sinistra non è poi così assoluto, e nessuno che dica la verità - cosa evidente visto che ufficialmente sono permessi soltanto alcuni punti di vista. Ma la restrizione della libertà di pensiero è una cosa seria, e noti intellettuali non sorridono neanche un po', mentre marciano irreggimentati, per l'eventuale perdita di una cattedra di letteratura comparata (forse a favore di un 'decostruttivista' di destra o di un 'relativista' liberale denunciati come 'fascisti di sinistra').

Per la mentalità totalitaria, persino la minima infrazione è una tragedia tremenda che suscita grande paura e spinge a rafforzare ulteriormente quel controllo ideologico che impedisce alla 'moltitudine di canaglie' di occuparsi di quel che accade intorno a loro.


Note:

N. 27. Strange, "International Economic Relations of the Western World" (1976), citato in Wachtel, "Money Mandarins", p. 79; sul profitto p. 137.
N. 28. Ibid. Du Boff, "Accumulation", 153n. Calleo, "Imperious Economy", p. 63, 116, 75.
N. 29. Vedi in particolare Rand, "Making Democracy Safe". Sugli effetti, il mio articolo del 1977 ristampato in Chomsky, "Towards a New Cold War", cap. 2, 11; "Deterring Democracy", cap. 6.1. Vedi anche Yergin, "Prize".
N. 30. Sui movimenti di capitali vedi Chomsky, "Deterring Democracy", p. 98.
N. 31. Chomsky, "Necessary Illusions", 84n., app. 4.4; "Deterring Democracy", cap. 6; 'Afterword', sez. 5; il mio saggio in Peters, "Collateral". Sull'Unesco, Preston et al., "Hope & Folly.
N. 32. Chomsky, "Turning the Tide", cap. 5, e fonti citate; "Necessary Illusions", cap. 1. "Los Angeles Times, Extra!" (FAIR), luglio-agosto 1992, i sei mesi prima del verdetto Rodney King dell'aprile del 1992. Maynes, editore, "Foreign Policy", estate 1990.
N. 33 G. Rees, "Alain Besan‡on, Encounter", dicembre 1976, giugno 1980.


>>> segue >>>







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